Viganò, la chiesa cattolica e lo scisma degli omofobi
Riflessioni di Massimo Battaglio
E’ singolare che ora, dopo la scomunica di mons. Viganò e, di fatto, la sua sospensione a divinis, coloro che ne stanno prendendo le maggiori distanze siano gli stessi che fino a ieri lo hanno sostenuto.
Siti integralisti, gruppi fanatici, confraternite conservatrici, son tutti lì a far distinguo, a precisare che erano d’accordo ma. Si vede che l’ex Sant’Uffizio fa ancora paura, soprattutto quando fa sul serio e fa capire che tirare troppo la corda non è un bel gioco.
L’antefatto è noto a tutti: monsignor Viganò, dopo una serie di pronunciamenti pubblici contro papa Francesco e la curia tutta in cui arrivò a esortare le dimissioni del pontefice, fu invitato a smorzare i toni. Non lofece mai.
Anzi: andò avanti disconoscendo l’autorità papale e facendosi riconsacrare da un gruppo scismatico. Da lì in avanti, iniziò a proferire vere e proprie ingiurie contro la Chiesa. L’ultima fu quella in cui chiamava Bergoglio “servo di Satana”.
E’ evidente che un personaggio così si pone fuori dalla comunione dei cattolici. Ed è ovvio che, prima o poi, il suo allontanamento venga riconosciuto dal tribunale ecclesiastico attraverso un decreto di scomunica. Questo è ciò che è avvenuto oggi, 5 luglio 2024, dopo vari richiami andati a vuoto e dopo l’invito a presentare la propria difesa.
Ma perché il caso Viganò dovrebbe interessare i cristiani LGBT+? Beh… perché l’omosessualità è uno degli argomenti, se non il principale, che il presule ha sempre tirato fuori, ossessivamente, in tutte le sue critiche. Così si espresse dopo la promulgazione di “Fiducia Supplicans”:
“E’ una falsa sollecitudine pastorale nei confronti di adulteri e sodomiti. La loro colpa non riguarderà solo i peccati commessi ma l’aver voluto credere a una frode di falsi pastori, servi di Satana, a iniziare dall’usurpatore che siede sul soglio di Pietro”. E poi: “cosa impedirà in futuro di benedire poliamori, pedofilia, bestialità dell’amore animale, sempre in nome dell’accoglienza?”.
A parte i toni da Savonarola, c’è proprio bisogno di far notare a sua eccellenza che, a differenza dei nostri amori, la pedofilia e la bestialità sono crimini e denotano esattamente l’incapacità di amare? Ma l’eterna confusione tra omosessualità e pedofilia è sempre stata il cavallo di Troia delle critiche di Viganò alla Chiesa contemporanea. Già nel 2020 aveva scritto qualcosa del genere:
“Nella Chiesa, sull’omosessualità, è in corso un’opera di legittimazione. A portare avanti questo discorso sono prelati e teologi”. Fin qui, tutto bene, diremmo noi, senonché, tutta questa legittimazione, noi non l’abbiamo ancora vista. Ma arriviamo: “Si vuole focalizzare l’attenzione sugli abusi su minori, deviandola dalla contestuale condanna chiara e doverosa dei comportamenti omosessuali”.
Vale a dire: la pedofilia è brutta ma c’è di peggio. Attenzione che sta per arrivare il carico: “comportamenti omosessuali che, di questi abusi, sono spesso causa. Per Bergoglio e il suo entourage, la sodomia non è un peccato che grida vendetta al cospeddo di Dio, come insegna il Catechismo”.
Si potrebbe discutere all’infinito su quali siano le cause della pedofilia clericale. E’ però fin troppo facile obiettare che, in un clero composto in gran parte da persone omosessuali (mica tutti praticanti, per carità), ci sia da attendersi che lo sia anche una quota analoga dei pedofili. Sarebbe curioso il contrario.
Verrebbe da pensare che gli omosessuali siano più virtuosi degli altri. Ma qui, Viganò sembra voler calcare la mano apposta per rendersi odioso, per farci sapere che i gay gli fanno schifo.
E ne approfitta anche per renderci noto che disconosce anche il Nuovo Catechismo. Tira in ballo il “peccato che grida vendetta al cospetto di Dio”, concetto del tutto assente nell’edizione del 1997. Per ritrovare quell’espressione, bisogna rifarsi al Catechismo di S. Pio X, ultimo approvato prima del Concilio Vaticano II, precisamente nel 1905. Ma va da sé: se sua eccellenza non riconosce il Concilio, è automatico che non riconosca nulla di ciò che ne rappresenta l’attuazione. L’unica cosa post-conciliare che gli garba è la propria nomina arcivescovile.
Ma nemmeno le parole del 2020 erano le prime sui nostri argomenti. Già l’anno prima, in occasione della riduzione allo stato laicale del card. McCarrick – condannato non per pedofilia ma per altri tipi di abuso sessuale – l’oggi scomunicato tuonò così:
“perché la parola omosessualità non compare mai nei recenti documenti della Santa Sede? Questo non significa affatto che la maggior parte di coloro che hanno un’inclinazione omosessuali siano abusatori” Grazie eccellenza, com’è buono lei! “Ma resta il fatto che la stragrande maggioranza degli abusi è commessa da chierici omosessuali nei confronti di ragazzi in età post-puberale. Perché il Papa mantiene e chiama addirittura come suoi stretti collaboratori persone che sono notoriamente omosessuali?”
Già: perché? Forse perché, come abbiamo sempre sostenuto, l’orientamento sessuale non c’entra un bel niente con la capacità pastorali di un sacerdote? Questo, per Viganò, è fuori discussione. Per lui, omosessualità è uguale a depravazione, sempre. E, siccome gli fa comodo dimostrare che papa Francesco si contorna di depravati, scende in campo così.
Forse, la prima volta che l’alto prelato esplicitò per scritto tutta la sua omofobia, fu nell’agosto 2018, in occasione del famoso j’accuse lanciato contro tutto l’establishment vaticano. Già allora parlò di abusi di carattere omosessuale consumati entro le mura leonine, di “reti omosessuali” interne alla Chiesa e della necessità di “sradicarle”. In proposito, rimandiamo a un bellissimo video di commento, del nostro amico Francesco Lepore, pubblicato da gaynews il 30 agosto 2024.
Dei commenti di Lepore, mi permetto di sottolineare alcuni contenuti su cui sono particolarmente d’accordo: “Quando si parla di abusi sessuali, l’equiparazione va direttamente con la pedofilia, benché la pedofilia sia ben distinta da quegli abusi che possono essere commessi su maggiorenni quando si è in un rapporto di autorità rispetto alle vittime. Ora, questi ultimi casi si possono verificare, nel senso che ci sono soggetti maggiorenni sui quali qualche alto prelato può operare una coercizione di tipo psicologico. Ma essa va comunque sempre provata”. In altre parole: “Bisognerebbe capire i fini per cui un seminarista maggiorenne o un presbitero vadano a letto con un cardinale”.
“Al solito” prosegue Lepore, “è in atto un tentativo di attaccare le persone LGBT+ accusandole di voler omosessualizzare la Chiesa. Bene: non c’è nessun rischio del genere, né esiste il rischio di sovvertirne addiritutra la dottrina. C’è soltanto una volontà di avviare un dialogo, di avere una posizione di rispetto verso le persone omosessuali, che non sono, contrariamente a quello che vuol dipingere Viganò, dei predatori seriali. Come non lo sono neanche i tanti sacerdoti cattolici omosessuali”.
Potremmo andare avanti ma, in fondo, la condanna a Viganò dimostra una cosa sola: che l’ossessione per la dottrina porta spesso molto lontano dalla dottrina. Nasce come ossessione per le regole e quindi diventa facilmente ossessione contro il sesso e particolarmente contro l’omosessualità, e infine si rivela come ossessione contro tutti. E l’ossessione contro tutti è il contrario della comunione con tutti, indispensabile per sentirsi parte del popolo di Dio. E quando manca la comunione, anzi, la si nega perchè tutti diventano nemici, beh… si finisce nella non-comunione, cioè nella scomunica.
L’unica cosa positiva di questa vicenda sta nell’atteggiamento misericordioso dimostrato dal Dicastero per la Dottrina della Fede. Esso infatti, nello scomunicare Viganò e nel vietargli di svolgere le funzioni tipiche di un sacerdote, non lo ha ridotto allo stato laicale. Anzi, ha specificato: “Il senso della scomunica è comunque quello di essere una pena medicinale che invita al ravvedimento, quindi si resta sempre in attesa di un ritorno della persona alla comunione”.
Quando, nel 1976, fu un prete “progressista”, l’abate Franzoni, a subire un processo da parte di una Congregazione di stampo “conservatore”, la pietà guardava da un’altra parte. E Franzoni, anche se non scomunicato, fu dimesso dallo stato clericale e dovette cercarsi una casa e un lavoro. Con Viganò si è stati più teneri.