Riconoscere Dio nell’epifania di un figlio LGBT+
Riflessioni di Silvia Zucchini
“Essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”. (Mt 2, 1-12)
Oggi contemplo il viaggio dei Maghi, chiedendo alla stella di fare luce sulla storia della mia famiglia.
Come i Maghi, mi metto anch’io in ricerca di una parola che possa dare senso al gesto di coraggio che nostro figlio ha fatto quando ci ha consegnato la sua verità più profonda.
Non posso accontentarmi dell’espressione coming out of the closet: evoca qualcosa di frusto, rimasto inutilizzato in fondo all’armadio perché fuori moda o malconcio, magari ricoperto di polvere. Per quale motivo, allora, portarlo alla luce, fuori dall’armadio? Meglio tenerlo nascosto, cosa da dimenticare.
Dunque, l’espressione inglese non mi pare restituisca la dignità della fatica che mio figlio ha voluto affrontare per dare senso compiuto alla propria vita.
Alla ricerca della parola, mi concentro su impercettibili segnali che nostro figlio ci ha mandato nei mesi immediatamente precedenti: abbracci intensi con i palmi delle mani distesi sulle mie spalle a infondere calore, sorrisi che partivano dal fondo del cuore, pieni di una consapevolezza di sé che mai gli avevo visto esprimere, occhi trasformati da uno sguardo sereno.
La luce, non il buio dell’armadio, è il giusto ambiente nel quale collocare l’immagine di mio figlio.
Un gioco di luci/ombre alla maniera di Caravaggio, dove la fonte luminosa esce con orgoglio prorompente da un personaggio del quadro, lasciando al buio lo sfondo della vita che si dipana intorno.
La luce, che non è diffusa né pervade ogni angolo della tela, ma che si fa carne nei contorni definiti di una storia umana.
Eccomi finalmente davanti al mistero di mio figlio, un mistero che assume caratteri concreti, di carne e sangue, di sogni e progetti per il futuro.
Il riconoscimento di questa dignità nuova, di un gesto compiuto per portare a compimento il proprio sé, attraverso la fatica di un cammino solitario verso la fonte della propria luce interiore.
Il riconoscimento di un figlio (omosessuale) che si svela a noi genitori, che lo guardiamo con occhi dapprima attoniti poi grati per il gesto di abbandono fiducioso, ancora una volta, nel nostro abbraccio.
E allora ecco la parola che dà senso: epifania, svelamento, manifestazione della verità custodita con tenacia, fatta crescere, germogliata nel silenzio e nel travaglio di una nuova nascita.
Quello a cui noi genitori siamo davanti è l’epifania del volto luminoso di nostro figlio, che con fiducia ci consegna la parte più profonda di sé.
Contemplare l’Epifania di Gesù significa per me oggi riconoscere l’epifania del volto di mio figlio.
Tocca a me, come a Maghi venuti dalle terre lontane dove nasce il sole, riconoscere la luce del volto, pronunciare la parola che dica l’accoglienza. E’ un ri-conoscersi, un conoscersi per la seconda volta (e chissà quante altre volte ci potremo conoscere ancora), un conoscersi reciprocamente in una rinnovata relazione che parla di te e di noi.
L’epifania del volto mi interpella a una risposta etica, come riflette Emmanuel Lévinas: ci troviamo al cospetto di Altri, dell’altro: “questa alterità e questa separazione assoluta si manifestano nell’epifania del volto, nel faccia-a-faccia […]. Il pensiero risvegliato dal volto è comandato da una indifferenza irriducibile: pensiero che è un pensiero per, una non in-differenza per l’altro”.
Come i Maghi, riconosco l’alterità di mio figlio e mi lascio interpellare da essa: non posso sottrarmi alla responsabilità della relazione con lui, nelle forme che la vita allaccerà davanti a noi. Come dice ancora Lévinas, “La responsabilità del prossimo è la responsabilità dell’io per un altro […] attraverso tutte le modalità del donare”.
Come i Maghi giunti davanti alla casa dove sta il bambino con Maria sua madre, anch’io saluto con il bacio dell’affetto (così dice la Scrittura, alla lettera) il nuovo nato e gioisco intensamente di una grande gioia (l’evangelista sottolinea in maniera iperbolica lo slancio dell’anima dei forestieri), rifiutando la logica della paura che blocca la città di Gerusalemme e guida le scelte di Erode.
Come i Maghi offro doni: quello che mi sta più caro è l’incenso, usato nel culto del Tempio come ringraziamento a Dio per qualcosa di buono.
Incenso quale formula di richiesta di benedizione per il buono nella vita di ciascuno di noi.