Sguardi nuovi per “generare” chiese inclusive per donne e uomini nuovi
Alcuni spunti di riflessione di Paolo e Maria di Kairos Genitori di Firenze sulla 59a sessione del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE) su “Chiese inclusive per donne nuove e uomini nuovi. Edificati insieme per diventare dimora di Dio” (Assisi, 23-29 luglio 2023)
Condensare in poche righe tutta la ricchezza dell’esperienza alla 59 sessione del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE) di Assisi è veramente arduo; se il motto che ci accomuna è “camminando si apre il cammino”, in quei giorni abbiamo addirittura corso tutti insieme, al di là delle nostre differenze confessionali e religiose; abbiamo corso non solo verso un sogno, ma verso una realtà che abbiamo già, anche se parzialmente, vissuta: l’unità in Cristo di ogni credente.
Nelle varie relazioni che si sono succedute, fino dall’inizio nella interessante relazione di Debora Spini, si è affacciata una parola per noi nuova: intersezionalità, vista come il guardare al problema della giustizia di genere intersecandolo con altri elementi come la razza e la cultura.
Intersezionalità è guardare una situazione considerando tutte le varianti che sono in gioco e che in modo diverso possono costituire dei vincoli. Intersezionale è uno sguardo che riconosce i diversi intrecci presenti nella vita, le diverse forme di oppressione o condizionamento che si possono verificare. Prima di relazionarmi con l’altro, prima di formulare giudizi, devo rendermi conto che un certo fenomeno è vissuto in maniera diversa in situazioni e contesti differenti. Questo sguardo permette di accogliere linguaggi diversi dai nostri. L’attenzione alla intersezionalità è stata presente in molte relazioni, a volte direttamente espressa, a volte sottesa alle considerazioni proposte.
Proviamo ad esporre succintamente degli spaccati dei vari interventi come desunto dagli appunti nell’attesa della pubblicazione, in primavera 2024, degli atti dell’incontro. Tali appunti non pretendono di “coprire” tutti i contenuti esposti, ma sottolineano quelli che abbiamo colto come più rilevanti nell’ottica di una chiesa inclusiva.
Lucia Vantini ha interpretato il nostro tempo come un mare aperto, nel quale le rotte non sono normate, ed è necessario fare attenzione alle voci vive del cambiamento, quelle voci che lo patiscono, lo generano e anche quelle che cercano di fermarlo. Il tema della intersezionalità lo abbiamo letto in sottofondo quando ha sottolineato che occorre dislocarsi per ascoltare, per accogliere le differenze e le storie impreviste, in fedeltà alla vita, con uno sguardo di attenzione a ciò che c’è, che nasce e va curato, senza paura dell’imprevisto, custodendo il mistero dell’essere, ad esempio quello della diversità sessuale legato all’essere tutte/i immagine di Dio.
Roberto Massaro si è chiesto qual è il posto della teologia nel dibattito sul genere, ed ha sottolineato che oggi è necessario il passaggio dal modello piramidale della teologia a quello circolare, segnato da una forte interdisciplinarietà e transdisciplinarietà. La teologia deve partire dall’ascolto della realtà e delle scienze, soprattutto le neuroscienze che ci parlano di un “umano plurale”. Ha quindi affermato che il “gender” è un termine complesso, ma indispensabile e imprescindibile, euristico (aiuta a scoprire) e analitico (aiuta a distinguere). Il gender dà spazio alle differenze concrete e apre alla significatività di esperienze diverse, costituendo un linguaggio per recuperare le differenze. Se in principio c’è la relazione, come è stato ben spiegato da Ilenya Goss con un profondo e attento studio del testo biblico della Genesi, Massaro ha sottolineato che oggi emerge un umano plurale; non c’è solo la relazione bisessuale (binaria), ma ci sono altre pratiche sessuali, esperienze diverse che non fanno sparire la diversità sessuale, ma che hanno valore in quanto realizzano la propria umanità nell’essere in relazione. La intersezionalità ci pare sottostare al suo invito ad essere culturalmente umili per percepire e preservare la pluralità delle relazioni umane.
Lidia Maggi ha rilevato che una parte della Chiesa oggi si sente esclusa da un certo modo di dire Dio nel quale è presente un maschilismo nascosto. Una voce plurale chiede di modificare il linguaggio perché la Chiesa sia sempre più inclusiva. Bisogna ascoltare il grido del disagio e bisogna farlo insieme. C’è una eccedenza che richiede una esperienza linguistica che la esprima, che testimoni Dio in tutti i nostri diversi registri. Per questo è necessario imparare e praticare una lingua “altra” che ci strapperà dai vari esili, anche da quello del patriarcato.
Vladimir Zelinsky ha evidenziato che Gesù ha detto “non giudicate”. Dio si rivela sempre ma non sempre nel modo in cui siamo abituati. Siamo invitati a scoprire il Suo nome in tutte le Sue opere. L’uomo riflette la bellezza di Dio. Siamo tutti accolti nella Sua paternità e maternità. Dio tutto intero è partecipabile da ciascuno/a.
Marinella Perroni ha evidenziato che non c’è tradizione senza novità e che per dare voce alle donne bisogna inventare qualcosa di nuovo. D’altronde il Dio biblico è un Dio raccontato, che si consegna ai linguaggi, alle narrazioni. Dio si dice all’interno dei linguaggi delle donne e degli uomini che ne fanno esperienza. La rivelazione di Dio parla alle donne, si rivela e si consegna alle donne. La narrazione plurale della Parola di Dio deve diventare anche la narrazione inclusiva nella Chiesa, perché il Dio della storia e della vita si fa conoscere nelle esperienze di vita.
In una interessante e densa sessione a tre voci, condotta da Serena Noceti, Davide Romano e Athenagoras Fasiolo, si sono esposte le diverse visioni e prospettive delle Chiese cristiane sui ministeri e sulla loro apertura alle donne. Ne è emerso un quadro in evoluzione e con evidenti differenziazioni.
Nelle parole di Gabriele Bertin si è colto l’anelito per un’etica liberante. L’altro mi dà la possibilità di vivere la libertà in relazione. Gesù chiede di uscire dalla reciprocità per entrare nel dono verso le persone “altre”, al di fuori della cerchia degli amici, addirittura verso i nemici. Il legame intersoggettuale tra me e l’altro deve passare dalla reciprocità al dono. In Paolo si legge che “battezzati in Cristo … vi siete rivestiti di Cristo …. Così che non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo e donna, ma tutti siete uno in Gesù Cristo” (Gal 3). Perciò non si deve avere uno sguardo etichettante. La diversità è parte costitutiva della realtà. L’etica liberante non è assoluta, immutabile, basata su principi immobili, ma si muove in varie direzioni:
- Verso di sé, per cui non si deve corrispondere ad attese e norme, ma si devono vedere e accogliere le pluralità di “fasci” di identità che mi costituiscono.
- Verso l’alterità: siamo chiamati a incontrare per entrare in relazione, a saper sostare nelle complessità, a leggere il mondo nell’intersezionalità riconoscendo la complessità dei vissuti e comprendendo che il mio punto di vista è parziale
- Verso il creato: riconoscersi come con-creatori con Dio libera lo sguardo da tutte le possibili forme di sfruttamento e genera uno spazio per creare relazioni sostenibili fra creature e mondo
- Verso Dio: c’è necessità di liberare Dio da una teologia totalitaria e ingabbiante. Relazioni sane e liberanti sono possibilità di uscire dalle gabbie dell’idea di Dio.
L’etica perciò è:
- Parola fra le parole, parola incarnata che vive l’oggi con le parole di oggi
- Abitare la complessità riconoscendo la propria parzialità
- Approccio etico-teologico che sia intersezionale, cioè sappia riconoscere i diversi intrecci presenti nella vita e le diverse forme di oppressione.
- Libertà che sia vissuta come dono, come diritto e non come privilegio. “o siamo libere e liberi assieme o rimarremo sempre schiavi e schiave insieme”.
Un momento di dialogo inter-religioso si è avuto sul tema della “Giustizia di genere” con la partecipazione di Maymouna Abdel Qader (Islam), Paola Cavallari (Cristianesimo) e Sarah Kaminsky (Ebraismo). Anche in questo ambito le differenze rilevate sono piuttosto evidenti e la franchezza del dialogo ha comunque evidenziato piste di ricerca comuni.
Mons. Luigi Renna ha sottolineato che le Chiese camminano nel tempo, si lasciano plasmare dalla storia e dal Vangelo. Bisogna insieme saper aspettare e “svegliare l’aurora”, camminare verso un futuro, una stagione nuova che è iniziata dal Vaticano II. Per andare verso un futuro diverso serve uno strumento, e oggi lo abbiamo nel Sinodo, nel quale sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune di tutti i fedeli sono chiamati a camminare insieme. Dove il sacerdozio comune di tutti i fedeli ha un ruolo di profezia nell’elevare il grido del popolo. Ha sottolineato poi che ci sono persone LGBT+ che avvertono una tensione fra l’appartenere alla Chiesa e le loro condizioni di relazione. La Chiesa, che non è per i “perfetti”, deve interrogarsi su come mettersi al servizio delle persone LGBT+, come riportato in più punti dal Documento della Tappa Continentale e nell’Instruentum Laboris del Sinodo.
Bisogna ripensare la visione antropologica della sessualità, facendo incontrare il mondo accademico e la prassi pastorale per fare insieme un ascolto. Il Magistero ha bisogno di recepire la ricerca teologica recente. Le ideologie omofobe attingono al Magistero del passato. Il mancato aggiornamento magisteriale rispetto alle acquisizioni teologiche degli ultimi 50 anni provoca esitazioni nel dialogo e lacerazioni di fronte a richieste come la benedizione delle coppie omoaffettive. “Di fronte a sensibilità molto diverse fra loro, occorre che il discernimento sia coraggioso e lungimirante”. Ci sono tanti modi di seguire il Signore e noi bisogna saperli ascoltare e accogliere riconoscendo il cammino fatto dalle persone.
Ha infine parlato della questione delle donne, rilevando che la mancanza di eguaglianza riguardo alla partecipazione di esse è una difficoltà nel percorso comune con le altre Chiese. Potrebbe venire accolta la possibilità per le donne di predicare ed è in corso l’ammissione delle donne ai ministeri istituiti, aperta dal motu proprio di Papa Francesco (Antiquum Ministerium). Alle donne è certamente riconosciuto un ruolo d profezia. Per questo cammino verso un futuro diverso è centrale la via della sinodalità.
Letizia Tomassone si è interrogata sul ruolo delle donne oggi nelle Chiese protestanti, nella quali è già affermata una uguaglianza di genere, e lo ha identificato nella rilevanza trasformativa che proviene dalla ermeneutica femminista dei testi. Per una Chiesa più inclusiva, bisogna cambiare le metafore del divino, superando le divisioni che umiliano e abbassano. È necessario riconoscere lo status di soggetti a tutte le persone attualmente ai margini restituendo la dignità di “imago dei” a tutte/i. Una Chiesa inclusiva deve avere linguaggi aperti e non definitivi, destrutturare il patriarcato e il solido sistema di dominio basato su di esso, proporre valori di trasformazione, relazione ed interconnessione, riconoscendo interdipendenze e intersezionalità fra genere, identità e cultura. L’intersezione è uno sguardo che riconosce i privilegi e li sconfessa. Bisogna imparare a guardare dal basso (Bonhoeffer 1943), dal punto di vista dei maltrattati, derisi, impotenti. Imparare ad abitare gli spazi di mezzo, dove il cambiamento è possibile, dove si può riconoscere l’umanità dell’altro/a.
Ha poi parlato dell’azione di Dio che:
- Suscita una Chiesa che si lascia trasformare nell’incontro,
- Sogna la Chiesa della giustizia e dell’amore, capace di costruire la pace vivendo dentro conflitti e differenze
- Ci aspetta negli spazi liminali per tirarci fuori da noi stessi.
Particolarmente dense e coinvolgenti sono state le riflessioni del Vescovo Derio Olivero a margine della celebrazione eucaristica comune. Partendo da una bella immagine dell’incontro di Gesù con la Samaritana, ci ha fatto percepire che ogni persona, ognuna/ognuno di noi è al centro dello sguardo, della attenzione dell’amore vibrante del Signore. Ognuno con la sua particolare identità, con la sua storia, con le sue esperienze di vita è al centro del Suo sguardo, della Sua attenzione, di più, del Suo desiderio, della Sua gioia. Non sono un ostacolo le nostre anfore vuote, la nostra mancanza, i nostri fallimenti. Dio vede già in ciascuna persona la ricchezza di piena fioritura dei doni che ognuno ha.
Ciascuno al centro del Suo amore, della Sua Gioia. Portiamo le nostre anfore vuote e Lui ci riempie con la Sua acqua viva e avvolge con la Sua benedizione tutto ciò che gli portiamo, le nostre più diverse storie di vita. Si potrebbe dire che lo sguardo di Dio coglie ogni sfaccettatura della nostra realtà intersezionale, ogni ferita, ogni gabbia, ogni condizionamento e la fa fiorire al meglio delle sue possibilità. Dio ha un sogno su ciascuno di noi. Per Lui ognuno di noi è la perla preziosa, il tesoro nascosto nel campo per il quale vende tutto con gioia.
Hanno Portato il loro contribuito alla 59a sessione del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE):
Debora Spini – Syracuse University of Florence
Lucia Vantini – Teologa Cattolica, presidente Cordinamento Teologhe Italiane (CTI)
Ilenya Goss – Pastora Valdese, Mantova
Roberto Massaro – Teologo Cattolico, Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM), Bari
Marinella Perroni – Teologa Cattolica, Coordinamento Teologhe Italiane (CTI), Roma
Vladimir Zelinsky – Teologo Ortodosso, Brescia
Lidia Maggi – Pastora Battista, Dumenza (VA)
Serena Noceti – Teologa Cattolica, Associazione Teologica Italiana (ATI), Firenze
Davide Romano – Facoltà avventista di Teologia, Firenze
Athenagoras Fasiolo – Vescovo Ortodosso d’Italia
Gabriele Bertin – Pastore Valdese, Brindisi
Luigi Renna – Arcivescovo cattolico di Catania
Letizia Tomassone – Pastora Valdese, Napoli