“Chi ha paura dell’amore?”. Il racconto di una madre con un figlio gay
Dialogo di Katya Parente con la scrittrice Flavia Ferroni
Qualche giorno fa ci è arrivato questo messaggio: “Buongiorno, vi seguo da un po’ con interesse e ammirazione, da quando mio figlio, a 16 anni, ha fatto coming out. È stato l’inizio di un percorso meraviglioso, che mi sento spinta a testimoniare, soprattutto all’interno della Chiesa. Ho appena pubblicato un libro per ragazzi, destinato in particolare alle scuole medie, sperando di offrire uno spunto di riflessione e dialogo costruttivo tra diverse generazioni. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate”.
Chi ce l’ha mandato è, come intuibile, una mamma, Flavia Ferroni, che oggi è nostra ospite per parlarci della sua storia, che ha scritto in “Chi ha paura dell’amore?” (Editore Simone, 2023).
Perché scrivere un libro?
Quando mio figlio, a sedici anni, mi ha detto di essere gay, mi è scoppiata una bomba nello stomaco. Pensavo di avere una mentalità aperta riguardo all’omosessualità. Tuttavia, in quel preciso istante, un tema che prima affrontavo solo con la testa si era materializzato nella mia vita reale, facendo irruzione anche nel cuore.
È stato l’inizio di un percorso inatteso, difficile e bellissimo, in cui ho scoperto di essere ignorante sull’argomento, e di avere dei pregiudizi. Toccare con mano la sofferenza di mio figlio, proprio a causa dell’ignoranza e dei pregiudizi, è stato doloroso, ma allo stesso tempo mi ha sollecitato a testimoniare la mia esperienza per contribuire, nel mio piccolo, al processo di crescita culturale della nostra società.
La scrittura è il canale di comunicazione che mi riesce meglio, da qui mi è venuta l’idea di scrivere un libro.
A chi si rivolge in particolare?
Agli adolescenti e ai loro principali interlocutori: insegnanti, genitori, educatori. Il libro è un testo di narrativa destinato nello specifico alle scuole medie, ed è corredato da un ottimo apparato didattico realizzato dalla casa editrice Simone per la Scuola.
Il mio obiettivo infatti è di portare questo tema in classe, e offrire un’occasione di dialogo costruttivo tra generazioni, per favorire l’apprendimento, lo sviluppo consapevole delle proprie idee e il piacere dell’accoglienza reciproca.
Si dice che le mamme sappiano tutto. Aveva qualche sospetto dell’omosessualità di suo figlio prima che facesse coming out?
Sinceramente no, e mi costa molto ammetterlo! Ci ho riflettuto molto: com’è possibile che il suo coming out mi abbia colta impreparata, nonostante abbia sempre avuto un bel rapporto dialogante con mio figlio? Il fatto che a casa non parlasse mai di relazioni amorose o di ragazze lo attribuivo al suo essere discreto e riservato.
A volte ho immaginato che altri potessero sospettare che fosse gay, ma snobbavo quei pensieri, perché derivati da stereotipi: se un ragazzo è sensibile, ha tante amiche e nessuna fidanzata, mica deve essere per forza gay. Il che è vero.
Ma il fatto è che l’ipotesi che mio figlio potesse essere gay non l’avevo considerata un’opzione plausibile, dato che non c’erano “prove” evidenti.
Com’è cambiato il vostro rapporto?
Senz’altro in meglio. La disponibilità a una condivisione profonda e autentica ci ha spalancato l’opportunità di conoscere aspetti nuovi e inattesi l’uno dell’altra, e di apprezzarci di più. Scoprire chi è mio figlio, così come anche le altre due mie figlie, è un percorso che non finisce mai, e che mi riempie ogni giorno di stupore. Gli sono molto grata per la fiducia che mi ha dato nel condividere con me il suo percorso di consapevolezza.
Gli ho chiesto scusa per le volte in cui, senza rendermene conto, ho detto o fatto qualcosa che lo ha ferito, o che non gli ha facilitato l’accettazione di se stesso. Gli ho chiesto di avere pazienza con me, e di perdonare la mia ignoranza. Lui si è sempre mostrato comprensivo e disponibile a spiegarmi.
Ho imparato tantissimo da lui, e ho scoperto che avevo un’idea di amore piuttosto limitata. Da cristiana mi sono interrogata sul perché il Catechismo della Chiesa Cattolica contenga certe asserzioni nei riguardi delle relazioni omosessuali, che non solo stridono con le evidenze scientifiche, ma anche col messaggio evangelico.
Insieme a mio marito abbiamo deciso di impegnarci all’interno della Chiesa perché si apra ad un ascolto vivo delle persone LGBT+, e abbia il coraggio di rimuovere delle barriere ingiuste. Mio figlio è molto orgoglioso del nostro impegno per costruire una società più inclusiva, e ci sostiene con suggerimenti e riscontri.
Che consigli da a un genitore che si trovi ad affrontare la situazione che ha vissuto?
Ascoltare prima di tutto. Ascoltare col cuore, con rispetto e attenzione, senza presumere di saperne più di loro, senza fretta di dover dire o fare qualcosa, senza giudicare. Se i figli dicono di essere gay non lo fanno per provocare o per moda. Non stanno comunicando una loro scelta: essere gay non si decide e non si può spiegare, è così e basta.
I figli vanno accolti per come sono, accettando che siano diversi dalle nostre aspettative. Ricambiamo la loro fiducia e onestà, abbracciandoli e sostenendoli nel loro percorso d’inclusione e accettazione, prima di tutto in famiglia, senza paura dei giudizi degli altri. All’inizio il percorso è in salita, ma poi la strada si fa più facile, perché l’inclusione è contagio
E ai figli che volessero fare coming out?
Ho riscontrato come il fare coming out aiuti a liberarsi da un gran peso, e spesso segni l’inizio di un percorso di costruzione della propria felicità, in piena libertà. Per cui, in genere, prima si fa meglio è. Ma è anche vero che ciascuno deve valutare il modo e il momento migliore, in base alla propria situazione, senza forzature.
In un mondo ideale il coming out non avrebbe alcun senso, perché ciascuno vivrebbe apertamente ciò che è senza bisogno di esplicitare il proprio orientamento sessuale. Ma purtroppo in molti ambienti siamo ancora lontani da questa utopia.
A volte, il contesto sociale e la famiglia stessa sono ostili. In quel caso, potrebbe essere utile confrontarsi con qualcuno di cui ci si fida, magari una figura esterna, anche soltanto per provare l’esperienza di parlarne con qualcuno. E poi, pian piano, allargare il campo, via via che ci si sente più sicuri e protetti.
Ai figli che si scontrano con una prima reazione di chiusura da parte dei genitori direi: non scoraggiatevi. I genitori, come ciascuno di noi, sono condizionati dall’educazione che hanno ricevuto. Se potete, cercate di avere pazienza con loro. Se vi combattete “con la testa”, cioè sul piano dei princìpi e delle ideologie, forse non arriverete a un punto d’incontro.
Ma se siete, da entrambe le parti, disposti a confrontarvi col cuore, ovvero ad ascoltare e accogliere le esperienze, i limiti, le paure e le domande gli uni degli altri, probabilmente, col tempo e col vostro aiuto, riusciranno a metabolizzare una realtà alla quale non erano preparati. E allora avrete costruito con loro un rapporto nuovo, più autentico e saldo. Costa fatica, ma vale la pena provarci.
Ringraziamo Flavia, che ha voluto condividere con noi un pezzo delicato e non facile della sua vita. Per chi volesse ulteriori informazioni sul libro, rimandiamo al link della casa editrice.