I ponti da costruire nella chiesa cattolica con le persone LGBT
Documento inviato alla commissione sinodale dell’Arcidiocesi di Napoli dal gruppo Ponti da costruire, cristiani LGBT+ della Campania
Carissimi fratelli e sorelle, “Ponti da costruire” è un gruppo di persone cristiane cattoliche della realtà LGBT. Il nome “Ponti da costruire” deriva dal titolo del libro “Un ponte da costruire – tra la Chiesa e le persone cristiane LGBT” del gesuita James Martin.
Il gruppo “Ponti da costruire” nasce per dare ascolto e parola alle persone cristiane, che avvertono il bisogno di esprimere la propria fede all’interno di una Chiesa non sempre inclusiva. La comunità “Ponti da costruire”, guidata da Suor Anna Maria Vitagliani, a cui si è affiancato Don Ciro Cozzolino, è cresciuta nel corso del tempo e si è espansa per lo più sul territorio campano, trovando poi una sede, per gli incontri periodici, presso il convento dei frati francescani annesso alla Basilica di San Pietro ad Aram in Napoli.
Nell’ambito del percorso sinodale, ci siamo lasciati interpellare dai seguenti interrogativi:
- quali sono gli ostacoli che impediscono una reale integrazione del mondo LGBT all’interno della Chiesa;
- quali modalità e strumenti possono aiutare ad accompagnare i vissuti delle persone LGBT affinché possano essere integrati nel cammino della Chiesa;
- quali sono le speranze che abitano il nostro cuore.
- La Chiesa è chiamata ad essere Casa aperta del Padre, ma non sempre lo è stata e nella sostanza non lo è ancora. Di fatto, le persone LGBT avvertono l’approccio ecclesiale nei propri confronti molte volte discriminatorio e quindi non inclusivo. Il sentirsi ai margini non è frutto solo dell’invisibilità o del non esporsi, ma dipende anche dalla vergogna di essere ritenuti sbagliati. Tale sentimento è stato per anni alimentato nella mente e nel cuore di tante persone LGBT, creando un senso di sofferenza e di umiliazione e in alcuni casi profonde ferite.
A tale riguardo, tra gli esempi più recenti, si pensi al Responsum del 2021 della Congregazione della Dottrina della Fede, nel quale vengono vietate le benedizioni di coppie omosessuali, in quanto viene ritenuto che l’amore omosessuale è intrinsecamente disordinato e non contemplato nel disegno di Dio. Oppure, si pensi al documento della Congregazione per il Clero del 2016, dove si ribadisce che le persone omosessuali non possono essere ammesse al Seminario ed agli Ordini sacri, perché si trovano in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi. I pensieri ed i comportamenti assunti negli anni rivelano l’immagine di una Chiesa che fa fatica a mettersi in discussione, palesando una forte resistenza al cambiamento. L’atteggiamento moralistico, spesso anche da parte dei fedeli laici, è segno di tale chiusura e produce una posizione di giudizio che spesso è difficile da arginare.
Altro punto dolente riguarda l’informazione e la formazione del clero su questa tematica e di conseguenza la mancanza di una pastorale LGBT unica e condivisa capillarmente in ciascuna Diocesi.
Il risultato di tale mancanza provoca, quindi, un fenomeno a macchia di leopardo nelle varie Diocesi, che demanda tutto alla sensibilità e all’apertura del singolo operatore pastorale. È importante che nella comunità ecclesiale ci sia dunque uniformità ed integrità per permettere alla comunità religiosa stessa di crescere.
- Crediamo vivamente che questo sia il tempo favorevole in cui la Chiesa si ponga delle domande in merito alla realtà LGBT e per portare a maturazione quei semi che sono stati sparsi in passato: è un’opportunità straordinaria che la Chiesa non deve sprecare!
Chiediamo, quindi, alla Chiesa di riconoscere la naturalità dell’essere omosessuale, rivalutando la sua dignità a partire dalla sua umanità e sensibilità, dalla sua mente e dal suo cuore, stanteché l’Organismo Mondiale della Sanità (OMS) già nel lontano 1990 ha derubricato l‘omosessualità dalla lista delle patologie ed a tutt‘oggi un medico che tende a curare l’omosessualità rischia di essere radiato dall’albo.
In quest’ottica, la Chiesa è invitata a vietare in modo assoluto qualsiasi forma di terapia riparativa. La Chiesa dovrebbe riconoscere, altresì, l’autenticità dell’amore nel suo significato più profondo, in quanto le persone della realtà LGBT hanno anche esse il diritto di essere libere di amare; l’amore è di tutti e per tutti, nessuno escluso, l’amore ha la stessa origine: Dio!
In questo contesto, la Chiesa, è chiamata a conformarsi al Vangelo e ad assumere gli stessi atteggiamenti di Gesù di Nazareth, valorizzando, accogliendo, sostenendo e guidando sia le persone singole che le coppie LGBT, inserendole nel percorso pastorale di ogni Diocesi.
In tale prospettiva, anche l’accoglienza e l’integrazione dovrebbero essere riviste e modificate. È importante per noi, in quanto credenti, in primis che la Chiesa agisca, tenendo presente che Dio ama tutti indistintamente e che anche il nostro sentire è contemplato nel progetto di Dio. In secondo luogo, la Chiesa rifletta su che cosa Dio ci chiede per il bene di tutti: come la nostra testimonianza possa giovare all’interno della comunità e come inserire i nostri doni e le nostre attitudini nel servizio della carità, della Parola e della liturgia.
Alla luce di quanto illustrato, ci si aspetterebbe quindi piccoli passi concreti: segni tangibili di un cammino difficoltoso, ma fatto insieme. Quindi, occorrerebbe una prospettiva rinnovata ed ampliata. Pertanto, la persona omosessuale non dovrebbe essere più identificata solo ed unicamente con l’atto sessuale, ma vista nel suo insieme: una persona che ama, pensa, vive e prega allo stesso modo delle altre persone. È, altresì, necessario guardare l’omosessualità a partire dagli occhi di Dio. Quindi, è fondamentale ritornare al Vangelo.
A partire dall’atteggiamento inclusivo della Chiesa, dovrebbe scaturire una nuova formazione. In alcune parti d’Italia, per esempio, già avviene che i seminaristi prima dell’Ordinazione incontrino gruppi LGBT ed in particolare: quelli che hanno relazioni di coppia, genitori di figli che hanno fatto coming out, oppure i divorziati che convivono. Se questa buona prassi venisse estesa, consentirebbe a tutti i seminaristi di entrare in contatto e conoscere la vita reale delle persone. Non solo i seminaristi, ma anche il clero avrebbe necessità di una formazione permanente sul tema. Solo così sarebbe possibile educare e formare gli operatori pastorali ed aiutare la comunità ecclesiale verso questa apertura.
L’atteggiamento di apertura, quindi, dovrebbe essere intessuto da un dialogo continuo e fraterno con le realtà LGBT per istituire un processo di ascolto e riconoscere come lo Spirito Santo sta agendo nella vita reale delle persone e della Chiesa. I semi che nascono dal sentire comune del popolo di Dio andrebbero quindi letti, tematizzati e fatti diventare oggetto di cambiamento, a partire dalla pastorale.
Bisognerebbe istituire ufficialmente la pastorale LGBT, sia a livello parrocchiale che diocesano in modo tale che la pastorale LGBT possa essere un punto di riferimento per tante persone ed in particolar modo per i giovani. Pertanto si auspica la formazione di operatori pastorali che possano dare aiuto, orientamento, sostegno e guida spirituale.
Per rendere più efficiente questo cammino condiviso, al di là del percorso sinodale, sarebbe opportuno istituire nell’immediato un canale di comunicazione continuativo tra i gruppi LGBT credenti e le gerarchie ecclesiastiche, basato sulla reciproca comprensione e fiducia: “aiutateci – aiutiamoci”.
Inoltre, noi chiediamo alla Commissione Sinodale e alla CEI anche l’istituzione di un tavolo di confronto e di dialogo tra i gruppi di cristiani LGBT e la Chiesa.
Infine poiché esistono tante persone LGBT abbandonate a sé stesse, a volte senza punti di riferimento, chiediamo che venga istituito un organismo in ogni Diocesi che rifletta, ascolti e accompagni le suddette persone, come affermato da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica postsinodale Amoris Laetitia.
- Un primo augurio è che la Chiesa non faccia più un distinguo tra le persone in base al loro orientamento sessuale o al loro genere e consideri ciascuna persona nella sua unicità.
Vorremmo, inoltre, che l’espressione ‘noi siamo Chiesa’ sia una realtà effettiva e non uno slogan.
Auspichiamo anche la modifica di quella parte della dottrina che esclude, in conformità alla vera essenza del Vangelo, che invece include e libera.
Un altro nostro sentito desiderio è che un giorno si possa arrivare alla benedizione delle coppie LGBT in seguito ad un percorso di preparazione in parrocchia.
Ulteriore auspicio è che la pastorale LGBT, che attualmente è “pastorale di frontiera”, possa entrare nella pastorale ordinaria e che le persone LGBT possano partecipare alla pastorale ordinaria secondo i loro doni e carismi, come tutti gli altri credenti.
Infine, ci auguriamo che la Chiesa possa intervenire con fermezza per l’abolizione del reato di omosessualità presente in 69 Paesi del mondo e soprattutto nei 7 Paesi in cui è prevista la pena di morte.
Per concludere, facciamo riferimento all’icona biblica scelta nel Documento preparatorio del Sinodo come immagine del cammino di dialogo e ascolto nello Spirito auspicato per questo primo anno di percorso sinodale: l’incontro tra Pietro e Cornelio (At 10, 34-43), che avviene a partire dalla loro comune umanità e nello Spirito, che già abitava entrambi e in cui si riconoscono.
Ci sentiamo molto in sintonia con questo dinamismo: sentiamo oggi l’importanza di ascoltare insieme la realtà per cogliervi l’inedito dello Spirito. Affidiamo con fiducia questo cammino della Chiesa di Napoli e della Chiesa tutta al Signore e al Suo Spirito!
Gruppo Ponti da Costruire della Campania