La verità costa, ma prima rende liberi e poi vince
Riflessioni di Massimo Battaglio
All’inizio di agosto, un ufficiale giudiziario suonò alla mia porta. Mi doveva recapitare un avviso di garanzia con invito di comparizione per interrogatorio in tribunale. Si trattava di una querela per diffamazione. In verità non avevo proprio idea di cosa potessi aver detto di così grave – e in effetti, come vedremo, non lo avevo proprio fatto – ma capii leggendo.
Un gruppo di sacerdoti aveva deciso che alcune frasi da me scritte su facebook ledevano la loro reputazione. Nella fattispecie, mi contestavano sei post e un commento, nei quali criticavo i loro metodi pastorali improntati alla rigidezza di certa Chiesa che ben conosciamo.
Quei metodi li avevano resi protagonisti di vicende di cui si erano occupati i giornali non solo locali definendole scandalose, vicende su cui non voglio tornare in questo scritto perché possono essere tranquillamente immaginate dai lettori di questo portale. E io non potevo tacere perché molte di esse riguardavano anche miei amici e conoscenti.
Sin da subito, le persone con cui parlai di questa accusa nei miei confronti condivisero con me l’opinione che i suddetti non fossero tanto preoccupati di difendere la loro onorabilità, quanto di mettermi a tacere e di affermare se stessi e il proprio desiderio di potenza.
Il mio avvocato riconobbe che si trattava di una vicenda eminentemente politica, cioè di un dibattito tra differenti opinioni su fatti pubblici inerenti la vita sociale.
Le mie critiche non esprimevano infatti nulla contro le singole persone ma si limitavano a far discutere su episodi di cronaca che imponevano, a mio parere, non tanto una condanna ma sicuramente una seria e aperta riflessione sul piano etico. Con queste motivazioni, propose l’archiviazione del caso.
La scorsa settimana, ho ricevuto notizia del fatto che il dossier è stato effettivamente archiviato. E’ interessante riportare alcune frasi del decreto di archiviazione, formulate non dal mio avvocato e nemmeno da un giudice super partes ma dallo stesso Pubblico Ministero che avrebbe dovuto portare avanti l’accusa nei miei confronti.
“Com’è noto, la tutela della reputazione personale è bilanciata dalla tutela del diritto alla manifestazione del pensiero; sicchè costituisce reato solo la condotta di chi travalichi il lmite dell’esercizio del diritto costituzionale. Tale diritto può essere esercitato anche ricorrendo, naturalmente, alla critica, anche aspra, al giudizio negativo, all’ironia”.
“Il Battaglio parla di scandalo, che rimane anche se non vi è reato. Giudica scandalosa una vicenda che ha riguardato i querelanti ed esprime un giudizio che, condivisibile o meno, non è certo punibile”.
Quanto all’aspetto dell’onorabilità, lo stesso PM nota:
“I sacerdoti querelanti godono di tale prestigio (sono tutti laureati in Teologia oltre che in altre discipline, si legge in querela), che una singola esternazione di quello che loro definiscono un “avversario morale” non può certo avere arrecato un grave danno alla loro reputazione”.
Insomma: cosa ve la prendete a fare con un tapino qualunque come il Battaglio, che prova giusto a fare un po’ di controinformazione?
Ero abbastanza sicuro che la cosa sarebbe finita lì. Mi pareva però molto ingiusto dover sostenere spese legali per aver detto appena un briciolo di verità, per giunta sapendo di aver ragione. Sottoposi quindi la cosa all’attenzione del direttivo de La Tenda di Gionata
Sostenuto anche da amici, proposi di aprire una sottoscrizione per condividere le spese. Non era tanto una richiesta di elemosina ma uno strumento per scatenare una piccola catena di solidarietà. Volevo dare a tutti la possibilità di condividere fattivamente la mia indignazione; di sostenere la mia e nostra lotta contro le discriminazioni, per la libertà e, in generale, per la verità.
L’esito del mio appello fu fragoroso. Tantissimi risposero, alcuni con donazioni anche impegnative, altri con piccole offerte ancora più commoventi che volevano dire: “ci sono anch’io”. Non posso ringraziare uno per uno perché, data la vicenda, è meglio non fare nomi. Ma vorrei farlo, davvero, almeno attraverso questo accorato abbraccio virtuale.
Ho appena scorso l’elenco di chi ha contribuito alla sottoscrizione per sostenere le mie spese legali a mezzo di bonifico bancario sul conto de La Tenda di Gionata. Ci sono persone con incarichi pubblici e ci sono amici intimi. Ci sono preti e mangiapreti, single e famiglie di tutte le tinte dell’arcobaleno. Alla fine, c’è una famiglia unica, magari inconsapevole di esserlo. E questa è la verità più bella.
Abbiamo raccolto una somma che supera di gran lunga la parcella dell’avvocato. Useremo la rimanenza in azioni contro l’omofobia. Così, ironia della sorte, i teologi plurilaureati che ci volevano zittire potranno constatare di aver fatto una buona azione.
Grazie a loro, il loro “avversario morale” è ora in condizioni di parlare più di prima. E parlerà, in buona compagnia, di uguaglianza, di promozione dei diritti e della dignità di tuttə, di verità belle e di verità scomode.
Se fossi meno presuntuoso, non citerei la famosa frase di San Paolo. Ma siccome lo sono parecchio, mi lascio andare:
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (Tm 4,7).
Mi permetto solo di sostituire la prima persona singolare, “io”, con quella plurale, “noi”. Perché si addice meglio a questa nostra piccola, significativa battaglia.