Il caso nella diocesi di Cesena è un caso di abuso del diritto canonico?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Mi sono consultato. E ho capito che nella diocesi di Cesena non si è semplicemente consumato un fatto omofobo ma che è una questione di diritto, anche canonico.
Ricordiamo un momento i fatti: in una parrocchia della diocesi di Cesena-Sarsina sta per partire l’Estate Ragazzi. Il responsabile del gruppo degli organizzatori (uno dei due soli maggiorenni) compie però un’imprudenza: posta su instagram una foto in cui bacia un altro ragazzo.
I soliti iper-cattolici chiacchieroni informano il parroco, il quale chiede lumi in curia sul da farsi. Dai piani alti gli rispondono che è auspicabile che il ragazzo sia privato del mandato di educatore; può tutt’al più continuare a fare l’organizzatore ma senza contatto coi piccoli utenti.
Ovviamente, lui, offeso, non accetta e si ritira. L’altro organizzatore adulto solidarizza con lui e alza i tacchi. Finale: l’Estate Ragazzi è annullata.
Era prevedibile che una storia del genere facesse il giro del mondo e che il dibattito si accendesse. Escludere una persona è sempre brutto; farlo, oggi, per una ragione di orientamento sessuale, fa rizzare i capelli ai più.
Si sta però affermando una tesi che non mi piace: quella per cui la curia non poteva fare altro e il parroco non poteva che obbedire. Eh sì perché “il magistero è chiaro”. E’ la tesi di quegli omofobi, cattolici o meno, che non vogliono prendere su di sè la responsabilità della propria omofobia e quindi cercano appigli nelle prescrizioni magisteriali, nella Bibbia, nelle leggi, nella natura e quant’altro. Ed è anche la tesi di chi, avendo in uggia la Chiesa cattolica, fa di tutto per dimostrare che è montata su biglie quadre.
Proprio per questo mi sono informato, confrontandomi con canonisti e professori di Sacra Scrittura. E ho concluso, come già pensavo, che non esiste alcuna indicazione ecclesiastica circa l’esclusione di un cristiano da un incarico pastorale in virtù del suo orientamento sessuale.
A Cesena si è consumato un abuso, di cui sono responsabili unicamente il parroco e i suoi superiori.
Ho chiesto quale fonte di Magistero vieti a una persona omosessuale di ricevere un mandato educativo. E ho scoperto che, a suffragio solo parziale di questa idea, esiste soltanto una nota dell’ex Sant’Uffizio intitolata “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali”, uscita senza firma nel 1992. Essa recita:
“Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare“
Bene: una “nota” non è Magistero, tanto più quando non è avallata né dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (all’epoca card. Ratzinger), né tantomeno dal Papa regnante o da quelli successivi. Ed è ancor meno “Magistero” se non fa riferimento ad alcuna fonte magisteriale, come nel nostro caso.
Nel documento, infatti, non viene citata nemmeno l’enciclica Humanae Vitae, unica ad affrontare il tema dell’omosessualità a quei tempi. Nè si fa cenno al Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato pochi mesi prima.
Va poi detto che la suddetta “fonte” fu immediatamente contestata da larga parte della Chiesa. Diverse conferenze episcopali nazionali – segnatamente quelle dei Paesi in cui si cominciava a parlare di matrimonio same sex – dichiararono espressamente che non l’avrebbero presa in considerazione. Si parlò di immotivato accanimento e si accusò il suo (anonimo) estensore di non conoscere nulla del recente progresso scientifico (l’OMS aveva appena disposto la depatologizzazione dell’omosessualità).
Se poi vogliamo proprio fare i legulei, si nota che, tra gli “ambiti nei quali non è ingiusta la discriminazione“, non compare quello degli educatori parrocchiali. E non basta un “per esempio” per estendere il campo, dal momento che si tratta di escludere e discriminare delle persone. Ciò è del tutto avulso da qualunque concetto di diritto.
L’intervento del vescovo di Cesena, peraltro indiretto, è da considerarsi del tutto arbitrario. Se la vittima avesse voglia di pigliarsi la pena di ricorrere al tribunale ecclesiastico, vincerebbe la causa. E’ comprensibile che abbia di meglio da fare. Ed è sicuramente questa “comprensibilità” a ispirare i personaggi di curia ad agire all’ingrosso, facendo finta di non conoscere il diritto, nemmeno quello canonico. Sarebbe come se un portinaio vietasse a un postino di entrare in casa propria perché il condominio non vuole pubblicità in buca.
E’ brutto agire in punta di diritto canonico ma è anche ora che alcuni vescovi smettano di far finta che non esista.