Api o mosche alle Olimpiadi?
Riflessioni di Paolo Spina de La tenda di Gionata
Con buona pace delle inquietudini e delle sofferenze di molti pii e devoti cristiani, sembra ormai chiaro che durante la cerimonia di apertura delle olimpiadi di Parigi non ci sia stata nessuna parodia sacrilega dell’ultima cena, bensì un quadro che allude al banchetto degli dei (ndr ecco la foto finale dell’esibizione in questione): quest’ultima non mi sembra una forzatura per salvare il salvabile, ma un’idea ragionevole proprio perché sia la mitologia greca ambienta festini tra le divinità in molteplici occasioni, sia il terzo giorno delle antiche olimpiadi prevedeva sacrifici e banchetti (entrambi ripresi dagli artisti di ogni epoca).
Da cattolico mi sorprende sia la reazione scomposta di molti, sia l’affrettato comunicato dei vescovi francesi, ai quali accosto una metafora che mi è cara: si tratta sempre di scegliere se essere api o mosche.
Un’ape, pure in un letamaio, cercherà sempre di trovare un fiore su cui posarsi, per arricchire e generare vita; parimenti, una mosca, in un grande prato fiorito, saprà sempre trovare un escremento, seppur minuscolo, sul quale posarsi e del quale impiastricciarsi.
Non mi addolora la parodia (inesistente: quindi niente di cui preoccuparsi inutilmente); mi addolora, e pure grandemente, che chi crede nel Dio amante e vitale rivelati da Gesù sappia spesso soltanto vedere il marcio, ovunque, gridando e imprecando: “O tempora, o mores!”
Per un cristiano, ciò che accadde quella sera tra Gesù e i discepoli significa il senso del nostro credere e del nostro vivere, tanto che a Messa si riprendono le parole del Maestro: “Fate questo in memoria di me”. E il comando – il mandatum – intero non si limita alla frazione del pane e alla condivisione del calice, ma al dono di sé, incondizionato e per ciascuno, reso visibile dalla lavanda dei piedi: il gesto di chi si fa piccolo, ultimo e servo di tutti.
Poco prima, alla donna che lo aveva unto e profumato, Gesù, suscitando lo scandalo da parte dei presenti, disse: “In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei”.
Non sono felice di questo polverone che mette solo zizzania, crea divisione ed erge alcuni a giudici di altri; sono lieto, invece, che a me abbia posto la domanda: E tu, Paolo, come fai memoria di Gesù nella tua vita? Come ricordi – letteralmente “porti e riporti al tuo cuore” – Dio ai tuoi giorni, come lo richiami presente per te e per gli altri?
Vorrei che il mio essere discepolo di Gesù si riconoscesse dall’amore con il quale cerco di profumare e illuminare la mia vita e quella di chi più ha bisogno; non certo dall’essere censore di vizi e virtù.
Tra le promesse che rendono il battesimo presente ogni giorno, potrebbe esserci quella di provare a essere ape, non mosca.