Volti e storie del coming out raccontate da Denis Parrot
Dialogo di Katya Parente con il regista Denis Parrot
Raccontare di sé è sempre difficile, dovendo mettere a nudo parti del proprio io che normalmente rimangono celate. E lo diventa ancora di più se il racconto comporta il disvelamento della propria sessualità.
Ed è proprio qui che entra in campo il nostro ospite di oggi, il regista Denis Parrot: classe ’74 (come mia moglie), ci parlerà del suo “Coming Out”, un collage di testimonianze web da ogni parte del mondo in cui diversi adolescenti rivelano in diretta la propria omosessualità.
Confidandosi coraggiosamente con i propri amici e familiari, questi giovani protagonisti hanno fermato nel tempo un momento indelebile e tra i più importanti della loro crescita. Ma diamo la parola al nostro ospite.
Chi è Denis Parrot?
Sono francese e vivo a Parigi. In origine sono editor di immagini e graphic designer. Ho iniziato come montatore del film “La ragazza sul ponte”, di Patrice Leconte. E poi ho continuato, sempre con lo stesso ruolo, in molti altri film e documentari (“Sur la trace d’Igor Rizzi” di Noël Mitrani, selezionato nel 2006 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e vincitore, sempre nel 2006, del Toronto Film Festival).
Nel 2015, come graphic designer, ho prodotto un film d’animazione in omaggio al regista giapponese Hayao Miyazaki, poi con “Revolting Rhymes” della BBC, nominato ad un Oscar nel 2018, ho lavorato ad un corto animato di un’opera di Roald Dahl. “Coming Out” è il mio primo film come regista.
Come ti è venuta l’idea di un documentario?
Due anni fa mi sono imbattuto in un video di YouTube: un ragazzo che al telefono dichiarava la sua omosessualità alla nonna, filmandosi con la sua webcam. Ho sentito in lui un’immensa difficoltà nel parlare, la paura di non essere capito o accettato. Ho anche intuito che, nella sua testa, aveva anticipato questo momento per mesi, o anche anni.
Il video dura una decina di minuti, e per nove, prima di riuscire a dirlo, ci sono stati molti silenzi, frasi banali di vita quotidiana. Questo video mi ha commosso parecchio, non solo per il mezzo utilizzato, molto semplice e un po’ tremolante, ma anche per quello di non detto che rivelava nei suoi silenzi. Allora ho visto che su YouTube non c’erano solo uno o due di questi video, ma migliaia, da diversi Paesi.
È un fenomeno piuttosto sconcertante. Non avevo intenzione di farci un film, ma ho capito subito che in quelle immagini c’era un soggetto con cui volevo avere a che fare.
Nel film non parli solamente di omosessualità, ma anche di identità di genere. Perché?
Perché si tratta comunque di due termini e di due percorsi molto diversi. Ma il coming out,
questa dichiarazione a famiglia ed amici, è esperita in maniera piuttosto simile, dal momento che è una sorta di annuncio che non sei “regolare”, che la tua relazione con il corpo, l’amore e la sessualità non si inserisce in una determinata norma sociale. E fare coming out può essere difficile, che tu sia gay o trans.
Il riscontro della critica è stato molto positivo. E per quanto riguarda il pubblico?
È molto diverso, dipende da dove si proietta. In Polonia, per esempio, l’atmosfera attorno a queste tematiche è parecchio problematica, e la società rimane molto maschilista e patriarcale. Ci sono anche altri Paesi dove è impensabile proiettare il film: le situazioni, nel mondo, sono estremamente diverse.
In Francia la pellicola, complessivamente, è stata accolta bene, e l’ho proiettata in molte scuole, dove il dibattito è stato molto vivace e interessante, e ha mostrato che sul tema ci sono ancora pregiudizi e tensioni. Ma la situazione si sta muovendo nella direzione giusta, e ho visto che si è evoluta molto da trent’anni a questa parte.
Che progetti hai per il futuro?
“Coming Out” è il mio primo film-documentario. Sono un editor d’immagini e un designer, ed è stato proprio questo soggetto che mi ha fatto venir voglia di fare questo film. Mi sono detto: “OK, devo farlo, è importante”. Così adesso il prossimo soggetto che mi si mostrerà con un senso d’urgenza… Quello della famiglia mi interessa molto.
Un lavoro certosino quello di Denis, il cui risultato mantiene la freschezza di una confidenza, lo stupore di una scoperta, la bellezza dell’accettazione e dell’amore, che fa ridere e commuovere. E pensare.