“Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20, 19-23)
Restituzione* a cura di Mariella Colosimo dell’incontro di riflessione biblica del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 7 aprile 2020
Giovanni 20:19-23 è una chiamata generalizzata all’amore e alla misericordia, che riguarda l’intera comunità, sembra esprimere il brano di Giovanni: un messaggio di speranza, una parola di incoraggiamento per liberarci dalla paura che avvolge noi tutti, soprattutto in questo periodo, una spinta a immettersi in un cammino di relazioni di autentico perdono reciproco, che vanno oltre i pregiudizi.
“Pace a voi”: sono le parole con cui Gesù si rivolge ai discepoli che si nascondevano impauriti. E mentre le pronuncia mostra sulle sue mani e sul costato i segni della violenza della croce, quasi a sottolineare che è il Crocifisso a pronunciarle. Quella di cui parla Gesù non è una pace finta, che si stende come un tappeto, coprendo e nascondendo ingiustizie, violenza, oppressione. I segni che mostra sul suo corpo mentre le pronuncia ci dicono che il suo dono è una pace che con quelle ferite deve fare i conti.
Dunque Gesù le mostra, le sue ferite. È un invito a farlo a chi la propria storia e le proprie ferite ha paura di mostrarle? E si sente più protetto nascondendole? Questa domanda ci interroga.
E c’è chi si identifica con i discepoli, che esprimono gioia nel rivedere il Signore, e si sente loro debitore per aver trasmesso la loro straordinaria esperienza, superando paure e fragilità, e mettendo a rischio la propria vita per seguire l’invito di Gesù: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi“. È un compito quello che Gesù ha lasciato a loro, e a tutti noi, in eredità: ci manda a percorrere le strade della misericordia, che lui ha percorso rispondendo alla chiamata del Padre. E rimanda questo invito a quello che ciascuno di noi ha dato ai propri figli e agli altri, a quello che lasciamo in eredità: cos’è che abbiamo seminato?
Poi il suo alito su di loro perché ricevano lo Spirito Santo. Non più la sua presenza fisica, il suo toccare, il suo guarire, ma un’altra presenza, forse più intima, che penetra dentro la nostra esistenza. Una presenza vivificante, che può cambiare la nostra vita e la nostra mentalità, salvandoci in profondità e rimettendo i peccati. Che dimorerà nei nostri cuori e li guiderà. Un rapporto diretto con Dio, senza intermediari.
E ci scontriamo con le ultime parole del brano di Giovanni: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”, e con quelle di Matteo (18:18): “Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”. Sciogliere, legare. E quella parola, “legare”, ci fa paura. Riemergono l’angoscia e la rabbia in una di noi per quell’assoluzione negata per aver detto della sua convivenza con una donna.
Gesù sta dando il potere ai discepoli di rimettere e di non rimettere i peccati? A un gruppo ristretto o alla chiesa tutta, il cui nucleo iniziale era lì riunito? E si tratta di un potere, o di altro? Quelle parole sono di Gesù, o sono frutto di una rielaborazione successiva delle prime comunità cristiane?
Nella sua vita Gesù ha sempre sciolto, mai legato. Ha sciolto i lacci che tenevano legati coloro che portavano su di sé il marchio di impurità nella società del suo tempo, e che da quel marchio erano oppressi e schiacciati: i paralitici, i ciechi, i peccatori, i samaritani… riscattandoli agli occhi degli altri: “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli!”. Le chiese nate da lui più spesso hanno legato. Molti sono finiti in quei lacci: lacci che feriscono, soffocano, fanno male. La sentiamo, quella sofferenza, pesare nel nostro incontro.
Che senso ha, si chiede qualcuno nel gruppo, restare in una casa dove non ci si sente ben accolti, dove anzi spesso ci si sente esclusi e giudicati? Non è forse meglio andarsene da una casa così inospitale? E c’è chi risponde con altre domande: “In questa casa ci stiamo in tanti, la gerarchia e tutti noi. Perché decidere se lasciarla o no solo sulla base di ciò che dice o fa la gerarchia? Regalandole così in esclusiva le chiavi per aprire e chiudere? E noi, con i nostri sforzi per accoglierci a vicenda, condividendo le nostre storie, non contiamo niente? Perché perdere la speranza che sia possibile camminare insieme, tutti gli abitanti della casa, e contagiarci a vicenda per costruire una chiesa per tutti, che tragga la sua forza non dal potere, ma dal messaggio di Gesù, e metta al centro l’annuncio della buona novella agli oppressi?”.
Certo, i retaggi del passato saranno duri a morire, così come sarà duro e lungo il cammino da percorrere per riuscire a vivere una fede autentica, liberata da quegli antichi retaggi, da quei condizionamenti che rimangono ancora nel profondo.
C’è chi cerca nelle Scritture parole più rassicuranti, e le trova nella prima lettera ai Corinzi: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice”, che rimandano ad un esame di noi stessi e ad un rapporto diretto con Dio.
Ma quella domanda torna: perché Gesù, che ha speso la sua vita per sciogliere, liberare, donare misericordia ai peccatori ancora prima che si pentissero, senza porre la loro conversione come pre-condizione, avrebbe dovuto, congedandosi, lasciare a qualcuno il potere di legare? Non può essere così. È la vita di Gesù a dircelo. O quel testo sta parlando di perdono reciproco, e noi siamo stati fuorviati da un’interpretazione che ci ha procurato sofferenza?
Rimangono quelle ferite sulle mani e sul costato di Gesù ad interrogarci. Il Crocifisso è risorto, ma il corpo del Risorto porta ancora su di sé le ferite della croce, quasi a voler rimanere ostaggio di tutti i crocifissi. Solo quando cureremo le loro ferite, forse anche quelle sul corpo del Risorto si rimargineranno.
Giovanni 20:19-23
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
*La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com