Il dramma di Kirk, il bambino che giocava con le Barbie
Articolo del 6 febbraio 2013 di Delia Vaccarello pubblicato su l’Unità
Se si desidera un gioco che non è «da maschi» e con una terapia correttiva si viene dissuasi e fortemente disapprovati da chi ci è più caro al mondo, crescendo si diventa come grandi talpe: persone che cercano l’invisibilità, spaventate da tutto.
Si consuma la tragedia: i desideri sono spenti, i giochi estinti. Ogni volta che il piacere e l’amore si affacciano alla vita esplode un conflitto interiore dolorosissimo che spinge al suicidio. È la storia di Kirk Andrew Murphy, morto perché da bambino adorava giocare con le Barbie.
«Hai un figlio effeminato? Niente paura, lo faremo tornare uomo. Gratis». Era uno slogan pubblicitario diffuso in California nel 1970. La madre di Kirk era atterrita dalla passione del figlio piccolo per le bambole e per i servizi da the.
Rispose all’annuncio, contattò un giovane psicologo del Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality, che si chiamava George Rekers. Kirk iniziò le sedute: gli mostravano due tavoli, sopra uno di questi c’erano le Barbie, sull’altro pistole e fucili. Fu chiamata a collaborare anche la madre, quando Kirk sceglieva i giochi «da femmina» doveva disapprovare pesantemente il figlio.
BOTTE PER «IL SUO BENE»
Ancora, il padre di Kirk, che non era un uomo violento, fu costretto a picchiare il figlio più piccolo perché i dottori dicevano che era «per il suo bene». Entrato a far parte del «Sissy Boys Experient» della University of California ispirato alle terapie riparative, Kirk ne uscì svuotato.
La sorella racconta che quando tornava da scuola prendeva un bastone, lo stesso per anni, e camminava avanti e indietro anche per ore. Lo teneva stretto tra le mani, come se mimasse il gesto di falciare l’erba. A volte piangeva.
Lei doveva fargli da palo. Doveva stare attenta che i genitori non lo vedessero: non volevano che i vicini lo prendessero per pazzo. Narth ha continuato a ritenere valide le terapie riparative avendo anche una certa presa in Italia, nonostante l’omosessualità non sia più considerata una malattia mentale (l’Oms la depenna nel 1990). Tante le vittime come Kirk.
Il giovane tentò una prima volta il suicidio intorno ai 17 anni in seguito ai profondi sensi di colpa scatenati dal piacere provato nel rapporto con un compagno. Visse una vita da «talpa», incapace di scegliere il bene per sé, pronto a trovarsi a suo agio solo nel dolore.
Il padre si sentì colpevole e iniziò a bere, perse il lavoro, i genitori divorziarono. Kirk si è tolto la vita nel 2003. Si è appeso al ventilatore in una stanza a Nuova Delhi, dove lavorava, dopo anni vissuti nell’ombra a provare a vivere secondo un imperioso «come tu mi vuoi». La sorella ha scoperto il segreto di famiglia nel 2010, quando il fratello le ha rivelato le visite dallo psicologo. Nello stesso anno il dottor Rekers che aveva scritto un libro sulla «perfetta guarigione» di Kirk è stato scoperto in compagnia di un gigolò.
Il sospetto è che Rekers combatta da una vita contro se stesso. La storia di Kirk è diventata una pièce teatrale. Sissy boy di Franca De Angelis, regia di Anna Cianca, interprete Galliano Mariani, mette in scena la conferenza del Signor S.B. Rappresentato a Roddi al festival dell’Incanto, verrà rilanciato questa estate a Roma e forse in primavera a Venezia.
In scena le trappole di un dolore che trafigge ogni slancio vitale, la tragedia della repressione dei desideri, le tappe emotive di chi lotta per ritrovarsi ed è capace di poesia e profonda ironia.