Coming out: genitori e figli si raccontano
Articolo del 24 agosto 2010 tratto dal blog “Yourteenmag.com” (USA) liberamente tradotto da Silvia
Mio figlio William è un 23enne diplomato che vive e lavora a Toronto, in Canada. Ha un rapporto stretto e veramente meraviglioso con suo padre, suo fratello, sua sorella e me.
Per molti, davvero tanti. è un amico vero e leale. È uno scrittore, pratica la capoeira (un’arte marziale brasiliana) e canta in una band. Parla un po’ di tedesco e di swahili. Ama viaggiare, mangiare cibo piccante, bere birra. Ed è gay.
La sessualità di William, o quella di suo fratello o di sua sorella, non è una di quelle cose su cui io e mio marito ci siamo soffermati. Non ci importava. Ma importava a lui.
Quando andava in settima classe, ci trasferimmo dalla nostra casa a New York a Cleveland. Oltre le solite cose che i bambini dovevano sopportare in un trasloco, sembrava molto in conflitto. Iniziammo a notarlo quando il nostro ragazzo, dolce, divertente e riservato iniziò a diventare cupo e tirato. Passava centinaia di minuti al telefono chiamando il suo migliore amico. Girava per la casa e sembrava incredibilmente triste. Non potevamo sopportarlo.
Una sera, William, suo padre ed io in cucina avevamo iniziato a parlare, un po’ goffamente all’inizio, e gli domandavamo perché stesse così male. “È perché ti manca casa?” “C’è qualcosa che non va’ a scuola?”. Niente. Allora dissi: “È perché sei gay?”. Wow ecco. Finalmente l’avevamo detto ad alta voce. Rimase stordito per un minuto e disse: “Sì, sono gay”. Il semplice fatto di potercelo dire, gli diede un grande sollievo. Non avevamo capito che il modo in cui dircelo avesse preoccupato così tanto. Aveva paura di noi e di come avremmo potuto prendere la “novità”.
Sinceramente non si trattava di una novità. Certa gente dice che una madre sa quando suo figlio è gay. Nella nostra famiglia, tutti noi lo sapevamo e ci scherzavamo su fin da quando era un bambino. Non ci importava, davvero. Ma non gli avevamo dato l’opportunità di dircelo.
Poco dopo ne parlammo e potemmo vedere e sentire il suo cambiamento. Aveva la libertà di essere esattamente chi era, e essere gay ne era una parte. Il liceo era stato duro, così scelse un anno di master al CSU, all’Università di Toronto (una città davvero gay-friendly) e lasciò la scuola. È stato con un bellissimo ragazzo per un anno, che, ci ha detto, equivale a dieci anni nel mondo etero!
Una delle più grandi paure che si hanno come genitore è come proteggere tuo figlio da tutto quello che gli può far male. Non si può sempre intervenire quando gli altri trattano male il tuo bambino. E, in tutto questo, che è la nostra maggiore preoccupazione, quanto crudeli e insensibili possano essere gli altri, a causa di quel che è. Alla fine, quel che possiamo fare è fargli sapere quanto lo amiamo, esattamente com’è. A volte è proprio facile.
La storia di un genitore, di Jim Buccini
Un pomeriggio mia moglie mi chiamò dicendomi: “Ha chiamato la scuola e sono preoccupati per Jimmy. Lui ha bisogno di parlarci”. Non capivo. Perché a scuola erano preoccupati per Jimmy? Era uno studente molto brillante, popolare e rispettato dagli insegnanti. Era un tragitto di quarantacinque minuti e avevo paura che fosse successo qualcosa a mio figlio. È stato il tragitto più lungo che abbia mai fatto.
Arrivammo a scuola, entrai nella stanza dove c’era il suo mentore che stava aspettando con Jimmy. Io e mia moglie eravamo là, stralunati, e chiedemmo a Jimmy: “Cosa c’è?”. Non lo avevo mai visto così; era stravolto e soffriva parecchio. Dopo pochi minuti, il suo mentore incoraggiò Jimmy a parlarci, e non uscivano parole, solo lacrime. Dal suo viso traspariva l’angoscia. Alla fine sbottò: “Sono gay”
Queste parole mi fecero cadere il mondo addosso. Mia moglie si sporse per abbracciarlo per fargli capire che andava tutto bene e che gli volevamo bene. Lo guardai con le lacrime agli occhi e gli dissi: “Ci sono solo due cose che devi sapere: uno, che sei mio figlio e due che ti voglio bene” . Jimmy ci abbracciò e sembrò così felici che fossimo stati d’aiuto. Questo ci fece capire che era il solito Jimmy.
Era confortante vedere che Jimmy era contento del nostro aiuto, ma ero combattuto dentro. Non mi urtava il fatto che fosse gay; avevo paura del mondo. Come l’avrebbe trattato la gente? Non potevo stare con lui ogni giorno per proteggerlo. Cosa avrebbero detto i miei amici e la mia famiglia?
In seguito, per alcune settimane, fui confuso e preoccupato del fatto che Jimmy fosse gay. Non era cambiato nulla tra noi, il nostro era un legame forte. Quando era fuori casa ero spaventato. Avevo un pensiero fisso: era mio figlio e io lo amavo.
Alla fine ho raccontato tutto alla mia famiglia e ai miei amici e sono stato sollevato dalle loro reazioni. Tutti hanno accettato Jimmy. Mi hanno detto che conoscevano Jimmy e che non importava che fosse gay. Gli volevano bene. Nostra figlia Michela, di tre anni più giovane di Jimmy, ha dato una mano alla Gay-Straight Alliance (un’associazione gay-friendly presente in molti stati americani) mentre era al college e anche in seguito.
Jimmy è stato via di casa per oltre dieci anni. Io e mia moglie siamo estremamente orgogliosi di lui. Ha conseguito un master alla Syracuse University (ora è assistente sociale) e ha lavorato per un anno in una unlus. Ora è iscritto alla Divinity School della Yale University e vive in Connecticut con il suo compagno.
Spero che un giorno ci sarà uguaglianza per chiunque e che l’orientamento sessuale non importerà più. Spero che un giorno la gente non debba più fare “coming-out”. Spero che un giorno ognuno verrà accettato per quello che è.
Storia di un genitore.
Nostro figlio frequenta un college in Ohio. Recentemente, Michael mi ha detto di essere gay. L’ha detto a mia moglie prima di Natale, quando era a casa per le vacanze. Ha aspettato a dirlo a me quando tornammo a scuola il mese successivo. Fortunatamente stava guidando.
Non ricordo le mie prime parole, accolsi con un lungo silenzio la notizia che avesse un ragazzo. Parlammo un po’ del suo ragazzo ma la conversazione tornò presto alla religione. Siamo cattolici. Michael ha tre fratelli sposati con rito cattolico che ci hanno dato dei nipotini. Speravamo che Michael incontrasse una ragazza carina, si innamorasse, si sposasse e avesse dei bambini. Tutte le nostre aspettative, i nostri sogni e le speranze, cambiarono in un istante.
Per il resto del viaggio mi ricordo che parlai con Michael di Dio, della religione, dei problemi che avrebbe avuto affrontare nella vita, del pregiudizio… Quel che pensavo era: “Perché sta succedendo a noi?” La sera Michael uscì con alcuni amici così io e mia moglie potemmo parlare. Avevamo entrambi paura per il suo futuro a livello sia pratico che morale. Ci chiedevamo se fosse colpa nostra se Michael fosse gay. Non ne parlammo a lungo con lui prima che tornasse a casa.
Facemmo un sacco di ricerche. Scoprimmo che una persona non è gay a causa dell’ambiente in cui vive e nemmeno perché lo ha scelto. La gente nasce omosessuale (o eterosessuale, se è per quello). Ci è stato di aiuto. Abbiamo anche scoperto che la Chiesa stabilisce che non è peccato essere gay ma che crede che i gay siano disordinati. Questo non ci fu di aiuto. Nostro figlio non è disordinato. È un giovane uomo gentile e amabile che ha ottenuto molti successi nella sua vita ed è apprezzato e rispettato sia dagli adulti che dai più giovani.
Mia moglie lesse un articolo sul Cleveland Plain Dealer che parlava di un’organizzazione, la PFLAG Parents, Families, and Friends of Lesbians and Gays (Genitori, famiglie e amici di lesbiche e gay, un equivalente dell’AGEDO italiana). Chiamammo il presidente e, dopo una lunga discussione, decidemmo di andare ad uno degli incontri. Questa è stata una delle migliori decisioni che abbiamo mai preso.
La PFLAG ci ha aiutato enormemente. Abbiamo incontrato genitori che hanno passato ciò che avevamo passato noi. Ci hanno mostrato che si tratta di un processo. Abbiamo incontrato coppie gay che hanno una relazione stabile e felice. Abbiamo anche incontrato giovani che l’hanno detto ai loro genitori e non sono stati accettati. Cerchiamo di aiutare loro e i loro genitori nello stesso modo in cui noi siamo stati aiutati.
Io e mia moglie abbiamo detto ad alcuni membri della nostra famiglia e ad alcuni amici che Michael è gay, comunque, lui non l’ha ancora detto ai suoi fratelli. Crediamo che sia una parte del percorso di Michael. L’ha detto ad alcuni amici e tutti quanti al college sanno che è gay. La gente a cui l’abbiamo detto accetta Michael per quello che è. È sempre lui. Essere gay non lo cambia.
Abbiamo incontrato il ragazzo di Michael parecchie volte ed è stato anche a casa nostra in qualche occasione. Siamo fortunati che Michel abbia un ragazzo. Abbiamo visto agli incontri del PFLAG che le coppie gay possono essere felici e avere relazioni a lungo termine. Abbiamo anche visto che bisogna che molte cose cambino. I gay hanno il diritto alla stessa protezione e agli stessi diritti degli eterosessuali. Speriamo che Michael ottenga tutti questi diritti e che sia accettato per quel che è.
Storia di una teenager di Dana Buzzelli
Ho fatto coming-out a 16 anni, poco dopo aver scoperto di essere lesbica. Per me farlo significava essere sincera con me stessa. Ho assolutamente rifiutato l’idea di dover nascondere ciò che provavo, come se fosse sbagliato e orribile. Non mi sentivo a mio agio mentendo circa chi io fossi o chi amassi. Comunque i miei forti sentimenti a riguardo non mi prepararono esattamente alla difficoltà di uscire allo scoperto, e a quanto profondamente questo avrebbe influenzato me e quelli intorno a me.
Mi dichiarai a tre gruppi distinti: i miei amici, la mia scuola e, infine, la mia famiglia. Lo dissi uno per uno ai miei amici e le loro reazioni variarono dalla confusione alla sorpresa. Senza tener conto della loro reazione iniziale, tutti i miei amici mi accettarono. Si adattarono completamente alla cosa; ai loro occhi era solo parte di ciò che ero. La mia onestà rese ancora più salda la nostra amicizia e il loro aiuto diventò per me un incredibile risorsa negli anni a venire.
Dichiararmi ai miei amici era una cosa, farlo al resto del mio liceo era un’altra. Io e la mia ragazza decidemmo di non gridare ai quattro venti che ci frequentavamo, ma neanche di nasconderlo. Il mio liceo è piuttosto conservatore ed essere la prima coppia apertamente gay non era certo facile. Io e la mia ragazza abbiamo affrontato discriminazioni e molestie da studenti e docenti. Siamo state punite per esserci abbracciate e ci sono stati commenti omofobici alle nostre spalle. Ricordo l’inutile rabbia provata quando ho capito che la scuola non faceva molto per aiutarci. La cosa frustrante era che non stavamo cercando di fare sensazione, volevamo essere trattate come le altre persone e le altre coppie. Fortunatamente, dopo pochi mesi, le cose iniziarono ad andare meglio e, lentamente, la gente iniziò ad essere più tollerante.
Una volta uscita allo scoperto con gli amici e a scuola iniziai a sentirmi sempre più a disagio per non averlo detto alla mia famiglia. La cosa principale che mi tratteneva era la paura della reazione dei miei genitori.
Anche se fare coming-out così giovani è stato difficile, non ho rimpianti. Posso essere me stessa, sapendo che le persone che amo mi aiutano. Mi sono anche avvicinata di più alla mia famiglia, specialmente a mia madre. l’aspetto più gratificante, comunque, è stato vedere il positivo impatto sugli altri. Durante il liceo, molti studenti, alcuni dei quali non avevo mai incontrato prima, mi hanno ringraziato per aver dato loro il coraggio di fare coming-out e per aver mostrato loro che era possibile andare avanti.
Ora che ho finito il liceo e mi guardo indietro, sono orgogliosa di essere uscita allo scoperto quando l’ho fatto. Mi ha aiutato a vedere il mondo in un modo un po’ più diverso e a rendere un po’ più dura la scorza. E, posso solo sperare che abbia aiutato la mia famiglia, i miei amici, la mia scuola e la mia comunità ad essere un po’ più tolleranti e consapevoli.
Storia di una teenager di Elizabeth Perts
Quando avevo 14 anni, lo dissi alla mia famiglia e ai miei amici. La mia decisione derivava dal desiderio di non nascondere una parte della mia vita e dalla consapevolezza che, se non l’avessi fatto subito, non l’avrei mai fatto.
In quel periodo stavo scrivendo una tesina per la scuola, sul tema delle adozioni gay. Dopo che mio fratello prese posizione contro mentre stavamo andando in biblioteca, decisi di parlarne con mia madre. Mi disse che mi avrebbe amato, anche se fossi stata gay. Feci del mio meglio per non piangere, e mi sforzai di mordermi la lingua, finché non avessi riflettuto un po’ di più a riguardo.
Rimasi sulle mie per il resto della giornata. Me ne stetti da basso a scrivere una mail a mia madre, dicendole che ero gay e che speravo che fosse davvero convinta di ciò che mi aveva detto prima. Era la cosa più paurosa che avessi mai fatto e rimasi sveglio tutta la notte pensando se potevo fare qualcosa per annullare ciò che avevo fatto.
Mia madre ci mise tre giorni per parlarmene. Il dialogo fu terribile e non andò nel modo che avevo sperato. Mi disse che mi amava comunque, ma pensava fosse solo una fase e di non dirlo ai miei amici e di non dirlo a nessuno nelle organizzazioni religiose. Passai la maggior parte del tempo facendo del mio meglio per non piangere. Quando mio padre tornò a casa, tutto quel che fece fu entrare in camera mia e chiedermi se la mia fosse o no una scelta. Gli dissi di no, che non lo era, annuì, mi disse che mi voleva bene e mi lasciò solo.
Per molte settimane, mia madre si comportò come se mi potesse passare. Mi sentivo male come mai mi ero sentita prima, sapendo che il mio orientamento sessuale era ormai noto e non sapendo cosa fare.
Quando dissi a mio padre che avrei voluto fare dire di me all’organizzazione religiosa a cui appartenevo, con o senza il loro sostegno, ci pensò lui per me. Chiamò la responsabile e glielo disse. Lei fissò un incontro con me.
Mi fu detto che non potevo restare nell’organizzazione se ero gay. Se volevo rimanere, avrei dovuto nascondere il mio orientamento sessuale e non parlarne mai, o mi avrebbero costretto ad andarmene. Per una quattordicenne era una questione estremamente delicata con cui fare i conti. Per i due anni successivi, mi odiai per aver seguito quelle regole. Mi sembrava che mi facessero vergognare di me stessa e non avevo nessuna fiducia in me.
A quindici anni, io e mio padre convincemmo mia madre ad andare all’incontro del PFLAG (Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays) con noi. A sedici anni, finalmente, trovai il coraggio di dichiararmi ai miei amici dell’organizzazione, ma ci volle fino ai diciotto anni per poter parlare veramente di come fosse difficile per la gente capire che ero sempre io, anche se stavo con una ragazza.
Storia di una teenager
Il mio primo errore fu rivelarmi a mia madre. È una donna che non sa gestire bene i cambiamenti e pensa che essere di ampie vedute significhi mangiare il pollo al forno anziché fritto. Feci coming-out con lei per la prima volta quando avevo dodici anni. Tra drammatiche lacrime, in pratica mi disse che non mi credeva. Così lo feci a tredici anni e ancora a quattordici. A questo punto, FINALMENTE le caddero le fette di salame dagli occhi e iniziò ad ascoltarmi. Litigammo per un mese, poi mi cacciò.
Prendermi cura di me stesso a quattordici anni è stata probabilmente una delle cose più difficili che abbia fatto in vita mia… quello e passare l’esame di fisica. Lasciai casa sua e andai un po’ di qua un po’ di là: da un amico, da un altro amico, dal mio ragazzo, e in affidamento. Ora sono tornato da mia madre. detto tra noi, prendermi cura di me stesso mi ha reso molto più forte, che, col senno di poi, è buona cosa.
Ho fatto coming-out anche con il mio migliore amico etero, dal quale non ero assolutamente attratto. Mi ha guardato negli occhi, davanti al condominio in cui viveva, i nostri cervelli da ventiduenni colmi di attenzione e disse “Sei sempre mio amico. Non m’importa nulla”. Così andammo al parco giochi parlando di Tekken 3. Sono sicuro che fosse molto più interessato alle mie abilità di combattimento con Nina e Xiayou che ai ragazzi che mi piacevano.
Non c’è un modo infallibile di sapere chi penserà cosa quando ci si rivela o cosa le persone faranno. Ma so questo: sarà un peso che vi toglierete dalle spalle. Mi sono sentito decisamente meglio dopo.
Un parere professionale del Dr. Jes Sellers
Pazienza e volontà di capire sono essenziali se si deve cambiare il modo di pensare, sentire e comportarsi con i famigliari di gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Stava seduta in silenzio, osservando il pavimento in un cerchio di parenti e di genitori impazienti di ascoltare e di aiutare. Aveva paura. Il suo migliore amico – il solo con il quale avesse mai condiviso il suo segreto le sedeva accanto. Il suo segreto? Sua figlia era gay.
Fortunatamente il suo amico sapeva che un segreto del genere portava all’isolamento e alla disperazione, così si rivolse al Parents, Families & Friends of Lesbians and Gays (PFLAG), un’organizzazione no-profit che aiuta persone e famiglie ad accettare e ad amare i loro figli.
Era lì che si era seduta, nella stessa stanza con i suoi pari, per parlare dell’identità sessuale e di genere di sua figlia. Solo stare lì sembrava un affronto alla convinzione di vecchia data di questa mamma che l’omosessualità fosse sbagliata, inaccettabile e disgustosa. Quando venne il suo turno di parlare, non alzò lo sguardo e non spiccicò parola, ma si mise a piangere. Questo fu abbastanza perché tutti gli altri nella stanza capissero che aveva iniziato il suo itinerario come dove lo facevano molti genitori: dalle lacrime.
Non è affatto semplice fare coming-out per gli adolescenti omosessuali, bisessuali o transgender; spesso anche il loro cammino inizia con le lacrime. La pressione adolescenziale per adattarsi cozza con il bisogno di essere onesti con gli amici e la famiglia. Lottano per accettarsi, hanno paura di chi potrebbero trovare e spesso sono oggetto di bullismo o sono emarginati dai gruppi delle loro scuole, proprio come ha confermato Lizz con la sua organizzazione religiosa.
È triste ma il rischio suicidio è più alto tra gli adolescenti LGTB che tra i loro coetanei eterosessuali. In uno studio del 2008 di una città del Midwest, i ricercatori hanno scoperto che i giovani LGBT sono più inclini alla presa in giro, alla depressione e al suicidio; sono vulnerabili all’uso delle droghe. Lo studio ha scoperto anche che un positivo clima scolastico e famigliare li protegge dalla depressione e dall’abuso di alcolici.
Le seguenti citazioni chiariscono il processo paradossale dei genitori etero dei figli gay: “Quando un figlio si rivela, i genitori si nascondono”. Comunque, questa mamma aveva paura di “rivelarsi” a un gruppo di auto-aiuto del PFLAG nello stesso modo in cui questi giovani hanno paura di “rivelarsi” agli amici e ai genitori. Dopo aver appreso la notizia, molti genitori iniziano il loro viaggio verso la comprensione attraverso le fasi di perdita analizzati negli scritti di Elisabeth Kübler-Ross: negazione, rabbia, contrattazione e depressione. Da ultimo, arrivano all’accettazione. Anche gli adolescenti LGBT attraversano fasi simili.
Ma, basandomi sull’esperienza, vorrei aggiungere un’altra fase: arricchimento e gratitudine. Alla fine, alcuni genitori e adolescenti gay, non importa dove sia iniziato il loro iter, possono affermare che le loro vite si sono arricchite e che sono grati di avere un figli gay o di essere gay. Può essere difficile per qualcuno arrivarci, ma andare oltre l’accettazione fino all’arricchimento e alla gratitudine, è comunque un bene.
Titolo originale: Coming Out: Personal Stories from Parents, Teens and Expert