«Questa è la notte». Il Triduo pasquale partendo dalla fine
Riflessioni di Luigi Testa*
Prepararsi all’appuntamento. Si capisce tutto meglio dalla sua fine; è così anche per i giorni che ci aspettano, fino alla notte di Pasqua. Tutto, naturalmente, non lo capiremo mai, e forse è bene così. Ma dovremmo comunque partire da lì – dalla liturgia della notte tra le notti – per affondare meglio nello stupore dei prossimi giorni. Perché di questo si tratta: di affondare. Stringersi forte a Lui, perché ci porti giù, giù, nel fondo, per poi essere trascinati in alto ancora insieme a Lui.
Il triduo pasquale non è un appuntamento a cui si possa arrivare impreparati. È troppo grande – è semplicemente troppo – perché si possa pensare di capirci qualcosa mentre ci stiamo dentro. Sarà troppo ricco, troppo rapido, come un precipitare, ci scorrerà tutto così velocemente addosso, ci travolgerà tutto così rapidamente, e ci ritroveremo senza accorgercene all’alba della domenica. Bisogna arrivarci almeno un po’ preparati, come ci si prepara all’appuntamento speciale con la persona che si ama.
«L’ora viene, ed è questa»
Se allora si comincia dalla fine, nell’immensa ricchezza della liturgia – quasi uno spreco, come quel nardo, quella sera a Betania, che però riempirà i nostri giorni come allora riempì tutta la stanza –, colpisce quel ritorno ossessivo, nel grande annuncio della resurrezione, di un’espressione: «Questa è la notte». Questa. «L’ora viene, ed è questa» (Gv 4, 23), aveva annunciato il Maestro – «Venit hora et nunc est».
Questa, “nunc”, adesso: non un’altra. «Questa è la notte», e lo si dice oggi; non come una voce che viene dal passato, no: è una voce contemporanea. E che il mistero di Cristo sia contemporaneo ad ogni uomo è la più importante chiave di lettura del cristianesimo.
Siamo fermi in quella notte – anzi, in questa notte. Siamo fermi lì: all’ora della sua Pasqua – all’ora della sua morte e resurrezione – è un’unica ora, come unica è la celebrazione del Triduo Pasquale, un unico movimento: il Suo svuotarsi e, nel momento della consumazione di questo svuotamento, la Sua glorificazione – come è un unico momento quello della bomba che esplode non appena si è consumata la combustione.
I piccoli occhi della nostra umanità ne vedono uno sviluppo progressivo nel tempo, ma è la stessa unica ora. In ogni momento del Triduo Pasquale, noi accediamo all’unico Atto del Cristo, all’unico amore: questa è la notte in cui il nostro tradire è avvolto di fedeltà; questo è il giorno in cui la vita entra nella morte, e la inghiotte in sé; questa è la notte «che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore».
«Tutto è compiuto»
E non solo in quest’ora si accentra tutto il mistero di Cristo. Di più. Questa è l’ora – non ce n’è un’altra – in cui si condensa tutta la storia dell’umanità. In cui è ricapitolata tutta la storia (cfr. Ef 10). «Tutto è compiuto»: non c’è niente altro che deve compiersi, non c’è niente altro da attendersi. La storia, in realtà, non esiste. Tutto è compiuto, in quell’ora – che è quest’ora, in cui siamo tutti custoditi.
Se non ce ne rendiamo conto, è perché la nostra umanità è imprigionata nella categoria del tempo. Ma il tempo come successione appartiene soltanto a questa economia presente, che è l’economia del segno, non della realtà. La realtà è altra: è quella dell’eternità, e nell’eternità non può esistere il tempo come successione. L’eternità non è una successione infinita di istanti: è un istante eterno, che non finisce. È un “nunc”, un adesso, un «quest’ora», così pieno, da tenere tutto in sé.
Solo se si tenta di adottare questo sguardo prospettico, possono capirsi quelle parole di Gesù: «Tutto è compiuto», e «L’ora viene, ed è questa», così come il ritorno del preconio: «Questa è la notte». È questa: ed è precisamente quella della Sua morte e resurrezione, del Suo svuotamento e glorificazione, due movimenti di un unico Atto.
Quest’Atto costituisce, infatti, l’ultimo definitivo momento del processo dell’assunzione della nostra umanità in Lui. Ora tutto Egli ha assunto: non è rimasto nulla fuori. Ha assunto finanche la cosa più umana che c’è: la sensazione di sentirsi abbandonati dal cielo. Non c’è nulla dell’umanità cui Egli non si sia unito, non abbia assunto, non abbia avuto sulla sua pelle, nel suo corpo.
Attirerò tutto a me.
Non è un’umanità astratta quella che Egli ha fatto sua. Non esiste umanità in astratto. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Guadium et spes, 22). È la mia personale, singola, individuale umanità – è la mia storia, unica – cui Lui si è unito indissolubilmente.
L’umanità in cui sussiste ogni singolo uomo, del passato e del presente, da quando esiste il mondo fino a quando esisterà, è stata assunta dal Verbo. Egli sta al centro della storia, e attrae tutto a sé, passato e futuro: «E io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Attirerò tutto a me.
Nell’economia del segno, alla mia piccola umanità, sembra che ci sia ancora uno sviluppo della storia, ma in realtà la storia è contenuta tutta in quell’Atto – tutto è ricapitolato, è riavvolto, in Lui (cfr. Ef 10).
La mia storia, la mia umanità, le mie fatiche, la mia felicità, la mia fragilità, il mio desiderio, i miei amori sono tutti lì – in quell’ora, in quest’ora – perché tutto è stato assunto da Lui, e, poiché assunto, salvato: si perde solo ciò cui non lasciamo che Egli si unisca, perché tutto è assunto, tranne la tragica possibilità di un nostro no.
Il nostro personale «Exultet»
«Questa è la notte»: non c’è altro, non c’è domani, non c’è qualcosa di nuovo. «Questa è la notte» in cui c’è tutto, in cui nasce tutto. Se fossimo veramente cristiani, dovremmo festeggiare in questa notte l’inizio delle nostre storie d’amore, perché tutto ciò che è pienamente umano – e anzitutto il nostro amore – sgorga da questa notte – dal Suo Amore pasquale –, e in questa notte rimane fermo per sempre, assunto, redento, custodito, salvato.
Non ho incontrato la persona di cui sono innamorato un giorno a Milano, non ci siamo baciati la prima volta una sera in Porta Venezia: questo è solo quello che i miei piccoli occhi vedono. L’ho incontrato e ci siamo baciati la prima volta in questa notte, dove tutto è custodito.
Un buon esercizio spirituale potrebbe essere quello di comporre il nostro personale Exultet, da pregare nei giorni del Triduo.
Questa è la notte in cui restiamo insieme abbracciati, per l’eternità, io e Te.
Questa è la notte in cui mi tieni con te a tavola, mentre ceni con i tuoi, e ti nascondi in qualche briciola di pane.
Questa è la notte in cui ti asciugo il sudore di sangue ed acqua che ti macchia la fronte.
Questa è la notte – «si fece buio su tutta la terra» (Mt 27, 45) – in cui mi doni tutto, fino all’ultima goccia di sangue dal Cuore.
Questa è la notte in cui sprofondiamo insieme nel buio del sepolcro.
Questa è la notte in cui mi trascini fuori con Te dal sepolcro – da ogni sepolcro in cui mi sono rinchiuso – «Trascinami con te, corriamo!» (Ct 1, 4).
Questa è la notte in cui cammino nella storia, ma Tu sei con me; in cui cado e mi faccio male, ma Tu sei con me; in cui fatico e ho l’affanno, ma Tu sei con me; in cui mi feriscono e io resto triste, ma Tu sei con me.
Questa è la notte in cui fiorisce la mia umanità, e Tu sorridi; in cui riesco ad amare un po’ come te, e Tu mi sorridi.
Questa è la notte in cui mi sono innamorato, in cui è nato il mio amore, in cui è nata ogni cosa bella. Questa è la notte, in cui stiamo sempre insieme, ed è tutto al sicuro.
*Luigi Testa è autore di testi a carattere giuridico e scrive su alcuni quotidiani nazionali. “Via crucis di un ragazzo gay” (Castelvecchi, 2024) è il suo primo libro di natura spirituale, altre sue riflessioni sono pubblicate anche su Gionata.org