Quali segni e prodigi! La pastorale con le persone LGBT+ in Italia
Riflessioni[1] di Padre Pino Piva sj* pubblicate in AA.VV., Non è bene che l’uomo sia solo. La scommessa dei gruppi di omosessuali cristiani e dei loro genitori, seconda edizione, edito da La Tenda di Gionata, ottobre 2022, pp.14-19
«Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro» (Atti degli Apostoli 15, 12).
Questo versetto degli Atti è stato scelto come titolo del “Quinto Forum Italiano dei cristiani LGBT+”[2] del 2018, l’ultimo celebrato in presenza ad Albano Laziale[3] prima della Pandemia, ma il primo ad inaugurare una nuova prassi nella Pastorale con persone LGBT+.
Forum precedenti erano organizzati da un coordinamento dei gruppi locali di cristiani omosessuali; nel Forum del 2016 erano stati invitati anche alcuni genitori e alcuni operatori pastorali, come ospiti; e i giovani stavano appena pensando di organizzarsi a livello nazionale.
Nel 2018, invece, il Forum fu organizzato insieme dai gruppi locali dei cristiani omosessuali, dalle associazioni nazionali, dai genitori con figli LGBT+ che cominciavano ad organizzarsi a livello nazionale, dai giovani ormai costituiti in un “Progetto”, e dagli operatori pastorali che cominciavano a trovarsi come rete.
Una realtà pastorale complessa, fatta da vari gruppi, associazioni, reti di familiari, giovani, operatori pastorali sacerdoti e religiose; ciascuna realtà con dinamiche specifiche, ma riunite in un progetto comune: il Forum Nazionale come obiettivo immediato; la Pastorale con persone LGBT+, loro familiari e operatori, come obiettivo a lungo termine.
La presenza del vescovo di Albano Laziale – Mons. Marcello Semeraro – come Ordinario del luogo e come relatore nel Forum stesso rivelava anche l’intenzione esplicita di vivere questa pastorale in diretta collaborazione con i vescovi, anzi in piena interlocuzione con la Conferenza Episcopale Italiana, informata del Forum e del suo svolgimento.
Il versetto degli Atti, che fa riferimento ai racconti entusiasti di Barnaba e Paolo durante “concilio” di Gerusalemme – dopo che lo stesso Pietro aveva portato la sua testimonianza – intende evocare i segni e prodigi espliciti ed evidenti dello Spirito tra le nazioni, i gentili, cioè i pagani con- vertiti al Cristianesimo, che chiedevano di essere accolti nella Chiesa senza dover rinnegare le loro origini, non-ebraiche e quindi senza dover assumere la legge di Mosè come condizione per diventare cristiani: se lo Spirito opera già tra di loro, chi potrà impedire che entrino a far parte della Famiglia dei figli di Dio, la Chiesa? Per questo la Comunità Cristiana aprì pienamente le sue porte anche ai popoli che si trovavano fuori dai confini religiosi ebraici, e come conseguenza cambiò la sua natura: cessava d’essere una setta ebraica e diventava una via religiosa totalmente nuova e inedita, con la vocazione all’universalità, alla cattolicità.
Aver scelto quel versetto come titolo del Forum del 2018 (e di questo piccolo contributo sulla Pastorale con persone LGBT+ in Italia) vuole indicare la consapevolezza dei “soggetti” di questa pastorale, con le loro esistenze e soprattutto con i loro vissuti di fede – a volte sofferta, ma testarda – d’essere un “segno dei tempi” per la Chiesa, in senso evangelico. Cioè una realtà inedita per il vissuto ecclesiale che, se da una parte chiede che vengano aperte le porte e le braccia alle vite di queste persone, familiari ed amici; dall’altra ha la speranza di aiutare la Chiesa a crescere sempre più nella sua natura universale, non soltanto in senso geografico, ma anche esistenziale.
In fondo si tratta di aiutare la Chiesa ad approfondire la sua natura evangelica e cattolica, coerentemente con la sua Tradizione, che nel Concilio di Gerusalemme cominciava a muovere i primi passi. Questo è lo spirito profondo della Pastorale con persone LGBT+, loro genitori ed amici.
Hanno ben capito questo le 25 associazioni – ecclesiali e non – che all’inizio di quest’anno 2022 si sono incontrate in un gruppo sinodale con a tema la condizione delle delle persone LGBT+ nella Chiesa, pur non essendo associazioni specifiche di questa pastorale. Hanno inviato alla CEI il loro contributo, e poi anche alla Segreteria del Sinodo universa- le; insieme agli altri contributi delle realtà nazionali che si occupano di questa pastorale (associazioni, reti e operatori pastorali). È questo forte senso ecclesiale che ha convinto fin da subito tutti i soggetti di questa pastorale a partecipare in modo attivo al Cammino Sinodale.
Questo è avvenuto prima di tutto a livello locale, interagendo nelle parrocchie di appartenenza e nelle diocesi con le segreterie diocesane per il Sinodo; e poi a livello nazionale da parte delle realtà che fanno riferimento a tutto il territorio italiano, che per questo hanno interagito con la segreteria della CEI. È stato un processo di popolo (sono state varie centinaia le persone coinvolte in prima persona in questo cammino) che non ha cercato l’attenzione dei “media” ma ha incarnato una dinamica ecclesiale di comunione, proposta e dialogo.
Processo molto diverso dalla dinamica di “lobby” tipica dei gruppi ideologici e fondamentalisti, che pur non rappresentando nessuno se non se stessi, cercano di fare pressione con interventi mediatici estranei ad ogni tipo di dialogo, e incutendo timori con un stile scandalistico e apocalittico. Questo non è il nostro stile.
Quindi quello della Pastorale con persone LGBT+ è piuttosto uno stile ecclesiale. Coloro che si avvicinano al movimento dei cristiani LGBT+ se ne accorgono subito; lo possiamo dire noi operatori pastorali che siamo stati interpellati e “animati” da queste persone. Negli altri ambiti pastorali capita che gli operatori pastorali debbano “animare” le persone, i laici, appartenenti ai vari ambiti; a volte si ha l’impressione che si offrano risposte pastorali in contesti dove non vengono espresse domande, o le domande siano altre. Nella pastorale con persone LGBT+ accade l’esatto contrario: le domande di fede e di partecipazione ecclesiale sono chiaramente espresse (d’altra parte, domande di tipo diverso in ambito LGBT+ avrebbero ben altri contesti pronti ad offrire altre risposte).
I cristiani LGBT+ esprimono un desiderio autentico, profondo, spirituale, sofferto e a lungo coltivato. Un desiderio di fede e di partecipazione ecclesiale che per motivi culturali, pregiudiziali e, solo alla fine dottrinali, ha trovato una difficile e ambigua accoglienza da parte della Chiesa.
Per questo i soggetti di questa pastorale – le persone LGBT+, loro familiari ed amici – si sono organizzati per anni ed anni (almeno 40) in modo autonomo, accontentandosi della cura pastorale che sporadicamente veniva concessa; ma soprattutto organizzandosi il meglio possibile per vivere la novità evangelica nelle loro esistenze.
Ed ecco che ora questa pastorale[4] si caratterizza soprattutto per gli incontri dei gruppi locali di cristiani LGBT+: gruppi “protetti” dove poter esprimere liberamente la propria identità e la propria fede; ma anche “protesi” ad una testimonianza di vita che sia luce per altri. Gruppi di genitori di figli LGBT+, dove poter riscattare il dono di grazia che sono i loro figli, dal pregiudizio che li vorrebbe vedere come una disgrazia.[5]
Gruppi di giovani, capaci di esprimere con freschezza e autenticità una fede entusiasta nella preghiera e nello stare insieme fraterno e amicale.[6]
Occasioni quotidiane di preghiera comune online, perché anche i dispersi possano ritrovarsi in una comunione di fede che sostiene e accompagna le loro fatiche di ogni giorno.[7] Incontri formativi e di scambio pastorale per gli operatori che sentono come priorità per la Chiesa l’abitare e percorrere le frontiere esistenziali…[8] fino ai confini del mondo.
Un contesto pastorale, quindi, molto vivo, molto variegato, dove ognuno – i laici soprattutto – è protagonista e testimone di fede e comunione per i vicini ed i lontani; un ambito pastorale che, per questo, è entrato immediatamente in sintonia con la dinamica sinodale proposta ultimamente dalla Chiesa Universale.
Sono questi i motivi per cui questa pastorale è particolarmente recetti- va delle istanze proprie del recente magistero pontificio, in particolare le Esortazioni Apostoliche Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia. I criteri pastorali, in particolare il discernimento, che caratterizzano il capitolo VIII di A.L. – rivolti soprattutto alle situazioni matrimoniali “irregolari”, ma estesi dal Papa ad ogni situazione simile (cfr. n. 297) – trovano nella Pastorale con persone LGBT+ un contesto di particolare applicazione.
Per questo, a mio personale parere, non è un cambio della dottrina la priorità attuale della Pastorale con persone LGBT+, ma un cambio di mentalità e prassi religiosa, ecclesiastica e pastorale che le stesse Esortazioni Apostoliche Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia invocano e promuovono. Infatti, non c’è alcun impedimento dottrinale perché le persone LGBT+ possano essere integrate pienamente nella pastorale ordinaria, nei gruppi parrocchiali giovani o adulti, nelle associazioni cattoliche e nei movimenti. Anzi, lo stesso Catechismo afferma che queste persone «devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione», come più volte ha ricordato Papa Francesco.
Il problema è una mentalità pseudo-religiosa che ancora attinge a retaggi culturali legalisti, identitari e fondamentalisti che non ha nulla a che vedere con i criteri evangelici e cattolici, e che lo stesso magistero pontificio vuole combattere. Anche la questione più problematica – quella delle coppie LGBT+ e del loro riconoscimento civile – può benissimo essere affrontata ed integrata con i criteri pastorali che A.L. applica alle seconde unioni dei divorziati o ai matrimoni civili; i criteri morali e pastorali a cui attingere sono gli stessi.[9]
Ma come è accaduto in riferimento a quelle situazioni “irregolari”, sono stati quei retaggi culturali legalisti e fondamentalisti ad attaccare il magistero pontificio. Il problema principale, dunque, non è la dottrina, ma quelle istanze pseudo-religiose che deformano la dottrina e la piegano alle loro idee facendosi beffe della Tradizione. Ciò che serve, specialmente per gli operatori pastorali, è dunque una solida formazione antropologica, teologica e pastorale; ed è esattamente ciò che nella nostra Pastorale stiamo promuovendo e facilitando.[10]
In conclusione, la pastorale con persone LGBT+, lungi dal voler rivendicare una posizione di “nicchia” – i maliziosi direbbero “ghetto” – aspira ad essere integrata nella pastorale ordinaria; aspira a scomparire.
I cristiani LGBT+ attendono con ansia i tempi in cui non sarà più necessario aggiungere l’acronimo “LGBT+” per poter essere accolti semplicemente come “cristiani”, “figli di Dio”, con il loro orientamento sessuale, la loro identità di genere e la loro capacità di amare,[11] come ogni altro; e questo nei gruppi parrocchiali, nelle associazioni cattoliche, nei servizi ecclesiali… come cristiani e basta.
I cristiani LGBT+ attendono con ansia i tempi in cui non ci sarà più bisogno di veglie di preghiera per le vittime dell’omo-transfobia; tempi in cui non ci saranno più queste vittime e non ci sarà più neanche quella sottile omofobia che li preferirebbe “invisibili”, anche nella Chiesa.
I cristiani LGBT+ attendono con ansia i tempi in cui i gesti di accoglienza del Papa e dei vescovi nei loro confronti non verranno più riportati dalle pagine dei giornali come gesti eccezionali (o riprovevoli) perché vorrà dire che saranno diventati gesti ordinari, scontati, quotidiani.
I cristiani LGBT+ sanno che questi sono anche i desideri della Chiesa nei loro confronti, e insieme si impegnano perché questi tempi giungano. I tempi di una Chiesa sempre in cammino per incarnare il Vangelo; i tempi di una Chiesa sempre più cattolica, e per questo veramente ecumenica; i tempi di una Chiesa sempre più sorella, amica e madre delle persone di questo mondo, sempre più…
L’attuale Pastorale con persone LGBT+, con questi desideri, testimonia questa Chiesa, vive questa Chiesa, prepara questa Chiesa.
* Padre Pino Piva, gesuita, si occupa di accompagnamento spirituale e della “Spiritualità dalle Frontiere”.
1. Ampliamento dell’intervento tenuto all’incontro-dibattito «Quali segni e prodigi. L’esperienza dei cristiani LGBT» (Firenze, 28 novembre 2019).
2. Come ricordato più volte, usiamo l’acronimo LGBT+ certamente non in senso ideologico, ma solamente per convenienza pastorale. Siamo consapevoli della grande diversità della situazione esistenziale delle lesbiche rispetto a quella degli uomini omosessuali (gay); e ancor di più rispetto al vissuto dei bisessuali – spesso già coniugati con figli; per non parlare delle persone transgender, che non mettono in questione l’orientamento sessuale, ma l’identità di genere… Consapevoli di tutto questo, riteniamo che sia una mancanza di rispetto pastorale identificare tutte queste situazioni nel termine “persone omosessuali”. L’acronimo LGBT+ è per questo una adeguata soluzione pastorale.
3. Cfr. G. GERACI (a cura di), “Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro”. Atti del V Forum italiano dei cristiani LGBT. Viator, 2019
4. Per una visione più ampia delle tante attività del movimento dei cristiani LGBT+, visita il portale: https://www.gionata.org, in particolare gli “Ebook” scaricabili.
5. Cfr. LA TENDA DI GIONATA (a cura di), Genitori Fortunati. Vivere da credenti il coming out dei figli, Effatà, 2022
6. Per leggere il loro contributo cfr. https://www.gionata.org/fuori-dallarmadio.
7. Cfr. «Preghiera online» su https://www.gionata.org/preghieraonline.
9. Cfr. W. KASPER, Il Messaggio di Amoris Laetitia. Una discussione fraterna. Queriniana, 2018, pp. 55-62.
10. Con il grande contributo di Avvenire; cfr. L. MOIA, Chiesa e Omosessualità. Un’inchiesta alla luce del Magistero di Papa Francesco. San Paolo, 2020; L. MOIA, Figli di un dio minore? Le persone transgender e la loro dignità. San Paolo, 2022.
11. Cfr. A. FUMAGALLI, L’Amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana. Cittadella, 2020.