La sorpresa di un Papa di nome Francesco
Considerazioni di Sergio Rostagno, teologo e professore emerito alla Facoltà valdese di teologia di Roma, tratte da NEV-notizie evangeliche del 12 marzo 2013
Quando nei giorni scorsi sentivo proporre per il nuovo Papa il nome Francesco, dicevo subito a chi mi stava vicino: questo è impossibile. Nessun Papa avrebbe la faccia tosta di attribuire a sé un nome di questo stampo, per ragioni storiche e ideali.
La figura di Francesco resta nella storia della Chiesa una figura troppo distinta e autorevole perché proprio un Papa possa con un gesto di annessione farla tranquillamente sua. Esistono figure diverse nella storia e quella di Francesco d’Assisi sta bene in quanto attesta una dimensione sua propria. Proprio il cattolicesimo è fatto di queste tensioni. Le dissonanze giovano alla dialettica storica e spirituale.
Sorpresa. Il primo papa gesuita si è imposto il nome Francesco, smentendo in un colpo ogni remora. Il potere papale si estende anche ai nomi e può far suo, senza alcun rispetto, tutto ciò che decide di fare suo.
C’è stato un bell’episodio però alla presentazione del nuovo vescovo di Roma, quando il neoeletto ha chiesto al popolo di piazza San Pietro prima di tutto un momento di preghiera per lui. Questo è serio e bello.
Il resto è risaputo. Ciò che piace sono le folle acclamanti, indistinte, cui è facile affibbiare il nome di Popolo di Dio (questo accade anche in politica, con altri nomi). Ma fortunatamente non è tutto qui, neppure nel cattolicesimo. Il popolo è fatto di persone.
Un intenso lavoro di sensibilizzazione e di ripresa profonda dei temi del cristianesimo può continuare in vari continenti. Vedremo fino a che punto le diverse sensibilità religiose e non religiose potranno incontrarsi. Parallelamente c’è dappertutto nel mondo un grande bisogno di diaconia, di aiuto sociale. Sono due cammini paralleli che interessano tutte le religioni.
Ci auguriamo che sia possibile incontrarsi con i cattolici in piena fratellanza, senza il sospetto che il potere papale sempre e ovunque si preoccupi di far sentire il suo peso.
Nelle varie chiese sembrano avere molto successo gli slogan del tipo: torniamo alle origini! Torniamo al primitivo, alla purezza! Questi richiami sono puramente illusori e servono solo ad addormentare le coscienze nell’idea che esista una primitiva età della purezza senza compromessi. Sono idee oscurantiste e reazionarie. Chi pensa così si crede forse molto progressista e autentico, ma non sarà accontentato.
La realtà è invece quella del presente e soprattutto quella del futuro. Qui siamo interpellati con la nostra intelligenza e con la nostra dedizione, senza ritorni al passato e qui si vedrà chi farà meglio. Per entrare nel futuro occorre libertà e coraggio.
Certo l’ispirazione può venire da lontano, da Pietro come da Francesco, per non dire niente di Gesù, ma la soluzione non è la nostalgia del passato, bensì la piena consapevolezza dell’avvenire. Gli strumenti di un cristianesimo consapevole sono nel lavoro, nell’elaborazione, nel dialogo aperto.
Più che di guide, il popolo ha bisogno di maturità e di fiducia nella propria capacità di fare esperienza e renderne conto consapevolmente. Il resto seguirà necessariamente. Non siamo chiamati al passato, ma al presente. E qui soltanto la libertà può garantire l’aiuto di Dio.