Il libro di Isaia e la parola di Dio per l’inclusione di chi si crede escluso
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 7.2, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Il libro di Isaia fu scritto in un periodo di circa due secoli, a partire dalla fine dell’ottavo secolo a.C. Poiché è stato scritto in un periodo di tempo così lungo, per lo stile e i riferimenti storici, sappiamo che è stato opera di almeno tre autori, anche se ci riferiamo sempre a Isaia. Al tempo del primo Isaia l’originale regno di Israele, che ricordiamo dalle storie del re David, era stato diviso in due regni separati, quello di Israele e quello di Giuda. Il primo Isaia visse nel regno di Giuda; nei suoi scritti che vanno dal capitolo 1 al 39 troviamo storie, profezie e alcuni avvertimenti incredibilmente vivaci ai capi di entrambi i regni. Isaia 1:2-3 inizia così il libro:
Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio poiché l’Eterno parla: Io ho nutrito dei figlioli e li ho allevati, ma essi si sono ribellati a me. Il bue conosce il suo possessore, e l’asino la greppia del suo padrone; ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non ha discernimento.
Non è un inizio molto beneaugurante. All’epoca i regni di Israele e Giuda erano molto potenti con grandi disparità di ricchezze e tendevano ad andare in guerra contro i regni vicini, senza essere provocati, per ottenere più ricchezze. Il primo Isaia ammoniva i due regni sul fatto che Dio non era soddisfatto di come stavano andando le cose e, se avessero continuato ad abbandonare gli oppressi, a imbrogliare le vedove, a maltrattare gli orfani e a non rendere giustizia ai più vulnerabili, Dio avrebbe scatenato una terribile vendetta sui due regni e sulla loro terra.
Né Israele né Giuda badarono agli avvertimenti del primo Isaia e il popolo di Dio venne attaccato e depredato prima dall’impero assiro e poi da quello babilonese. I membri delle famiglie vennero separati e portati via come schiavi, i governanti imprigionati o uccisi, le case bruciate e il tempio – sacro luogo di riposo di Dio costruito dal re Salomone e sede dell’arca dell’alleanza – venne distrutto.
Qui appare l’altro Isaia. Il secondo Isaia scrisse i capitoli dal 40 al 55 e parlò con tenerezza alle persone schiave a Babilonia. Ecco le parole iniziali rivolte agli Israeliti in Isaia 40:1-2:
Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua servitù è compiuto, ch’ella ha ricevuto dalla mano dell’Eterno il doppio per tutti i suoi peccati.
Il secondo Isaia fu quello che annunciò la luce alla fine del tunnel. Parlò della promessa di Dio di prendersi cura del suo popolo e fare in modo che ritornasse in patria a ricostruire. Il secondo Isaia predisse che il re persiano Ciro avrebbe sconfitto gli Assiri lasciando tornare in patria gli Israeliti e questo accadde a partire dall’anno 538 a.C.
Infine negli ultimi trent’anni del sesto secolo il popolo di Israele e di Giuda cominciò ad uscire da Babilonia per tornare in patria. È in questo periodo che inizia a scrivere il terzo Isaia. La sezione finale del libro di Isaia comincia dal capitolo 56 e il suo lavoro tende freneticamente a incoraggiare e consolare il suo popolo ma anche a disapprovarlo, come una babysitter che deve badare a troppi bambini piccoli. In effetti il popolo di Israele ha dovuto ricominciare da capo al suo ritorno. Il terzo Isaia è stato inviato per fare da guida al popolo nel suo processo di rinascita e ricostruzione.
Tornati a casa, gli israeliti furono subito in difficoltà per la mancanza di un tempio. Dove avrebbero avuto luogo i sacrifici? Come, quando e dove avrebbe dovuto essere ricostruito il tempio? Chi avrebbe dovuto assumersi i doveri sacerdotali per il popolo, ora che molte famiglie che si erano trasmesse tale incarico di generazione in generazione erano state sterminate? Col numero di israeliti drasticamente ridotto, erano ancora vincolanti le leggi della Torah contro i matrimoni misti? Inoltre nessuno sapeva cosa fare degli uomini israeliti castrati nelle corti dei babilonesi e dei persiani. Non c’era forse un versetto nella Torah che proibiva loro di far parte della comunità?
Lo studioso biblista ebreo Joseph Blenkinsopp ci dice: “A Israele non si praticava la castrazione né per i funzionari della corte o dell’harem né come punizione per un reato”. Invece i vicini di Israele –Assiri, Babilonesi e Persiani – usavano la castrazione per vari scopi. A volte serviva come punizione per un crimine oppure marchiava uno schiavo a vita.
Gli eunuchi furono creati anche per formare un gruppo di persone considerate né uomini né donne – persone che potevano muoversi facilmente tra i generi. Dopo che i prigionieri israeliti e giudei furono presi come schiavi, molti di loro furono castrati e messi a servizio nelle corti babilonesi e questo causò un nuovo problema per la comunità israelita al loro ritorno. Se Deuteronomio 23:1 proibiva davvero agli eunuchi di entrare nell’assemblea del Signore, come potevano queste persone emarginate essere reintegrate nella nuova società? Ma Deuteronomio 23 continuava con le proibizioni verso gli eunuchi, descrivendo ogni gruppo etnico incompatibile con gli israeliti quando si trattava di matrimonio.
Realisticamente, durante gli anni dell’esilio molti fra il popolo di Dio aveva trovato l’amore e creato famiglie dovunque possibile. Ora cosa si doveva fare con queste famiglie? La ricostruzione di una nazione era difficilmente realizzabile con un numero così esiguo di israeliti rimasti “puri”. La via al rinnovamento pareva bloccata dalla legge stessa di Dio. Le persone avevano bisogno di una via d’uscita.
In questa situazione impossibile Dio pronunciò una parola di inclusione senza precedenti:
Lo straniero che s’è unito all’Eterno non dica: “Certo, l’Eterno mi escluderà dal suo popolo! Né dica l’eunuco: Ecco, io sono un albero secco!” (Isaia 56:3)
Mi riusciva difficile inizialmente spiegare perché sentivo un legame così immediato con l’eunuco nel versetto di Isaia. In termini di esperienza culturale, le nostre vite non avrebbero potuto essere più diverse. Non avevo idea di come ci si sentisse ad essere trascinati via dalla propria famiglia, dalla propria casa, essere costretti in schiavitùe subire una trasformazione del proprio corpo contro la propria volontà. Tuttavia in questa storia c’erano elementi che riconoscevo: essere sgradito alla propria comunità di fede, per esempio.
Infatti gli eunuchi nel mondo antico si trovavano in molti di quegli spazi intermedi che oggi sperimentano le persone transgender. Storicamente, gli eunuchi erano i custodi dell’harem del re con l’incarico di prendersi cura delle molte mogli del re.
Era stato affidato loro questo compito principalmente perché non c’era alcuna possibilità che mettessero incinta una donna con conseguenti problemi sulla legittimità della discendenza reale. Venivano ammessi in spazi per sole donne, in quanto non rappresentavano una minaccia per gli uomini e la loro paternità.
Fungevano anche da consiglieri di corte e potevano entrare in spazi riservati agli uomini, sebbene non fossero considerati uomini. Vivevano in un limbo tra i sessi, intrappolati in qualche modo nella scala sociale pochi gradini sotto gli uomini e un paio di gradini sopra le donne. Negli imperi babilonese e persiano questo genere liminale non era un problema, ma fra gli israeliti quanto non poteva venir categorizzato risultava sospetto.
La legge israelitica si basava su rigidi confini – codificata in Esodo, Levitico e Deuteronomio – e le proibizioni riguardavano gli abiti confezionati con fibre miste o i campi coltivati con due tipi di messi. Gli eunuchi non avevano un posto nella società israelita. Non erano né carne né pesce. In Levitico 21: 16-21 viene detto a Mosè che i discendenti di Aronne – quelli della famiglia sacerdotale – non devono avere nessun difetto fisico e non devono avere i testicoli schiacciati, per essere ammessi a servire nel tempio.
Questo riguarda tutti gli eunuchi che vengono esclusi dalla lista dei sacerdoti. In Deuteronomio 23:1 vediamo che gli eunuchi non possono partecipare all’assemblea del Signore e questo si potrebbe interpretare come espulsione dai luoghi di culto o potrebbe essere un’espulsione dalla società israelita. In ogni caso, gli eunuchi ritornati dall’esilio si sono ritrovati in mezzo a istituzioni che cercavano di negare la loro esistenza.
Per le persone transgender di oggi nelle comunità cristiane questa descrizione appare fin troppo familiare. Ci troviamo ancora sui gradini di molte chiese, chiedendoci se ci sarà permesso entrare. Ci viene ancora negata l’ordinazione nella maggior parte delle chiese cristiane, così come ai nostri fratelli e sorelle lesbiche, gay e bisessuali.
L’altro importante collegamento tra gli eunuchi del mondo antico e le persone transgender è la complessità delle nostre relazioni riproduttive. Sebbene essere transgender non impedisca di avere bambini biologici, il processo diventa molto più complicato. Le persone transgender che scelgono di effettuare la transizione chirurgica possono farsi rimuovere gli organi riproduttivi e a quel punto – a meno che non abbiano conservato sperma o ovuli – si trovano esattamente nella stessa situazione degli eunuchi.
Nell’antica società israelita i bambini non erano solo una benedizione di Dio, ma anche l’eredità. La prole garantiva che saresti stato ricordato e rappresentava il futuro per la comunità. In Genesi 15 Dio promette ad Abramo e a Sara sterili sia terra sia figli – prova tangibile di una benedizione e di un patto. Quindi non sorprende che chi non poteva aver figli fosse considerato al di fuori di tale patto. Vivere fuori dall’alleanza con Dio significava vivere fuori dalla comunità.
La capacità di avere una prole era talmente intrinseca alla società israelita che pareva non negoziabile. Quando gli eunuchi sperimentavano il taglio fisico che cambiava la loro identità sperimentavano contemporaneamente il taglio dal loro futuro e dalla loro cultura. Tuttavia nella Bibbia si legge di molte donne, che si ritenevano sterili, benedette da una famiglia e di conseguenza non più emarginate nella loro società. Era possibile qualcosa di simile per gli eunuchi?
Stavo valutando questo problema un giorno di primavera circa 4 mesi dopo, mentre uscivo dal servizio mattutino tenutosi nella cappella del seminario. Pensavo agli studenti che avevano guidato la liturgia a cui avevo appena partecipato e a quanti dei nostri candidati per l’ordinazione non fossero come se lo sarebbero aspettati gli scrittori della Bibbia.
Per prima cosa gli autori dei codici dell’Esodo, del Levitico e di Deuteronomio sarebbero rimasti scioccati nel vedere i Gentili leggere i loro testi sacri – e non nell’originale ebraico! I discepoli di Gesù sarebbero rimasti scandalizzati nel vedere donne che predicavano e l’apostolo Paolo probabilmente sarebbe rimasto sorpreso nel vedere persone apertamente LGBTQ che guidavano le preghiere e i divorziati che distribuivano l’eucarestia. Eppure eccoci qui, tutti noi, il corpo di Cristo, a commemorare tutti insieme la vita e la morte e la resurrezione di Gesù.
Molti testi che ho letto di Isaia 56:1-8 hanno sempre sottolineato che il versetto 5, sebbene prometta all’eunuco un posto nella casa di Dio, non significa che abbia il permesso di diventare sacerdote. Benjamin Sommer ricorda che il brano “non attribuisce ruoli sacerdotali agli eunuchi o agli stranieri (poiché non viene detto che si possono avvicinare all’altare). Si limita a sottolineare che la loro presenza e le loro offerte sono gradite sul monte sacro”. Poiché solo i sacerdoti potevano avvicinarsi all’altare, sembra che il divieto contro coloro che il Levitico riteneva “danneggiati” fosse ancora applicato nella comunità di Isaia.
Ma questo significa che dovremmo osservare la stessa tradizione nelle nostre comunità cristiane oggi? Dopotutto, nessun seminario degno di tale nome dichiarerebbe qualcuno non idoneo al ministero basandosi su una caratteristica fisica come un arto amputato o una menomazione della vista o un disturbo della crescita – il che sarebbe stato inaccettabile per la comunità israelita, basandosi sui versetti del Levitico.