Sei tu chi stavamo aspettando? (Mt 11:2-11)
Riflessioni bibliche di Luigi T., volontario del Progetto Gionata
Matteo 11:2-11: «Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”».
«Quando avrò finito di seppellirti / non avrò più nulla da scrivere. / È ancora per te che di notte / mi alzo e traffico col buio / […] / deve andarsene questo pensiero / che m’ingombra la stanza di radici / darmi la tregua di una ricreazione / posarsi sul tavolo in cucina / guardarmi che lo guardo e sbalordire / davanti ai tuoi occhi così strani / due pozzi in cui lanciai la monetina / poi dirò solo ciao, addio» (G.Ghiotti, Alfabeto primitivo).
Ma ogni storia seppellita resta sulla pelle, e la notte è sempre una lunga litania di nomi, ripetuti, accarezzati, come a farli rivivere, a ricordare che ci sono stati, anche quelli che sembrano andati via fanno parte di me, sono parte di me, alla prossima storia tornano i loro occhi così strani, se non altro a chi verrà dopo darò qualcosa di meno, qualcosa in meno, darò quello che altri non hanno preso.
E ogni volta – a letto, dopo aver fatto l’amore, a voce alta o in silenzio – a chiedere, a chiedersi, a chiedergli: «Sei tu quello che deve venire, o devo aspettarne un altro?». Sperando di averla lanciata bene, questa volta, la monetina.
Se fossero sinceri – se foste sinceri – se fossimo sinceri, dovremmo rispondere: «No, non sono io. Non sono io quello che aspetti. Non sono io quello che guarisce il tuo desiderio, che calma la tua sete, che tranquillizza la tua fame. Per un po’ ti basterà, ma poi avrai ancora sete, avrai ancora fame. Non sono io».
D’altra parte, che misera cosa saremmo se potesse bastarci così poco. La fedeltà la impareremo quando ci convinceremo di questo: che il nostro desiderio non guarisce così. Che il nostro desiderio non guarisce.
Dobbiamo aspettare un altro – un Altro, perché siamo fatti per un Altro – perché «l’insaziabile può placarsi solo con l’inesauribile», l’aveva già capito Claudel, e i poeti queste cose le capiscono prima.