Gesù di fronte alla teologia del giudizio (Luca 13,1-9)
Riflessioni bibliche di Kharma Amos, Deborah A. Appler, Greg Carey e Jacquie Church Young, tratte dal sito Out in Scripture (Stati Uniti), del gennaio 2013, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
In che mondo viviamo? Forse che Dio guarda giù sulla terra, sceglie delle persone e dei gruppi particolarmente malvagi e poi li annienta? Le letture tratte dal Nuovo Testamento per questa terza domenica di Quaresima ci mettono di fronte a una teologia del giudizio.
Cominciando la conversazione con Isaia 55,1-9, il lezionario di oggi allude anche a qualcosa di più utile. La Quaresima ci offre un’opportunità di rivalutare il “vecchio” modo di fare teologia del giudizio e di volgerci verso il “nuovo”.
La “teologia del giudizio” è anche troppo familiare. Sappiamo come va la storia. Dopo gli attacchi del 11 settembre Jerry Falwell subito citò lesbiche, gay, bisessuali e trangender, oltre alle femministe, tra le persone responsabili della debolezza dell’America.
In seguito all’uragano Katrina, John Hagee, pastore in una “megachiesa” e televangelista, attribuì la devastazione alla tolleranza di New Orleans in fatto di omosessualità. La teologia del giudizio dei nostri giorni va a braccetto con il considerare le persone LGBT dei capri espiatori.
– Conoscete altri esempi di teologia del giudizio diretta alla comunità LGBT? Le persone LGBT e i loro amici dovrebbero opporsi alla teologia del giudizio, ignorarla o cercare, da credenti, dei modi per riconsiderarla?
Dio non è una banderuola. Eppure è sorprendente come la teologia del giudizio si scagli di solito contro gli emarginati. La teologia del giudizio fa appello a quella parte di noi stessi che tende ad essere certa di sapere chi è realmente Dio. Musulmani o ebrei, cattolici, protestanti o ortodossi, noi pensiamo spesso di avere l’esclusiva su Dio e di capire perché Dio fa quel che fa. Vogliamo disperatamente spiegazioni e risposte. Dio probabilmente se la ride della nostra sicurezza nel giudicarci l’un l’altro. O magari piange?
In Luca 13,1-9 Gesù è alle prese con la teologia del giudizio. Gli viene riferito che il tiranno Ponzio Pilato ha massacrato un gruppo di Galilei, mescolando il loro sangue con quello dei loro sacrifici (versetti 1-2). Non conosciamo l’origine storica di questo racconto. Posto che sia veramente successo, i dettagli ci sfuggono.
In ogni caso Gesù allude a un altro fatto in cui diciotto persone perirono a causa di una torre crollata su di loro (versetto 4). Queste tragedie sembrano casuali ai lettori moderni. Pilato, come tutti i tiranni, è assetato di sangue. Molti edifici antichi erano fragili a causa della corruzione umana o semplicemente perché mal progettati.
“Cose che succedono” tendiamo a dire noi. Eppure i difensori della teologia del giudizio desiderano una spiegazione teologica per tutto, specialmente per i fatti sfortunati o tragici.
Insistono nel rispondere alla domanda “Di chi è la colpa quando persone innocenti soffrono e muoiono?” Essere capaci di indicare come responsabili certe azioni o mancanze umane è un modo di mettere ordine nel caos della vita, e anche di tenere Dio (e spesso tutti noi) ben lontano dalla sofferenza umana.
– Avete mai pensato che se la gente soffre, deve essere un diretto risultato dei suoi peccati? Di chi è la colpa quando persone innocenti soffrono e muoiono?
Gesù coglie l’occasione dei racconti tragici dai Galilei massacrati e della torre caduta per minare alla base la teologia del giudizio. Quando la malasorte colpisce il nostro prossimo è naturale chiederci perché noi ne siamo sfuggiti e altri no. Il senso di colpa dei sopravvissuti è un fenomeno con il quale abbiamo purtroppo familiarità.
Forse non è lusinghiero sapere questo di noi stessi, ma questo impulso ci spinge anche a compiacerci del nostro benessere. Siamo fortunati? Virtuosi? Benedetti? Nel racconto di Luca, Gesù si tiene lontano da tali spiegazioni individualistiche. Coloro che sono morti non erano peggiori di chiunque altro. Il loro destino, secondo Gesù, forse non è da imputare a loro, eppure chi non si pente – chi non si volge verso l’abbondanza di vita – porta il giudizio su di sé (versetto 5).
L’esperienza dell’HIV/AIDS nella comunità LGBT è un triste esempio contemporaneo. Nei primi anni, quando la malattia stava portando lo scompiglio nelle comunità gay maschili, i fondamentalisti religiosi dichiararono che l’AIDS era il dono di Dio per liberare il mondo dal male dell’omosessualità. La nube di quella teologia del giudizio fu oppressiva e mortifera per l’autostima e il benessere spirituale di molte persone LGBT.
Eppure sappiamo che l’HIV/AIDS non era e non è il giudizio di Dio contro l’omosessualità per le persone gay più di quanto sia il giudizio di Dio contro l’eterosessualità per le persone eterosessuali infettate e colpite dal virus. Eppure la stigmatizzazione dell’HIV/AIDS e il suo legame con questa teologia del giudizio erano così radicati che impedirono al governo degli Stati Uniti di usare la parola “AIDS” se non molto tempo dopo che la malattia fosse aggressivamente combattuta e compassionevolmente curata.
Gesù accenna a una cosa che sappiamo essere vera: dare la colpa alla vittima non è di nessun aiuto, e per lo più è fonte di vuote scuse per negare assistenza e compassione a coloro che soffrono.
Il pentimento che Gesù ha in mente trascende le personali debolezze morali. Piuttosto Gesù, il portatore di pace, invita tutti al pentimento, ad abbandonare la cultura della violenza, della retribuzione e dei capri espiatori. Gesù invita la sua cerchia a discernere i tempi. Delle sacche di resistenza si opponevano all’occupazione romana della Galilea e della Giudea.
La strada della resistenza violenta porterà poi a un grande disastro, la Rivolta Giudaica del 66-70 d.C. Una violenza simile, seppure in nome della liberazione, genera una violenza ancora maggiore. Chi persegue la violenza, a meno che non si penta, porta la distruzione su di sé e sugli altri.
In mezzo a questo grave monito Gesù ha anche una parola di speranza. Imbastisce una storia su un uomo che ha piantato una vigna (versetti 6-9). Non trovando frutti su un fico per tre anni, ordina al vignaiolo di tagliarlo.
Questi si oppone e suggerisce al padrone di aspettare un altro anno per vedere se il fico porterà frutto. Ringraziamo Dio per la pazienza che ha con noi e con la nostra società sempre pronta a giudicare!
In Luca Gesù rifiuta la teologia del giudizio; invita invece la gente ad allontanarsi dalla violenza e dallo sfruttamento. Paolo, che affronta circostanze molto diverse, richiama la teologia del giudizio in 1 Corinzi 10,1-13.
I credenti di Corinto hanno abbandonato le molte divinità della loro cultura pagana per la vita in Cristo. Paolo, sapendo che i Corinzi vivono ancora in un contesto in cui il suo vangelo è considerato pazzia, utilizza la teologia del giudizio a guisa di monito. Gli antenati di Israele saranno anche stati liberati dall’Egitto, ricorda Paolo, ma non tutti arrivarono a possedere la terra.
– Che cosa vorreste chiedere o dire a Paolo, oppure lo rifiutate, quando dice che i nostri antenati ebrei hanno sofferto “come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono” (versetto 6)?
Chi trova in Cristo una “nuova era” e la liberazione, cosa rischia quando partecipa all’era presente fatta di violenza e sfruttamento? Paolo invoca sì la teologia del giudizio, ma proclama anche la grazia corroborante di Dio, che sempre fornisce un modo per resistere (10,13).
Dio affranca i credenti da una cultura ostile, dando loro la forza di vivere nella “nuova era” di Cristo. Ancora una volta possiamo pensare alla Quaresima come un momento in cui abbandonare il passato, o magari in cui pensare ad accogliere il nuovo.
Isaia 55,1-9 si rivolge a un popolo che affronta la transizione dal vecchio al nuovo. La maggior parte degli interpreti assegna Isaia 55 al periodo dell’esilio di Giuda. Trasferiti d’autorità a Babilonia, molti si sono adattati bene a quel nuovo contesto culturale. Il profeta li incita ad abbandonare la vita a Babilonia per un rischioso viaggio di ritorno a Giuda. Pochissimi tra loro hanno mai visto Giuda e la strada fa paura. Cos’ha in serbo Dio per coloro che si metteranno in cammino?
Nel capitolo 55 il profeta incita il popolo a rischiare. Le cose familiari non li saziano veramente, non sono pane per il viaggio (versetto 2). Le loro attuali fatiche non portano autentica soddisfazione. Invece Dio li chiama a lasciare le cose familiari e prendersi il rischio del nuovo: “Venite a me… e voi vivrete” (versetto 3).
Il Salmo 62 (63), 1-8 ha la stessa attitudine. Qualunque siano le circostanze presenti, esse sono “terra deserta, arida, senz’acqua” (versetto 1). Il salmista desidera qualcosa di più, la soddisfazione dell’anima. La soddisfazione di cui il salmista è nostalgico non va intesa in senso puramente intellettuale o spirituale.
Piuttosto l’autore anela ad una unione con Dio pienamente corporale, sensuale ed erotica. Di lui anela la sua carne (versetto 2), si sazierà come a un lauto convito (versetto 6), o il giaciglio (versetto 7) visto come il luogo migliore per meditare su Dio: tutto ciò può causare un certo imbarazzo. Questo vale soprattutto per chi legge queste parole dall’alto del suo pulpito nelle chiese dove i corpi, e in special modo i corpi LGBT, sono visti come oggetti da sottomettere e vincere.
Di nuovo potremmo aggiungere alle nostre riflessioni quaresimali l’affermazione della bontà del corpo, incluso il suo bisogno di cibo, affetto e tocco vitale.
Questa sensualità, questa fisicità piena di vita è presente anche nelle immagini legate al cibo che si trovano in ognuno dei testi del lezionario di questa domenica. Isaia 55 celebra il piacere sensuale dell’acqua, del latte, del miele, del vino e del pane.
Nel Salmo 62 l’anima ha sete, ma per chi ha visto negata la propria piena umanità è preparato un lauto convito (versetto 6). 1 Corinzi 10 ricorda il cibo spirituale che ha ricevuto Israele. E la parabola della vigna di Gesù solletica la delizia della vigna e del suo frutto succulento. Questi testi riconoscono le nostre esigenze sensuali e terrene innalzandole a mezzi attraverso le quali Dio ci benedice.
In questa stagione di Quaresima poniamo attenzione non tanto a ciò che abbandoniamo quanto all’esplorare nuove strade. La teologia del giudizio ci avverte che Dio ci spia da dietro l’angolo, pronto a “sgamarci” quando facciamo un passo falso. Noi seguiamo Gesù rifiutando una simile teologia del giudizio. Ma se rimaniamo presi nelle solite strade ci perdiamo la strada che Dio prepara per noi.
– Quale buona novella avete scoperto nei passi di oggi, in particolar modo per vivere la vostra fede in una cultura che condanna? In che modo la buona novella offre una speranza e delle sfide a una chiesa e in particolare alla comunità LGBT?
La nostra preghiera
Dio di Grazia e Misericordia
in un mondo che rimprovera e giudica coloro che soffrono
noi desideriamo una strada diversa.
Aiutaci a volgerci verso di te
così che possiamo trovare la via per incarnare, per noi stessi e gli altri,
il tuo spirito di compassione e di grazia.
In ogni circostanza della nostra vita
abbiamo sete della tua pace che sorpassa la comprensione.
Attiraci vicino a te ora, e soddisfa il nostro anelito.
Amen
Testo originale: Out in Scripture