Un documento delle Chiese valdesi, metodiste e battiste sull’omosessualità
A cura del G.L.Om.* (gruppo di lavoro sull’omosessualità) della Chiesa Valdese, Metodista e Battista
Il G.l.Om è il gruppo di lavoro sull’omosessualità nominato, in seguito all’atto N/00 dell’Assemblea-Sinodo 2000, dalla Tavola Valdese (N.d.R. organo esecutivo dell’Unione delle chiese valdesi e metodiste in Italia) e dal Comitato Esecutivo dell’UCEBI (n.d.r. Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia) il 18 novembre 2000, composto da 3 membri battisti, Claudia Angeletti, Giorgio Rainelli e Silvia Rapisarda, da un membro metodista, Bruno Giaccone, e da due membri valdesi,. Daniele Bouchard e Letizia Tomassone (che ha sostituito nel 2004 Monica Michelin-Salomon).
Il gruppo ha ritenuto inizialmente di svolgere il compito affidatogli di rilanciare il dibattito nelle chiese a proposito dell’omosessualità non redigendo un documento sistematico (come richiesto dall’atto N/00), bensì producendo quattro agili schede su temi propedeutici:
1) chi sono gli/le omosessuali?;
2) la Bibbia e l’omosessualità;
3) come accogliere e valorizzare le diversità;
4) le relazioni d’amore al di là degli schematismi.
Tali schede sono state pubblicate in un inserto sul settimanale delle nostre chiese “Riforma” n. 44 del 15/11/2002 con l’invito alle chiese, alle associazioni regionali, etc. ad invitarci per poterne insieme discutere. E’ stata questa una scelta tesa ad attivare un autentico dialogo dal basso, che ha effettivamente provocato una ripresa del dibattito sull’argomento.
In questi termini: le nostre schede proponevano l’idea che le persone omosessuali altro non sono che persone come tutte le altre, che i pochi passi biblici inerenti l’omosessualità devono essere interpretati non letteralisticamente, ma nel loro contesto storico-culturale ed alla luce dell’Evangelo, che pertanto è necessario che le chiese si dispongano ad accettare le diversità di ciascuna/o senza discriminazioni né pregiudizi, infine che qualsiasi relazione d’amore dev’essere valorizzata come espressione dell’amore di Dio.
Le prime reazioni che si sono avute, sotto forma di articoli su “Riforma”, nonché di alcune lettere indirizzate alla coordinatrice, hanno mostrato come questo tipo di argomentazione non è facilmente accettabile, dal momento che nell’immaginario collettivo di una parte (quanto ampia?) della popolazione delle nostre chiese è invece stampata l’idea che l’omosessualità sia o “un peccato” o “un difetto di costruzione dell’individuo”, alquanto “pericoloso per la società”, che solo “un’acrobazia ermeneutica” (che screditerebbe la Scrittura) può indurre a considerare altrimenti (cfr. articolo “Letteralismo: il rischio opposto è l’acrobazia” di Luca Baschera su Riforma n. 2 del 10 gen. 2003 p. 15).
Al contrario, altre corrispondenze, soprattutto dall’esterno delle chiese, hanno dimostrato un interesse per il nostro modo di proporre questa tematica e per la tematica in sé del rapporto tra fede e omosessualità, rapporto che specialmente le persone omosessuali vorrebbero meno conflittuale; perciò l’attenzione e l’apertura all’accoglienza delle persone omosessuali in gran parte delle nostre chiese (o almeno l’assenza di un giudizio esplicito di condanna del loro vissuto) sono recepite con favore (si vedano per esempio gli appelli che il movimento omosessuale ha lanciato affinché l’otto per mille fosse destinato alle chiese valdo-metodiste).
Questa situazione ha creato l’attesa di una presa di posizione ufficiale che, più chiaramente di quanto non sia finora avvenuto, esprima un orientamento condiviso dalle chiese.
In particolare, questa richiesta ci è pervenuta in occasione di alcuni attacchi delle gerarchie vaticane alle minoranze sessuali ed alle loro richieste di riconoscimento e tutela legali.
Una prima volta nel 2002, quando il Pontificio Istituto per la Famiglia, presiseduto dal card. Alfonso Lopez Truijllo ha emanato il Lexicon, Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche” dove alla voce “omosessualità” si ripropone la definizione di “tendenza sessuale che si fissa sulla base di un conflitto psichico irrisolto” nettamente stigmatizzata come “contraria al vincolo sociale”; poi nel 2003 quando la Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal card. J. Ratzinger (attuale Papa Benedetto XVI) ha emanato le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”con le quali si ribadisce la disapprovazione del comportamento omosessuale e si invitano i politici cattolici a votare contro i progetti di legge favorevoli al riconoscimento di tali unioni in quanto”nocive per il retto sviluppo della società umana”.
Il nostro gruppo non è intervenuto pubblicamente sui documenti cattolico-romani citati, pur avendone presa visione, essendo il suo compito rivolto alle nostre chiese, ma ritiene opportuno che gli organismi competenti (ovvero gli esecutivi) in simili circostanze abbiano alle loro spalle una delibera/atto che permetta loro di esprimersi al riguardo con coraggio e con l’autorevolezza delle chiese che rappresentano, per difendere non solo la laicità dello stato, bensì anche e soprattutto le persone fatte segno di attacchi portati in nome di Dio e fortemente lesivi della loro dignità (oltre che della loro libertà).
Ciò ci sembra tanto più necessario in questo momento storico in cui si stanno chiudendo gli spazi dei diritti civili e tornano fortemente caratterizzate le discriminazioni nei confronti di quegli uomini e quelle donne che rivendicano la positività delle differenze, siano esse legate alla appartenenza etnica, al sesso, alla religione o all’orientamento sessuale.
La situazione delle nostre chiese è invece per ora “a metà del guado” e perciò piuttosto problematica e rischiosa a motivo della sua indefinitezza, determinata non solo dalla nostra struttura ecclesiale, ma anche dal permanere al nostro interno sia di diffidenze moralistiche verso l’omosessualità, sia di timori circa i rischi di divisioni e di scissioni che si corrono, come dimostra il disaccordo delle chiese anglicane dell’Africa sull’ordinazione di persone dichiaratamente omosessuali (caso Gene Robinson), o la recente fuoriuscita della Southern Baptist Convention dall’Alleanza Battista Mondiale (BWA), accusata di “liberalismo teologico inaccettabile” anche per le aperture sull’omosessualità.
In parte, la difficoltà di misurarsi serenamente con questo argomento è emersa anche in alcuni momenti durante i pochi incontri cui siamo stati invitati nell’ordine, all’Assemblea del 6° Circuito Valdo-metodista ad Omegna (11 maggio 2002), dove abbiamo attivato una breve animazione sulla presenza delle persone omosessuali nelle chiese, ad un incontro con i giovani delle Valli Valdesi (22 febbraio 2003) a Pinerolo; ad un pomeriggio con l’ACEBT (Associazione delle Chiese Evangeliche Battiste della Toscana) a Firenze (18 ottobre 2003) sul tema della diversità ad un momento di studio biblico con la Chiesa Battista di Roma Centocelle (27 aprile 2004).
D’altronde, proprio in questi momenti di incontro e confronto non poche sorelle e alcuni fratelli si sono dimostrate/i capaci di mettersi davvero in dialogo spinte/i dal desiderio di capire le ragioni dell’altro/a, le sue esigenze, i suoi problemi per imparare ad amarlo/a come fratello o sorella in Cristo.
Infatti se un rammarico ha il nostro gruppo è quello di aver potuto incontrare poche realtà ecclesiali; un dato questo che, se in alcuni casi corrisponde ad un’acquisita consapevolezza della realtà omosessuale accettata senza preclusioni, può essere interpretato, in altri casi probabilmente più numerosi, come un inespresso desiderio di non affrontare un argomento scomodo e controverso.
Esistenza lesbica e omosessuale maschile: creazione, giudizio e riconciliazione nelle Scritture ebraico-cristiane
Il nostro rapporto con la Scrittura non è di tipo letteralistico. Non andiamo a cercare nella Scrittura indicazioni etiche precise e risposte a domande che si pongono oggi in termini diversi rispetto al tempo in cui la Scrittura è stata composta. Cercare quel tipo di risposte sarebbe un po’ come usare la Bibbia per trarre oracoli, cosa che probabilmente rimanda a una valenza magica interessante per certa cultura del nostro tempo. Non è tuttavia la pratica di chiese come le nostre, che si pongono di fronte alla Parola con due atteggiamenti principali e preziosi:
– l’ascolto che scuote le convinzioni già formate, perché è ascolto di una Parola che converte e trasforma l’umanità;
– lo studio serio dei contesti in cui si sono formate le testimonianze portate in quei testi, studio che attraversa anche la comprensione che i testi hanno avuto nel corso della storia, e l’impatto sulle vite concrete di uomini e donne.
Per questo quando pensiamo alle nostre domande sullo statuto delle persone lesbiche e omosessuali, possiamo accostarci alle Scritture solo con grande attenzione e cautela.
I pochi testi classici utilizzano l’immagine dell’omosessualità, così come quelle della prostituzione e dell’adulterio, come metafore della lontananza da Dio. Non tutte le metafore di idolatria e peccato nascono da questo linguaggio sessuato, e le donne, che insieme agli omosessuali hanno patito di più sulla propria pelle questo linguaggio del disprezzo, stanno ridando valore ai linguaggi altri.
Il peccato può essere detto con categorie diverse dall’infedeltà della “sposa” umana al suo Dio padrone, usando per esempio l’incapacità di fare il bene (Rom. 7:19), la paura che prevale sulla fiducia (I Giov. 4:2), l’albero che non porta frutti (Mat. 21:18s.), etc. Liberare il nostro linguaggio dalle metafore sessuate ci aiuta ad uscire da un ordine del mondo patriarcale, che crea gerarchie e produce oppressioni. Al contrario, le nostre parole, anche nei momenti liturgici, e la Parola di Dio ci sono date perché producano vita e gioia, per la forza dello Spirito Santo.
Così i classici testi che vengono proposti per condannare l’omosessualità vanno ricollocati nel loro contesto, ma allo stesso tempo vanno letti con attenzione alla nostra domanda: perché chiediamo alla Scrittura di legittimare le nostre posizioni etiche? Perché la forza dello Spirito non è tale da permetterci di accogliere la parzialità delle nostre posizioni, e quindi di riconoscere la presenza di Dio nel cammino dell’altro, dell’altra? Il Glom fornisce in appendice delle schede esegetiche sui diversi testi di condanna della pratica omosessuale nella Scrittura (Gen 19:1-11; Lev 18:22; 20:13; Ro 1:27).
Quello che ci preme qui è dare alcune indicazioni generali e lasciar lavorare i testi biblici come fonte di speranza in mezzo a noi.
1. Rispetto ai testi di condanna rileviamo che in nessuno dei casi citati si parla di una relazione d’amore: in Genesi è in atto una situazione di violenza sessuale, simile a quella raccontata in Giudici 19:22s; in Levitico e Romani si parla di “atti omosessuali”. Per noi invece è importante sottolineare la dimensione relazionale dell’amore e della sessualità, e questo è un cammino che riguarda tanto la sessualità eterosessuale quanto quella omosessuale.
2. Inoltre c’è da tener conto di una cultura come quella ebraica che dava grande priorità al concepimento di figli/e e non poteva quindi accettare unioni non fertili (cosa che portava a situazioni di violenza e ripudio anche nei confronti di donne sterili). Per noi oggi è invece prioritaria in un’unione la capacità di produrre società, e, nonostante gli allarmismi “etnici”sul basso tasso di natalità in Italia, non abbiamo bisogno di spingere per maggiori nascite di esseri umani al mondo.
3. Quella scala di valori si inseriva poi in un codice che classificava il mondo secondo i criteri del puro e dell’impuro, della separazione e della non mescolanza. Per noi il mondo si esprime invece proprio nella complessità e nella condivisione di differenze che creano ricchezze umane e naturali.
Ma vorremmo anche sottolineare come la Scrittura sia una fonte potente di speranza e aiuti a costruire la vita delle persone, in qualunque situazione esse si trovino.
Va avanti ormai da decenni una rilettura della Bibbia da parte dei gruppi omosessuali cristiani, ed è una lettura fatta insieme per scoprire in che modo scaturisce la grazia di Dio nei confronti di ogni sua figlia e figlio.
Così vengono letti testi che riguardano relazioni fra persone dello stesso sesso, ma anche testi che parlano della buona creazione di Dio, della guarigione delle ferite inflitte dalla violenza e dalle logiche del disprezzo umano, dell’amore che scaturisce dal sentirsi accolti da Dio e reintegrati nella propria pelle. Testi che parlano di amore fra uomini sono rintracciabili nelle due parti della Scrittura: la vicenda nota di David e Gionatan (I Sam 18:1 s.;20: 17-41; II Sam 1:26) ma anche il rapporto fra il centurione romano e il suo “ragazzo” (Matteo 8:5-13).
Più difficile è trovare relazioni d’amore fra due donne, se non, in senso ampio, quella fra Rut e Noemi; è tuttavia notevole il fatto che ancora oggi percepiamo la promessa fatta dalla giovane alla donna anziana come una promessa matrimoniale (Rut 1:l6 s.).
Appunto in questo senso più ampio è bello che la Scrittura affermi che nel viso dell’altro, dell’altra, possiamo rintracciare la presenza stessa di Dio: “Io ho visto il tuo volto come uno vede il volto di Dio” (Gen. 33:10). Tutto lo sviluppo di una teologia contemporanea del volto dell’altro, come ad esempio ce lo propone Levinas, ci richiama a queste radici ebraiche nelle quali Dio si manifesta attraverso la presenza gioiosa, riconciliata, amorosa dell’altro/a.
Che l’evangelo sia una richiesta esigente di trasformazione della vita, consapevolezza di peccato e annuncio di una grazia che passa attraverso la rinascita, è un messaggio che può essere accolto senza riserve da lesbiche e omosessuali solo in quanto, proprio come gli/le eterosessuali, acquisiscono la fiducia di essere figli/e amati/e di Dio e di essere pienamente accolti da Dio in Gesù Cristo.
Anche qui, trasformare la richiesta di conversione in una richiesta che riguarda la sessualità significherebbe subordinare ancora l’evangelo che libera ad un codice culturale di eterosessualità obbligatoria.
Infine sappiamo, come chiese, di dover riprendere l’esame di quella narrazione (Gen 1:27) che indica la differenza sessuale come categoria originaria e positiva della creazione operata da Dio. Ma non possiamo confondere i dati creazionali o quelli biologici con l’etica. Conosciamo la fatica, nella storia della cristianità, di riconoscere piena soggettività di creatura completa alla donna di fronte a Dio.
Se siamo usciti da quell’impasse è perché abbiamo ascoltato la voce delle ultime e delle oppresse. Oggi, per uscire da un’oppressione altrettanto pesante quale quella esercitata nei confronti delle persone omosessuali, che cancella la fiducia nella bontà della propria esistenza e non permette di maturare nel proprio cammino spirituale, possiamo sottolineare la dimensione diretta e personale del rapporto di Dio con ogni essere umano, uomo o donna, in ogni età della vita e in ogni condizione.
Consideriamo come messaggio di questo evangelo inclusivo della grazia di Dio la parola sugli eunuchi che si credono esclusi dall’appartenenza al popolo che Dio abbraccia come suo, l’umanità riconciliata in Gesù Cristo: “Io darò loro, nella mia casa e dentro le mie mura, un posto e un nome, che avranno più valore di figli e figlie; darò loro un nome eterno, che non perirà più.. .e li rallegrerò nella mia casa di preghiera.” (Isa 56:5,7). “Perché il regno di Dio è giustizia, pace e gioia, nello Spirito Santo” (Ro 14:18).
Alcuni dati scientifici
Omosessualità è termine di recente formazione, coniato nel 1869 dal medico ungherese Karoly M. Benkert; dall’aggettivo greco omoios stesso, uguale indica l’attrazione sessuale per una persona del proprio stesso sesso, a differenza della parola eterosessualità che indica l’attrazione sessuale per persona di sesso opposto al proprio, dal greco eteros altro, diverso.
Il concetto di omosessualità o eterosessualità è in relazione con il concetto di identità sessuale, cioè la descrizione della dimensione soggettiva del proprio essere sessuati. Tale descrizione, pur cercando di rispondere ad un’esigenza di stabilità, contiene spesso elementi di incertezza ed imprevedibilità, essendo l’esito di processi di formazione in cui interagiscono in modo complesso aspetti biologici, culturali ed educativi.
Le attuali teorie della sessuologia considerano l’identità sessuale una costruzione con 4 distinte componenti:
– Il sesso biologico, cioè l’appartenenza al sesso femminile o maschile determinato dai cromosomi sessuali.
– L’identità di genere, cioè la convinzione individuale di base, l’identificazione primaria della persona come femmina o come maschio che si stabilisce nella prima infanzia; l’identità di genere coincide spesso (ad esclusione dei transessuali e dei transgender) con il proprio sesso biologico a motivo sia dell’influenza delle predisposizioni biologiche ma anche dell’apprendimento sociale.
– Il ruolo di genere, ovverosia l’insieme delle aspettative su come uomini e donne debbano comportarsi in una data cultura ed in un dato periodo storico; il ruolo di genere consiste spesso in stereotipi, modelli prefissati spesso pregiudiziali che definiscono ciò che è appropriato per una femmina o per un maschio come apparenza fisica, personalità, gesti.
– L’orientamento sessuale, cioè l’indirizzo prevalente dell’attrazione affettiva/sentimentale e fisico/erotica insieme per persone o di entrambi i sessi (bisessuale), o dello stesso sesso omosessuale) o del sesso opposto (eterosessuale).
L’orientamento sessuale emerge in ogni persona come un insieme di sensazioni e preferenze spontanee e naturali del tutto personalizzato ed unico; esso esiste come condizione, alla stessa stregua dell’impronta digitale, in qualche modo data prima dell’inevitabile percorso di riflessione sul proprio sé, sulla base della propria esperienza affettiva (di chi mi innamoro?) e della scelta conseguente di un determinato comportamento sessuale (con chi faccio l’amore?) in cui si esplicita il proprio desiderio.
In conclusione, omosessualità è da intendersi come una dimensione possibile dell’identità personale orientata affettivamente ed eroticamente verso persone del proprio stesso sesso biologico.
L’omosessualità si esplicita nelle umane dinamiche relazionali come l’innamoramento, le fantasie, il desiderio, la costruzione di percorsi di vita in comune con l’amato/a, i litigi, il rapporto sessuale, la cura reciproca, la convivenza, talvolta la separazione e il tradimento, talvolta la gelosia, la procreazione di prole o l’adozione, l’allevamento e l’educazione dei figli e delle figlie.
La consacrazione ai ministeri di persone omosessuali e la benedizione delle convivenze delle coppie omosessuali
Qualche anno fa la Tavola Valdese ha chiesto al Corpo pastorale valdese e metodista se riteneva potessero esservi degli ostacoli alla consacrazione al ministero pastorale di una persona che si dichiarava pubblicamente omosessuale. Il dibattito fu unanime nel non vedere il problema, mentre segnalò che sarebbe stato opportuno occuparsi della questione della benedizione di unioni omosessuali.
Il nostro gruppo di lavoro condivide quella posizione. Riteniamo che l’orientamento sessuale, in quanto è una delle caratteristiche che costituiscono la particolarità di ogni persona (insieme al genere, al carattere, ai doni e difficoltà particolari etc.), concorra a definire le potenzialità ed i limiti della particolare persona nell’esercizio concreto del ministero che la chiesa le affida, ma non abbia alcuna rilevanza quanto alle condizioni di ammissione a qualunque ministero nella chiesa. Ci auguriamo quindi che non vi sia da proseguire la discussione sull’argomento.
Viceversa, la questione della benedizione delle unioni di fatto, omosessuali ed eterosessuali, ci pare meriti un approfondimento. Il gruppo è convinto che, laddove due persone si ritengano unite in matrimonio o in un progetto di vita comune e chiedano la benedizione di questa unione, le chiese dovrebbero accogliere la richiesta, indipendentemente dalle forme che la coppia ha scelto o ha avuto la possibilità di adottare per certificare pubblicamente il proprio matrimonio o la propria unione.
Se l’origine della benedizione è in Dio, le chiese non possono accampare alcun potere su di essa, ma sono semplicemente chiamate al servizio di trasmettere tramite la loro parola umana il sì di Dio a tutta la sua creazione, senza distinzione alcuna.
La benedizione (berakhah) in tutta la Bibbia, in particolare nell’Antico Testamento, si configura come la promessa di una vicinanza amorevole e solidale di Dio pronunciata in una situazione specifica della vita delle persone.
E’ una parola di grazia, alla quale si congiunge da una parte l’impegno della comunità benedicente a pregare per sostenere la/le persone benedette nel loro specifico progetto di vita, dall’altra la confessione di fede delle persone che, chiedendo la benedizione, manifestano il bisogno dell’aiuto di Dio nella loro esistenza e la fiducia nel Signore.
Nelle Chiese protestanti storiche le benedizioni sono pronunciate non solo in occasione dei matrimoni, ma anche di battesimi e presentazioni dei bambini, confermazioni, anniversari, consacrazioni pastorali, diaconali e dei ministeri locali, nella fiducia della disposizione benevolente di Dio di fronte a tutte queste situazioni.
Le coppie omosessuali come le coppie eterosessuali desiderano condividere la loro vita con la persona amata, a tutti i livelli, da quello spirituale, a quello materiale, da quello affettivo, a quello erotico-sessuale. Il desiderio di essere riconosciuti come coppia a livello ecclesiale e sociale, oltre a manifestare una volontà di continuità nel progetto di vita, produce l’espansione dell’amore nel mondo, al pari delle coppie eterosessuali.
Come afferma Desmond Tutu, “che un uomo ami una donna o un altro uomo, o che una donna ami un uomo o un’altra donna, a Dio sempre amore appare, e si rallegra ogni volta che riconosciamo di avere bisogno degli altri”.
L’unica differenza è nel fatto che le coppie omosessuali non richiedono la benedizione per la procreazione. D’altronde, la maggior parte delle liturgie nuziali protestanti non parlano della procreazione, bensì sottolineano fortemente che la vita di coppia si configura come uno spazio creativo in senso lato.
Infine, nelle liturgie nuziali protestanti si dà prova di una grande libertà liturgica e pertanto auspichiamo che nella revisione delle liturgie per matrimoni e benedizioni di matrimonio possano essere inseriti elementi adatti anche per le coppie omosessuali.
In conclusione, il nostro gruppo di lavoro ritiene che la richiesta di benedizione delle coppie omosessuali chiama le chiese locali (prima della decisione in Assemblea-Sinodo BMV) a riavviare il dibattito sull’argomento, in vista della maturazione di una posizione consapevole, che, sola, permetterà la piena partecipazione dei membri omosessuali alla vita della comunità.
* Il documento stilato dal “Gruppo di Lavoro sull’omosessualità” (G.l.Om.) è parte della complessa discussione che ha preso il via all’interno della chiesa Valdese, Metodista e Battista. e su cui ogni comunità è stata chiamata a pronunciarsi.