Il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio e le persone omosessuali
Riflessioni di Massimo Battaglio
Sembra che il nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il neo cardinale Fernández, voglia presentarsi come amico dei gay. Un po’ come qualunque persona di buon senso nell’occidente del XXI secolo, verrebbe da dire.
L’originalità sta nel fatto che, negli ambienti dell’ex Sant’Uffizio, su questi temi, fino a ieri, vigeva una mentalità pre-conciliare, e non nel senso di “prima del Concilio Vaticano II” ma prima di quello di Trento. Incuranti del progresso scientifico e teologico, si citavano ancora, come fonti infallibili, gli scritti di S. Caterina e S. Pier Damiani, che vissero parecchi secoli prima.
Il nuovo prefetto sembra voler andare oltre. In un’intervista rilasciata al buon “Giovanni Panettiere” del “Quotidiano Nazionale”, Fernàndez vuole chiarire immediatamente la sua opinione. Vediamone i passi salienti.
Domanda: La comprensione più profonda della dottrina passa anche dal superamento dell’omosessualità come ‘oggettivamente disordinata’, una definizione del Catechismo che continua a ferire chi vive una condizione sessuale non scelta e anche i loro famigliari?
Risposta: “Questo è un problema del linguaggio teologico, che a volte ignora l’effetto che può arrecare nel cuore delle persone, come se fosse indifferente al dolore che produce. Ma, come sapete, non è così per papa Francesco, che senza dubbio userebbe un altro linguaggio”
Domanda: Benedire le coppie gay è un sacrilegio per gli ambienti tradizionalisti. Citano la Bibbia con cognizione di causa?
Risposta: “Ci sono testi biblici che non vanno interpretati in modo ’materiale’, non dico ’letterale’. La Chiesa ha da tempo compreso la necessità di un’ermeneutica che le interpreti nel loro contesto storico. Ciò non significa che perdano il proprio contenuto, ma piuttosto che non dovrebbero essere presi completamente per il loro valore nominale. Altrimenti dovremmo obbedire al comando di san Paolo che impone alle donne di coprirsi il capo, per esempio”.
Splendide intenzioni. Ma seguirà qualcosa di concreto? Lo speriamo. Sappiamo tuttavia che le riforme importanti non si annunciano. Si fanno all’improvviso. Parlarne troppo significa dare agli avversari la possibilità di organizzarsi. E di avversari, sui nostri temi, ce ne sono molti e agguerriti.
E sappiamo soprattutto che le decisioni dottrinali non discendono quasi mai dal solo approfondimento teologico o dalla rinnovata comprensione dei testi biblici. Entrano in gioco altri fattori, come il “sensus fidei”, cioè la mentalità comune rispetto alla fede, che non è uguale in tutti i popoli. Entra in gioco il complesso sistema di priorità che si deve stabilire quando ci sono molte cose da discutere. Entra la politica.
Vale la pena ricordare al nuovo prefetto, quel documento dei vescovi africani del 2015 in cui i presuli del continente nero si misero di traverso rispetto alle conclusioni del Sinodo della Famiglia, inalberando la questione della “colonizzazione ideologica”.
Richiamarono alla necessità di “proteggere e difendere i valori secolari del continente” ed a “rinunciare alla seduzione del piacere, del denaro e del potere”. Si dichiararono “feriti dagli attacchi” perpetrati dall’esterno “contro la vita, la famiglia, il sano sviluppo dei giovani e delle donne, il rispetto degli anziani” in Africa.
Si scagliarono contro “un nuovo, terribile spirito colonialista”, che impone programmi denominati “eufemisticamente ‘Salute e diritti sessuali e riproduttivi’ come condizione per gli aiuti allo sviluppo”, i quali nascondono “la diffusione di preservativi, contraccettivi, programmi scolastici di educazione sessuale senza riferimenti morali, aborto, prospettive di genere”. Esortavano infine gli Stati e gli organismi internazionali ad “onorare la superiorità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna“.
Praticamente si lamentavano che le organizzazioni umanitarie e i Governi occidentali minacciassero di sospendere gli aiuti ai Paesi terzi se questi non si abolivano la pena di morte o il carcere per le persone omosessuali. Come se non fosse normale che ci si ponga qualche problema a inviare soldi a nazioni che li usano per incarcerare o uccidere degli innocenti.
Purtroppo, la realtà dei fatti è questa: le affermazioni dottrinali sono sempre influenzate da giochi di potere. E il ricatto dei “poveri”, nella Chiesa, ha spesso un ruolo determinante. Tant’è vero che, proprio in quell’occasione, lo stesso papa Francesco al ritorno da Manila, si affrettò a ribadire che l’insegnamento della “teoria del gender” è proprio un esempio di “colonizzazione ideologica“:
“La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io (…). Vent’anni fa, una Ministra dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un prestito forte per la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione”.
Traduzione: vogliamo i denari e pure la possibilità di censurare i libri a nostro piacimento. E’ davvero strano che un concetto del genere esca spontaneamente dalla bocca di Bergoglio.
Il nuovo prefetto parla poi di “dolore”. Il linguaggio teologico, dice, “a volte”, sembra “indifferente al dolore che produce” “nei cuori delle persone“. “A volte”, per carità, mica sempre. Sta a vedere che altre volte produce rispetto ed emancipazione. Ma poi, siamo sicuri che si tratti solo di dolore nei cuori?
1650 vittime di omofobia delle quali 40 nell’ultimo mese da noi censite in questi anni in Italia (e altrove è molto peggio) sono un dolore del cuore? Sarò volgare ma a me pare che siano anche altre le parti del corpo dolenti: il naso, la schiena… E non si può nascondere che ciò abbia davvero una relazione col “linguaggio teologico”: il Magistero non giustifica la violenza ma, di fatto, fornisce un’aura di sacralità all’omofobia. E questa si esprime spesso nella violenza.
Di fronte a queste cose, non basta sapere che “papa Francesco, che senza dubbio userebbe un altro linguaggio”. Quando si capisce di aver arrecato dolore alle persone, nella Chiesa, normalmente, si chiede scusa. Ed è questo, prima ancora delle benedizioni, che dobbiamo reclamare: una richiesta di perdono solenne, della stessa forza e della stessa chiarezza di quelle che furono pronunciate per Galileo Galilei o per le vittime di abuso del clero. Poi, di conseguenza, arriverà il resto: gli aggiornamenti dottrinali, le benedizioni delle coppie, la pastorale inclusiva.
Sarebbe bello se il nuovo prefetto Fernàndez si adoperasse in questa direzione. Chissà se ne avrà la forza e se gli sarà dato campo libero.