Ferite che generano speranza. I frutti del cammino dei cristiani LGBT+ e i loro genitori
Riflessioni* di Gianni Geraci** pubblicate in AA.VV., Non è bene che l’uomo sia solo. La scommessa dei gruppi di omosessuali cristiani e dei loro genitori, seconda edizione, edito da La Tenda di Gionata, ottobre 2022, pp.14-19
La storia degli omosessuali credenti italiani è segnata da molte ferite. Lo dimostra la nascita del gruppo Kairos di Firenze, avvenuta dopo il gesto disperato con cui Alfredo Ormando si è dato fuoco in piazza San Pietro per protestare «con la Chiesa che demonizza l’omosessualità».
Lo dimostra ancora di più il fatto che le veglie per le vittime dell’omofobia siano nate dopo che Matteo, un adolescente di Torino, si era suicidato a causa del bullismo dei compagni.
Ce lo ricorda il suicidio di Ferruccio Castellano, animatore e fondatore dei primi tentativi di aggregazione degli omosessuali credenti italiani. Ce lo ricorda Beat, la donna transessuale di Napoli, che è stata l’anima dei nostri incontri negli anni ottanta e che ha deciso di togliersi la vita senza spiegare a nessuno le ragioni del suo gesto.
Ce lo ricorda la morte di Augusto, provocata dalle infezioni dovute ai vaccini a cui si era sottoposto, pur di non dover raccontare la sua condizione di omosessuale e di sieropositivo al suo arcivescovo, che gli aveva chiesto di accompagnarlo in Africa.
Ce lo ricorda Paolo Seganti, un giovane romano che frequentava il gruppo La Sorgente di Roma e che è stato torturato e trucidato da alcuni criminali che non sono mai stati identificati. Ce lo ricorda Nerio, il presidente del gruppo La Parola di Vicenza che, senza mai dare alcun segnale del tarlo terribile che lo divorava dentro, ha deciso di porre fine alla sua vita lasciandosi dietro tante domande senza risposta. Non possiamo più nasconderlo!
Siamo un popolo dalle molte ferite. Ma siamo anche un popolo che ha saputo sempre conservare la speranza e che, di quella stessa speranza, vuole essere testimone in un panorama che rischia di spingere tanti verso la disperazione.
L’ha ricordato suor Fabrizia Giacobbe quando ha citato un brano della lettera Camminare insieme del cardinale Michele Pellegrino di fronte alla paura di chi parlava di “marxismo strisciante” diceva:
«Dobbiamo riconoscere che sono troppo scarsi, da parte della comunità ecclesiale, quei contatti che sarebbero necessari per conoscere a fondo il lavoratore e per aiutarlo a sentirsi Chiesa e vivere nella Chiesa. C’è difficoltà da parte di molti, sacerdoti e anche laici, e per tante cause, a investirsi dei problemi reali dei lavoratori. C’è una certa paura di compromettersi di fronte a rivendicazioni espresse talvolta in forma discutibile, ma spesso pienamente giustificate».
Proviamo a sostituire al termine “lavoratore” il termine “omosessuale” e, non solo ci ritroviamo catapultati in mezzo a uno dei più aspri dibattiti che dividono ora la Chiesa, ma addirittura abbiamo anche una chiave per affrontare questo dibattito nel modo giusto.
Padre Pino Piva descrive il senso di questo dibattito citando gli Atti del Sinodo sui giovani. In particolare si sofferma sul documento finale che, al punto 150, osserva come: «Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale». Si tratta di un’attenzione importante che dobbiamo prendere molto sul serio.
La stessa attenzione che c’è stata da parte del cardinale Marcello Semeraro che, quando era vescovo di Albano, non solo ha accettato di portare il suo saluto al V Forum italiano dei cristiani LGBT, ma ha anche aderito alla proposta di partecipare alla tavola rotonda finale, autorizzando la pubblicazione della relazione che aveva tenuto.
La sua disponibilità mi ha fatto ripensare a quando, nel 1998, in occasione della preparazione di un convegno che si teneva a Milano sul tema: «Le persone omosessuali nelle chiese. Problemi, percorsi e prospettive», avevo chiesto a un vescovo di intervenire e avevo ricevuto un biglietto con questa risposta: «Sono il primo a capire che non ci sarebbe niente di male se io venissi al vostro convegno per ricordare che nel magistero della Chiesa si parla di accoglienza, di rispetto, di delicatezza. Deve però capire che un gesto del genere potrebbe essere strumentalizzato».
Sono passati vent’anni e, forse, le ferite che ci hanno segnato stanno iniziando finalmente a dare i loro frutti perché «la Chiesa è sempre in cammino».
Cristiana Simonelli, durante un convegno ci ha ricordato le vicende che, nel corso del III secolo, hanno portato alla nascita del Sacramento della riconciliazione. «Nella scrittura c’era già tutto! – ha detto – Solo che nessuno ci aveva pensato, perché il problema della riammissione, all’interno della comunità ecclesiale, di quanti avevano rinnegato la fede non si era ancora posto».
L’emergere di una domanda nuova ha portato alla scoperta di quello che a noi, oggi, pare così evidente, ovvero che Dio, non solo ci ha perdonato, ma che continua a perdonarli. Se non ci fossero state le ferite di lapsi e libellatici che, con modalità diverse, avevano fatto l’errore di rinnegare la fede, questa comprensione non sarebbe emersa.
Ecco perché le ferite che hanno segnato la nostra storia di omosessuali credenti non vanno mai dimenticate: da queste ferite può nascere una comprensione più autentica del mistero della redenzione e della sua universalità. Da queste ferite può partire quel lavoro incessante che siamo chiamati a fare, per trasformare la Chiesa nel luogo in cui, per dirla con una felicissima frase di don Tonino Bello, «si vive la convivialità delle differenze».
* Rielaborazione di un articolo pubblicato su Adista Segni Nuovi ° 43 (14 dicembre 2019) pp.10-11.
** Gianni Geraci, è un volontario del Gruppo del Guado, il più antico gruppo di omosessuali credenti italiano, nato a Milano nel 1980 e membro de La Tenda di Gionata. Tra il 1996 e il 2006 è stato portavoce del Coordinamento Gruppi di Omosessuali Cristiani in Italia, un primo tentativo di creare una rete tra le realtà che, in Italia, si occupano di fede e omosessualità.