Cosa ci dice la dottrina cattolica sulla dignità delle persone LGBT?
Testo tratto dal libro LGBTQ Catholics: A Guide to Inclusive Ministry di Yunuen Trujillo (Paulist Press, 2022), capitolo 4, pagine 44-48, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
L’applicazione pratica della dottrina (cattolica) riguardante la dignità umana ha la sua chiave nella parola “persona”. Esistono innumerevoli ambiti in cui la dignità di una persona o di un gruppo è stata violata: pensiamo alla schiavitù, ai genocidi, agli attacchi contro specifici gruppi etnici o religiosi, o contro gli immigrati, e così via. Ognuno di questi eventi storici dimostra che l’ingiustizia è spesso preceduta da una retorica che indica nell’”altro” qualcosa di meno di una persona. Per questa ragione, il divario tra la teoria e la pratica, per quanto riguarda il trattare l’altro con dignità, dev’essere colmato dal significato della “persona” e di cosa voglia dire essere trattati come tali.
Non possiamo trattare con dignità le persone LGBTQ se non le trattiamo come persone e come esseri umani a pieno titolo, fatti a immagine e somiglianza di Dio e dotati fin dalla nascita di una dignità intrinseca, che deve essere rispettata. Noi siamo di più del nostro orientamento sessuale, della nostra identità, della nostra etnia, della nostra religione, e di qualsiasi altra nostra caratteristica. Le persone LGBTQ sono persone a pieno titolo, figli e figlie di Dio nati con dei doni divini, con la capacità di conoscere se stessi e di autodeterminarsi, con virtù e difetti, obiettivi e aneliti spirituali, interessi ed esigenze che vanno al di là dell’orientamento sessuale, nati con un’identità, all’interno di una comunità, dotati di una dignità che va rispettata. Dobbiamo guardare le persone LGBTQ cattoliche per quello sono, cioè persone, nostri fratelli e sorelle, parte del Corpo di Cristo come noi. Questo è importantissimo, e va messo in pratica se vogliamo seguire questo punto importante della dottrina.
Le persone LGBTQ vengono spogliate della loro umanità quando le loro vite e le loro esperienze vengono usate a beneficio di qualche agenda politica, o peggio, quando le consideriamo segno dell’avvento di “forze del male” o di un “futuro apocalittico”. Non dobbiamo disumanizzare le persone LGBTQ; non dobbiamo mai ridurre qualcuno a meno di una persona.
Cosa significa considerare le persone LGBTQ come persone? Prendiamo Gesù, che è umano e divino (Catechismo, n. 464). In quanto essere umano, è nato all’interno di uno specifico contesto geografico, storico, politico, religioso e culturale. Gesù era immerso, proprio come noi, nel contesto culturale del suo tempo (Catechismo, n. 472), in cui alcuni gruppi di persone erano considerati meno che persone. (Gli esempi più comuni che incontriamo nei Vangeli sono le donne, quelli che erano considerati peccatori e i malati.) Una delle ragioni per cui Gesù ha attratto dei seguaci è che egli considerava le persone nella loro piena umanità.
Prendiamo, per esempio, l’incontro con la Samaritana (Giovanni 4:3-15). Mentre cammina verso la Galilea, Gesù si ferma presso una città samaritana per riposarsi dalla stanchezza del viaggio. È circa mezzogiorno, e si siede presso un pozzo. Una donna samaritana si avvicina per attingere acqua al pozzo, e Gesù le rivolge la parola. Questo è già di per sé rivoluzionario.
Ai tempi di Gesù, le donne non venivano trattate come persone, e non godevano nemmeno dei pieni diritti legali che derivavano dall’essere una persona, come il diritto di proprietà, i diritti di autodeterminazione e di autonomia, e così via. (1) Nel mondo giudaico un uomo di solito non parlava con una donna in pubblico, nemmeno con sua moglie, ed era ancora più inaccettabile, per quella cultura, parlare con una donna in privato. Eppure Gesù vede questa persona di fronte a lui, e inizia una semplice conversazione, un dialogo con qualcuno che, oltre a essere una donna, è considerata una peccatrice. Notiamo che Gesù non pronuncia un sermone, né un monologo, bensì inizia un dialogo tra due persone. Inoltre, Gesù si avvicina a questa donna non da una posizione di potere, o come Figlio di Dio, ma a partire da una sua esigenza umana: le chiede un favore, le chiede da bere. La donna rimane sorpresa e attonita per il semplice fatto che quest’uomo le parla. Come scrisse papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem: “Un evento senza precedenti, se si tiene presente il modo comune di trattare le donne proprio di quanti insegnavano in Israele [la legge religiosa], mentre nel modo di agire di Gesù di Nazareth un simile evento si fa normale” (n. 15).
Oltre a essere una donna, era una Samaritana. Ai tempi di Gesù gli Ebrei non avevano rapporti con i Samaritani. Gesù è ebreo, ma non riduce la donna al suo genere o alla sua etnia: di fronte a lui vede la persona. Nell’avviare il dialogo con lei si rifiuta di considerarla meno che una persona, la tratta con dignità e innalza quella dignità fino a diventare suo amico.
Gli atti di Gesù costituivano una sfida alle regole religiose e sociali del suo tempo: egli dava la priorità all’amore e innalzava gli emarginati. Gesù è venuto per mostrarci la via. L’incontro con lui ha trasformato la Samaritana, che si è sentita spinta a bere l’acqua di vita che Gesù le ha offerto. L’amore e l’inclusività radicali di Gesù l’hanno convinta a diventare una discepola, una testimone della sua missione presso gli altri Samaritani. La chiave di volta del ministero di Gesù, e del suo modello di incontro, sta nel percepire e trattare le persone come persone.
Per noi discepoli di Gesù, il massimo desiderio nella vita dev’essere seguire Gesù: nient’altro estinguerà mai la nostra sete. Gesù ci ha mostrato il modo di trattare gli altri con dignità. Vedere l’essere umano di fronte a noi mettendo da parte pregiudizi e idee preconcette può essere un’esperienza che ci trasforma, che trasforma sia chi dà che chi riceve. Questa è la prima parte della dottrina cattolica riguardante le persone LGBTQ, spesso ignorata da molti cattolici, e non adeguatamente valorizzata.
Consigli per applicare questo insegnamento
Esistono molti modi in cui possiamo rispettare la dignità delle persone LGBTQ, e aiutare altri a fare la stessa cosa.
Come individui. I cattolici non devono avere paura di stringere amicizia con le persone LGBTQ, e devono essere amicizie genuine, senza secondi fini.
Come educatori e catechisti. Chi insegna religione e catechismo, i laici che svolgono regolarmente l’ufficio della predicazione, e tutte le persone in posizione di comando hanno il dovere di istruirsi su questo argomento, se vogliono guidare gli altri nella fede.
Come sacerdoti e responsabili della pastorale. Quando pensate a un programma adeguato per la pastorale rivolta alle persone LGBTQ, trattatele come persone a pieno titolo. Si dovrebbe dare la priorità ai programmi di formazione integrale che prendono in considerazione la persone nella sua totalità, e che non si fissano in modo esclusivo sulla sessualità.
Per tutti. Tutti dobbiamo imparare ad essere una Chiesa che ascolta, una Chiesa che accompagna e una Chiesa dell’incontro con le persone LGBTQ, che camminano assieme a noi sulla strada della fede, per quanto i nostri cammini possano essere diversi.
(1) Una donna viveva quasi sempre sotto la protezione e l’autorità degli uomini: il padre, il marito, oppure un parente maschio del marito, se era vedova. Avevano un limitato diritto alla proprietà e all’eredità, tranne che per tramite di un parente maschio. Tutto il denaro che una donna guadagnava apparteneva al marito. Un uomo poteva divorziare legalmente per quasi qualsiasi motivo, semplicemente dando alla moglie un atto scritto, ma una moglie non poteva divorziare dal marito.
> Altre riflessioni tratte dal libro LGBTQ Catholics: A Guide to Inclusive Ministry