Ci manca il Gesù prima del Cristo, come noi in cerca del suo cammino
Riflessioni di Luigi T.
C’è una devozione che non esiste, ed io ne sento la mancanza. Ci sei tu risorto, ma la mente fa fatica. Sempre in cerca di immagini sacre, mai nessuna della tua Resurrezione mi ha soddisfatto; e forse è bene così, per ricordarmi che occhio non vide, né orecchio udì.
Ci sei tu sulla croce, e lì a volte è il cuore che non regge tutto quel dolore, esagerato come solo il tuo amore. Ci sei tu bambino, la tua dolcezza, la tua tenerezza. Poi cresci. A Gerusalemme, la prima volta nel tempio, a quaranta giorni di vita; ti perdiamo in Egitto, profugo più fortunato di tanti nostri; a dodici anni ti ritroviamo perso tra i dottori del tempio, ma è solo un rapido sguardo su trent’anni e più nascosti, che solo tu e pochi altri conoscete.
Nessuna traccia, nessuno sguardo o parola, nessuna devozione per Gesù che cresce, che diventa uomo, che diventa adulto, giovane adulto, vent’anni, venticinque, trenta. Ho il sospetto che ci sia stato anche un velo di pudore – il solito velo di pudore – a coprire questi anni.
Se qualche volta son venuti fuori, è stato con tutte le cautele del caso solo per proporre alla vita morale qualche esangue santino: Gesù obbediente in famiglia, Gesù che santifica il lavoro, Gesù che ama il nascondimento. Eppure mai la vita scorre nelle vene come in quegli anni che, di te, abbiamo perso. Troppo rischioso, forse.
La tradizione c’ha insegnato a parlare ancora di te «bambino perso e ritrovato nel tempio» quando avevi dodici anni: ma neanche oggi un ragazzino di dodici anni lo chiameremmo bambino, figuriamoci allora.
Eppure, quanto mi farebbe bene frequentarti quando avevi vent’anni. Quando aspettavi che il lavoro finisse per vedere i tuoi amici. Per parlare con loro di amori, di sogni. Quando andavi a pregare, nella sinagoga di Nazareth, e cominciavi confusamente a capire, a presentire.
Non ti venne mai paura a intuire che quelle parole, forse, erano il tuo sudore, il tuo sangue, il tuo fiato, la tua carne? Quando accompagnavi tua madre a prendere l’acqua, alla fontana, e le altre ragazze ti guardavano, sorridevano, arrossivano, abbassavano gli occhi. Io che cammino accanto a te ho il disagio di sentirci guardati, ho la gelosia di quegli sguardi su di te, ho l’orgoglio di sapere che sei così bello.
Quanto mi farebbe bene una volta venire con te e i tuoi amici al lago. Non è molto lontano da Nazareth; qualche volta ci sarete andati, ne sono sicuro. Quando avevi ventotto, ventinove anni. Forse lì hai anche visto per la prima volta, da lontano, senza parlarci, quei pescatori cui poi avresti chiesto di seguirti e stare con te per sempre. Tu prepari la brace per cuocere il pesce mentre gli altri ancora scherzano in acqua; poi lì stesi sull’argine del lago mentre le prime stelle cominciano a salire.
Ad un certo punto tu ti apparti; te ne stai sulla riva, con gli occhi sullo specchio d’acqua; e io cerco il coraggio per alzarmi e venire a stare accanto a te, con la testa sulla tua spalla, in silenzio.
Quanto mi farebbe bene venire con te a Gerusalemme, con la tua famiglia, con le famiglie dei tuoi amici. Ci andavate ogni anno, per la Pasqua. Lungo il cammino vi fermate ad una fontana; ti chini a bere, e schizzi l’acqua sui tuoi compagni; si sentono le donne che ti hanno visto e ridono, dall’altra parte della carovana.
Appena, da lontano, lo sguardo si schianta contro le mura di Gerusalemme, ti prende come una specie di tristezza, ed io vorrei chiederti, ma ho paura. Mi limito a sorriderti, come a dirti che quella tristezza resta un nostro segreto, sperando che gli altri non se ne accorgano.
A Nazareth, sui resti di quella che la tradizione ci consegna come la casa di Giuseppe, c’è un mosaico. È una Sacra Famiglia, ma non è la solita.
Giuseppe è in piedi; Maria sta cucinando qualcosa al forno; Gesù è ragazzo, è grande, e con una mano indica la tavola, invitando ad entrare, a sedersi. Dopo che saremo stati insieme per le strade di Nazareth, mi porterai a casa tua. Mi farai strada – «Mamma, papà, c’è Luigi, cena con noi». E mentre tu starai con Giuseppe a raccontare del lavoro, io resterò con tua madre, con Maria, sperando che mi racconti ancora qualcosa di quando eri bambino.
Così, quando tutti ti cercheranno, io saprò che ci sono cose, che ci sono sere, che ci sono parole e abbracci, che conosciamo solo io e te.