La pastorale LGBT+ tra ascolto, sportelli e piccoli inganni
Riflessioni di Massimo Battaglio
Dalla diocesi di San Severo (Foggia), riceviamo l’invito a un’iniziativa di “ascolto”: “Un incontro (im)possibile? La comunità cristiana ascolta i suoi figli LGBT e i loro genitori”. L’invito è corredato da una spiegazione, che riportiamo.
“Lo sportello di pastorale con le persone Lgbt della diocesi di San Severo insieme alla presidenza dell’Azione Cattolica diocesana e al Comitato di zona dell’Agesci ha organizzato a San Severo (Foggia) un incontro di ascolto, confronto e riflessione con le persone cristiane lgbt e i loro genitori nell’attuale stagione sinodale che la chiesa sta vivendo in questi anni. Metteremo al centro le loro storie di vita, i loro desideri, le loro sofferenze senza perdere di vista l’insegnamento tradizionale della Chiesa.
Si tratterà di una piccola tappa all’interno di un processo di nuovo ascolto tra il mondo ecclesiale e quello delle istanze delle persone cattoliche lgbt. Vedremo se é un incontro (im)possibile. Interverranno anche i responsabili delle due associazioni cattoliche e il nuovo vescovo di San Severo Giuseppe Mengoli. L’appuntamento é alle 19,30 dell’8 giugno nella Parrocchia di San Giuseppe Artigiano. Vi aspettiamo. Non mancate”.
Interessante. D’altra parte, gli amici di San Severo, solitamente, fanno un bel lavoro. Tuttavia, personalmente, mi sorgono alcune domande.
Ascoltare sì ma ascoltare chi?
Come detto nell’invito, interverranno persone inviate dalla diocesi, dall’Agesci e dall’Azione Cattolica. Non è prevista una relazione da parte di qualche gruppo LGBT+ cristiano né tantomeno laico. E’ pervenuto solo questo invito a partecipare tra il pubblico.
Allora: chi ascolta chi? E’ senz’altro bello che la Chiesa voglia ascoltare le persone LGBT+. Ma dunque, perché invece si limita a parlare “di” loro e non “con” loro? Anche la Meloni, Pillon e Fontana parlano spesso “di” persone LGBT+ ma non certo per venire loro incontro.
Ma cosa dici Massimo! – mi si obietterà – la cosa è organizzata dallo “sportello” della diocesi! Certo: la diocesi si è dotata di un servizio che consiste nell’ascoltare le persone LGBT+ che vi si rivolgono. Per cui, la loro voce arriverà, anche se indirettamente. Bene: quell’indirettamente non mi piace proprio. Sa di censura ecclesiastica.
Persone LGBT+ cristiane
Le persone LGBT+ cristiane sono portatrici di istanze diverse da quelle non cristiane? In parte sì: a loro interessa maggiormente una riforma della dottrina della Chiesa, che cancelli le obsolete storture contenute per esempio nel Catechismo, che sono alla radice della discriminazione delle persone omosessuali e transessuali. Ma questa istanza, proprio perché sta all’origine di tutto, non è monopolio dei cristiani. E’ nell’interesse di tutti.
Forse le persone LGBT+ cristiane si sentono maggiormente sollecitate dai temi della fedeltà e dell’esclusività del rapporto coppia, temi che, per un non credente, non sono ostativi. Ma siamo sicuro che questa differenza esista? Cioè: siamo certi che, per un non credente, la disgiunzione tra sessualità e vincolo coniugale non sia mai vissuta come un problema?
E in ogni caso, se si ascolta una persona, non le si chiede prima quale sia il suo credo. Si ascolta e basta. Si fa silenzio di fronte alle sue parole, come fece l’apostolo Filippo con l’eunuco etiope (AT 8,26-40) e come fece lo stesso Gesù coi discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53). Se gli Apostoli e Gesù stesso non avessero usato questa strategia, non avrebbero dato vita alla Chiesa perché si sarebbero dovuti limitare ad ascoltarsi tra loro.
“Senza perdere di vista l’insegnamento tradizionale della Chiesa”
Cosa significa? Che, se ci si sforza bene ma proprio bene, è possibile trovare qualche spiraglio di dialogo tra le istanze LGBT+ e l’insegnamento “tradizionale” della Chiesa? No ma siamo seri? Nella teoria, che è il criterio guida, la Chiesa, attraverso il proprio Catechismo e segnatamente ai numeri 2357-2358-2359, scrive quanto segue:
- La Sacra Scrittura presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni
- La Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati
- Gli atti di omosessualità sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
- Le persone omosessuali sono chiamate alla castità.
Come si può mantenere la vista puntata a questi comandi, vetusti e abominevoli, e pensare di confrontarsi con le persone omosessuali? Per caso, la risposta preconfezionata è: “amatevi pure ma non fate sesso”? Oppure: “fate pure le vostre cose ma senza dirlo”? O ancora: “non chiamiamolo matrimonio”?
Siamo sinceri: un punto d’incontro tra il magistero della Chiesa e le persone omosessuali sarà possibile quando si avrà il sacrosanto coraggio di aggiornare il magistero alla luce del progresso scientifico e sociale, di una conoscenza più approfondita delle Scritture, e dell’ascolto reale delle ormai innumerevoli testimonianze d’amore tra persone dello stesso sesso. Prima, è pia illusione.
E non mi si venga a dire che bisogna “cercare un punto d’incontro”, rinunciando a qualcosa per ottenere qualcos’altro. Ci sono cose per le quali “in media non stat virtus”. Una donna non può essere “un po’ incinta”. O aspetta o non aspetta, oppure è un falso allarme (e quindi non aspetta). E non si può essere “omosessuali ma non gay”: chi è gay ma anche un po’ etero è semplicemente bisessuale. E chi è gay ma non lo dà a vedere è sempicemente un represso. Spesso, la Chiesa, con le sue ricettine, non si rende conto di coltivare repressi.
Lo “sportello”
Oggi va di moda sostituire il vecchio termine “centro d’ascolto” con quello più spiritoso di “sportello”. La cosa mi ricorda un po’ Cinzia Leone quando interpretava l’impiegata delle poste alla “TV delle Ragazze”: quella aperta “dalle otto alle otto” che, alle domande del pubblico, rispondeva “siamo al baratro“. L’alternativa allo “sportello” è solitamente il “tavolo”, che però richiede di “mettersi tutti intorno“, magari coltivando l’illusione che tutti contino per uno.
Ma accettiamo l’idea dello “sportello“. Ci sono effettivamente momenti in cui una persona ha bisogno di parlare personalmente con un’altra che le dia delle risposte. Ma perché dovrebbe esistere uno “sportello” della diocesi, cioè un centro d’ascolto cattolico?
Siamo sicuri che la prima domanda che una persona si pone quando si scopre lesbica, gay, bisex, o trans, riguardi la possibile o impossibile conciliazione tra il proprio orientamento sessuale e quello religioso? Non ci sono altre priorità?
Va bene che la fede è importante ma, se ho mal di denti, di solito non passo dal confessore prima di andare dal dentista. Mi nasce quindi il sospetto che, chi ha inventato lo “sportello per persone LGBT+ cattoliche” (discutibile per i motivi esposti sopra), abbia invece in mente uno “sportello cattolico per persone LGBT+” (che è ancora peggio), cioè un luogo in cui la persona riceve risposte a questioni di ogni tipo – non solo religiose ma esistenziali, materiali, psicologiche – filtrate da una verifica di compatibilità con la dottrina cattolica. So che non è vero ma il rischio c’è.
E se non è vero – cosa di cui sono certo – che bisogno c’è di un centro d’ascolto per persone omosessuali gestito da una diocesi? Sfiducia nei confronti delle strutture laiche? Bisogno di distinguersi? Lo dico meglio: perché mai, dei volontari che desiderano mettere a disposizione la loro competenza in materia di ascolto, dovrebbero farlo per conto della Chiesa e non di un’associazione LGBT+ o di un’Amministrazione comunale? Spero che gli operatori di questo “centro d’ascolto” si siano almeno posti queste domande, prima di fare del volontariato purchessìa.
Altrimenti, altro che ascolto! Altro che confronto! Altro che dialogo! Si stanno semplicemente affinando le armi per ribadire i soliti pregiudizi ma con maggior savoir faire.