“Mi hanno rubato l’adolescenza”. La storia di Antonio, vittima di un prete pedofilo
Dialogo di Massimo Battaglio con Antonio Messina
Nei giorni scorsi, si è concluso il processo contro don Giuseppe Rugolo, prete di Enna ora quarantaduenne, accusato dal giovane Antonio Messina di Enna di abusi sessuali nei propri confronti e riconosciuto colpevole. La condanna inferta è di quattro anni e mezzo, più una serie di pene accessorie come l’interizione dai pubblici uffici per cinque anni e il divieto di insegnare. I giudici hanno messo nero su bianco anche le responsabilità civili della Curia di Piazza Armerina, con danni da quantificare e liquidare in separata sede.
Abbiamo parlato con Antonio, l’unico ragazzo, allora quindicenne e oggi trentenne, che ha avuto il coraggio di denunciare. E’ stata una chiacchierata piacevole e, a tratti, commovente.
Antonio. Non voglio farti ripetere tutto quello che stai già dicendo a tutti i media, e neanche raccontare cose troppo faticose da ricordare. C’è tanto materiale in rete sulla tua storia. Chi vuole approfondire, guarderà lì. Piuttosto, cosa farai domani?
“Ricomincerò a fare l’archeologo. E’ un mestiere che mi piace molto. Poi farò un po’ di volontariato (sono rimasto attivo sul mio territorio, nonostante i casini) e poi riprenederò questa vicenda, perché non è finita”.
Sei soddisfatto del risultato?
“Abbastanza, anche se i difensori del sacerdote non hanno perso tempo a cercare di minimizzare i reati per i quali il loro assistito è stato condannato, mistificando e omettendo punti fondamentali della sentenza. Si sono permessi di sfrugugliare sul mio orientamente sessuale per tentare di dimostrare che, da parte mia, ci fosse consenso. Hanno tentato in ogni modo di minimizzare. Nel corso delle udienze hanno sempre avuto un atteggiamento provocatorio.
Il sacerdote ha persino querelato me e i giornalisti che hanno trattato il caso, con argomenti talmente infondati che tutte le procure, da nord a sud, hanno archiviato le denunce. Nonostante ciò hanno presentato opposizione. A sua volta, la diocesi di piazza Armerina, a seguito della sentenza, annuncia di voler già ricorrere in appello in quanto condannata in solido come responsabile civile”.
Mi puoi riassumere la vicenda giudiziaria?
“Sì. Ero giovanissimo. Quel prete, allora seminarista, in cui avevo riposto fiducia, cominciò a molestare. Quando mi resi conto che mi stava usando violenza, ne parlai col parroco. Pensavo di risolverla così. Ma non mi credette.
Allora andai dal vescovo coi miei genitori. Fu orribile. Tentò in tutti i modi di chiudere la cosa, anche offrendo consistenti somme di denaro in nero. Così scrissi al Papa, ma non ottenni risposta. Il passo successivo non poteva che essere quello della denuncia alla Polizia di Stato. E così feci.
Perché non sei andato subito alla Polizia?
Ero un adolescente, in preda ad ansie, preoccupazioni e alle manipolazioni del sacerdote. Ho vissuto il trauma nella mia solitudine. Intorno a me c’era gente di cui pensavo di potermi fidare. Prima di quei fatti avevo anche pensato di diventare prete. E poi sai… ci vuole del coraggio.
Ho preso la decisione quando ho capito che nessuno mi ascoltava. A quel punto, ero preoccupato che una storia analoga alla mia capitasse magari ad altri ragazzi (cosa di cui avevo sentore e che è poi emersa).
Così sono andato avanti. La cosa che mi è pesata di più è sentirmi solo, rifiutato, non creduto, e poi trattato come un elemento fastidioso che si poteva tranquillamente colpire nell’intimo pur di conservare un’aura di rispettabilità”.
Senti Antonio: credi che, se tu fossi una donna, cioè se la tua fosse una storia a sfondo eterosessuale, le cose sarebbero andate diversamente?
“Sai che non ci ho mai pensato? Ma è vero: le storie di abuso sessuale su ragazzine da parte di preti esistono, anche se sono molte meno”.
Guarda caso…
“Eh! Comunque, in quei casi, la condanna è abbastanza unanime. Quando invece emergono fatti che riguardano ragazzi, e che quindi fanno emergere anche l’omosessualità, tutto prende una piega diversa.
I confratelli, le istituzioni religiose e anche quelle civili – per non parlare dei parrocchiani – alzano un muro. Difendono a spada tratta il colpevole. Lo trattano come uno di loro, a costo di mentire o aggrapparsi a cavilli, come ha fatto la Santa Sede che ha rifiutato di occuparsi del caso in quanto, all’epoca dei fatti, l’accusato non era ancora chierico ma solo seminarista”.
L’omofobia interiorizzata è una brutta bestia. Associata a una totale ineducazione alla sessualità e a tanta repressione, rischia di sfociare in una patologia e a far compiere atti orribili e alla difesa degli stessi colpevoli. Può essere?
Non so. Io ho ancora molte domande su me stesso, sulla mia sessualità, che, per carità, agisco, ma non così serenamente. Vedi: mi hanno rubato l’adolescenza. Tanti interrogativi che avrei potuto pormi allora, devo pormeli adesso.
Ti hanno rubato l’adolescenza. E’ un’espressione efficace. E la fede? Ti hanno rubato anche quella? C’è un video molto bello che hai messo su youtube, in cui dici che non vuoi più una Chiesa così.
Diciamo che non sono più quel ragazzo impegnatissimo che ero allora. Ho avuto altri impegni. Questa causa mi ha assorbito tutto. Continuo ad andare a messa, a far parte della mia nuova comunità parrocchiale, dove, devo dire, ho trovato tutt’altra accoglienza, sia da parte del parroco che degli amici.
L’anno scorso, siccome sono appassionato di canto, mi è stato chiesto di cantare l’Exultet durante la veglia di Pasqua. Qualcuno ha avuto da ridire, pensa un po’: c’è ancora quella mentalità lì, tra i preti ma anche tra i laici. Ma il parroco mi ha difeso. Alla fine è stato un piccolo passo avanti.
Quindi non finisce qui.
Assolutamente. Intanto ci sarà molto probabilmente l’appello, che richiederà impegno da parte mia. E poi, comunque, voglio cominciare a fare un po’ di attivismo su questi temi, sia su quello della violenza sessuale e sia sul rapporto fede-omosessualità. Le cose devono cambiare. Devono cambiare.
Bene caro Antonio. Le cose cambieranno. Per qualunque necessità, sai che ci siamo anche noi. E per ora, grazie di tutto.