Che hanno in comune l’eucarestia, lo Spirito Santo e i cattolici LGBT+?
Articolo* del gesuita Mark Bosco** pubblicato sul sito cattolico Outreach (USA) il 7 agosto 2024, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Vorrei proporvi alcune riflessioni che derivano dal mio ministero di sacerdote, teologo e professore di letteratura in questi anni. Ho spesso riflettuto sul paradosso del cammino spirituale dei cattolici LGBT+: queste persone crescono nella fede, in cui hanno sperimentato l’amore e i doni meravigliosi di Dio attraverso la preghiera e i sacramenti, e tuttavia devono sempre, con difficoltà, cercare un senso nelle stratificazioni di una tradizione dottrinaria che nel migliore dei casi li emargina e nel peggiore li condanna.
Sono cresciuti sentendosi dire – se non dai cattolici, certamente dai cristiani fondamentalisti – che sono anormali, che la Bibbia li condanna, che le relazioni omosessuali non riflettono la volontà generativa di Dio, che sono peccatori.
Se oggi le persone gay e lesbiche sono ancora con noi nella Chiesa e partecipano con noi alle celebrazioni, probabilmente sono passate attraverso un processo di maturazione più veloce rispetto alla maggior parte degli altri cattolici, perché si sono sentiti rifiutati fin da piccoli e hanno quindi dovuto intraprendere da subito un itinerario intellettuale e spirituale per capire come inserirsi nel gregge della Chiesa cattolica. Hanno dovuto confrontarsi con l’interpretazione tradizionale della Bibbia e con le affermazioni dei cristiani conservatori che si concentrano solo su sei tra i 31.102 versetti delle Scritture che sembrano parlare di loro. Sei versetti su oltre 31.000!
Hanno dovuto capire che, in ogni caso, quei versetti sono generalmente estrapolati dal contesto, e sono espressioni che molto probabilmente si riferiscono a usanze mediorientali antiche, usanze che utilizzavano la violenza sessuale sugli uomini come mezzo per umiliare un nemico conquistato o come strategia dimostrativa per annientare l’onore maschile, come una punizione.
I cattolici LGBT+ hanno dovuto faticare per comprendere gli ammonimenti di san Paolo sulla perversione sessuale nel Nuovo Testamento, per poi scoprire con sorpresa che forse questa esortazione si riferisce alla “pederastia”, un certo tipo di sfruttamento sessuale di uomini giovani da parte di uomini più anziani che san Paolo vedeva presente nella cultura greca e romana.
In sintesi, le persone cattoliche gay e lesbiche hanno sempre dovuto confrontarsi con questi testi della Scrittura e con la dottrina della Chiesa, alla luce delle loro esperienze di vita, cioè di persone attratte dalla bellezza e dal senso della presenza della grazia divina nella vita sacramentale della Chiesa, eppure spinte fuori dall’ovile, ai margini della Chiesa, e a volte trattate anche peggio.
Per la comunità LGBT+ dover vivere in questo paradosso – far parte del Corpo di Cristo grazie al battesimo, sperimentare la grazia di Dio, ma sentirsi dire che non si è abbastanza in regola, percepire di non essere apprezzati per niente – questo paradosso, secondo me, è una forma di sofferenza spirituale. Ma come seguaci di Gesù, sappiamo tutti che la sofferenza fa parte del cammino spirituale verso l’amore, del cammino spirituale verso la pienezza e la redenzione di Dio.
La sofferenza non è ricercata per sé stessa, certo, ma spesso ci viene imposta, come è stata imposta a Cristo. E se la nostra sofferenza è simile a quella di Cristo, sarà santa. Sarà occasione di redenzione. Vivere in questo paradosso, tuttavia, non significa vivere una contraddizione. Contraddizione significa: l’uno o l’altro. È un’esperienza di aut aut, un processo in cui ha ragione l’uno, o l’altro, un gioco a somma zero. Il paradosso, invece, è un’esperienza di et et, in cui vanno bene entrambe le condizioni, significa vivere in maniera creativa “all’interno” dei contrasti della propria vita, alla presenza di Dio.
Gesù ha certamente sperimentato in prima persona il senso di questo paradosso, essendo l’unica persona che è allo stesso tempo pienamente umana e pienamente divina, essendo il Cristo, che allo stesso tempo è il massimo della fragilità, appeso alla croce, e il massimo della potenza, perché glorificato dal Padre nella risurrezione.
Il punto è questo: il paradosso è il senso profondo della nostra vita. Dobbiamo accettare i paradossi della nostra esistenza, delle nostre identità, e metterli insieme nella relazione santa e generativa con gli altri e con Dio. Siamo un mistero che deve essere vissuto e non compreso razionalmente: non proclamiamo forse questo paradosso a ogni Eucaristia, perdendoci in questo sacrificio d’amore per ritrovarci abbracciati in quello stesso amore?
Templi dello Spirito Santo
Questo senso del paradosso e del mistero che è al centro della nostra umanità mi è stato reso più vivo e presente, quando ero più giovane, non tanto dagli studi di teologia in sé, ma grazie alla scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor.
Se avrete un po’ di pazienza, vorrei spendere qualche parola su uno dei suoi racconti, intitolato Un tempio dello Spirito Santo, che ha al centro dell’azione un personaggio intersessuale chiamato «l’Ermafrodita», un termine comunemente usato nel ventesimo secolo ma oggi superato. Scommetto che la maggior parte di voi ha letto almeno un racconto della O’Connor, se non in una lezione di letteratura all’università, sicuramente in una lezione di inglese alle superiori.
Spesso le sue storie sono piene di momenti di grazia, provocati da una violenza che colpisce un personaggio e anche il lettore. La O’Connor aveva la straordinaria capacità di mettere insieme una visione cattolica della realtà – basata sul suo amore per san Tommaso d’Aquino e per la dottrina della Chiesa – con la consapevolezza tipica dei pensatori modernisti e dei teologi alle prese con il senso di essere umani in un mondo postmoderno. La sua arte è «controcorrente, originale, essenziale, strana», per riprendere una frase della poesia Pied Beauty di Gerard Manley Hopkins.
Era in grado di comunicare in maniera illuminante le dottrine della fede e della cultura cattolica, presentandole però in un modo innovativo, in sintonia con le esperienze spirituali e culturali della società contemporanea. Ha messo la sua arte e le sue capacità al servizio di una fede cristiana autentica, spesso in contrasto sia con una cultura americana compiacente e piena di compromessi, sia con gli atteggiamenti trionfali e centrati solo su sé stessa della cultura cattolica della metà del Novecento.
Nel racconto Un tempio dello Spirito Santo, la O’Connor esprime il senso profondo dell’incontro umano-divino con l’immagine dei corpi: corpi sessuali, corpi martirizzati, corpi sacramentali. O’Connor fa convergere le diverse vicende del racconto verso un momento di rivelazione in cui il Corpo di Cristo – l’ostia consacrata dell’adorazione eucaristica – diventa la realtà trascendente che, in maniera paradossale, accomuna il corpo profano di una persona ermafrodita e i corpi di alcune giovani ragazze come dimora di Dio.
La protagonista dodicenne, che rimane senza nome, ingenua in materia di sessualità, deve aiutare la madre a ospitare per il fine settimana le due cugine quattordicenni della Mount St. Scholastica Convent School. Le ragazze più grandi si fanno chiamare “Tempio Uno” e “Tempio Due”, prendendo in giro la loro insegnante, suor Perpetua, che aveva detto loro cosa dire in caso di avances poco educate da parte di qualche ragazzo: «Smettila, io sono un tempio dello Spirito Santo».
Fin dall’inizio il racconto si presenta come una commedia trasgressiva che gioca sul contrasto tra l’antropologia teologica della persona umana – fatta a immagine e somiglianza di Dio – e allo stesso tempo sul risveglio sessuale delle ragazze adolescenti. Il lettore ride per la descrizione della bambina arguta che si prende gioco delle cugine più grandi e cerca di mettere insieme tutte le disparate informazioni che ha accumulato quel giorno.
Mentre immagina le cugine alla fiera del paese, le vengono in mente i corpi grotteschi della pubblicità del tendone del circo, quello che all’epoca veniva chiamato il freak show della fiera. Pensando che i “fenomeni da baraccone” rappresentati sul manifesto del circo somigliano ai corpi sofferenti dei martiri della Chiesa primitiva, la ragazza riflette sul suo futuro. Passa dal desiderio di essere un medico, a quello di essere un ingegnere, a quello di essere una santa, fino ad arrivare a una comica fantasticheria sul martirio come unica opzione per il suo carattere orgoglioso e irascibile. Il racconto gioca su questo concetto di vocazione, sulle conseguenze dell’essere chiamati “tempio dello Spirito Santo”.
Quando le sue cugine tornano a casa dalla fiera e riferiscono alla ragazzina di aver visto una persona ermafrodita che ha detto loro di non ridere, la dodicenne si chiede come l’Ermafrodita possa essere sia un uomo che una donna. Mentre pensa e ripensa e non riesce a capire come ciò possa essere possibile, la ragazzina si addormenta, e nel sogno mette insieme il tendone del circo alla fiera con quello di un movimento di rinascita protestante, e il “fenomeno da baraccone” di cui ha appena sentito parlare diventa “un tempio dello Spirito Santo” che predica un sermone sulla santità del corpo e sulla rovina che deriva dal profanarlo.
La storia giunge al culmine nella scena finale della benedizione nella scuola del convento. La ragazza interrompe di colpo le preghiere recitate meccanicamente, si rende conto di essere “alla presenza di Dio” e qualcosa di inimmaginabile scatta nei suoi pensieri quando vede il sacerdote alzare l’ostensorio con l’Ostia che brilla di colore avorio come il sole.
Vedendo l’ostensorio sollevato, pensa subito all’Ermafrodita della fiera e al sogno della notte precedente, in cui la persona intersessuale predicava: «Alzati. Sei un tempio dello Spirito Santo. Dio mi ha fatto così e non lo metto in dubbio. È così che ha voluto che fossi».
L’Eucaristia diventa il luogo misterioso in cui si tengono insieme due realtà completamente diverse, un paradosso meravigliosamente trasgressivo e allo stesso tempo assolutamente autentico. E qual è questo paradosso?
La stranezza dell’Incarnazione della doppia natura di Cristo – divina e umana – si ritrova nella stranezza delle dualità della biologia intersessuale. O’Connor affianca la sofferenza delle umiliazioni dell’Ermafrodita con la sofferenza sulla croce di Cristo incarnato, che si rende presente nel pane sacramentale come corpo spezzato di Cristo nell’Eucaristia.
È, a mio avviso, l’analogia più audace di O’Connor, che rivela in modo sorprendente qualcosa sulla natura di Dio e della vita umana di cui il lettore non ha mai avuto coscienza. In effetti, il racconto suggerisce che dobbiamo trovare Dio incarnato in ciò che è contrario alla norma, strano, originale, scartato, incarnato in coloro che sono emarginati o allontanati dalla società.
I cattolici LGBT+ e il “sentimento profondo della compassione”.
Il che mi porta a una considerazione finale, sulla Chiesa. Tutti i cattolici LGBT+ che ho incontrato o per i quali ho esercitato un ministero di servizio, vivono con un certo senso di umiliazione nella Chiesa, consapevoli che il bisogno della grazia di Dio deve guidare le loro vite, anche se la Chiesa non ha interesse o non ha gli strumenti per promuoverle e farle fiorire in questo momento.
In effetti, penso che i cattolici LGTB+ debbano avere a che fare con una serie di persone clericali e bigotte che sostengono, con un bel po’ di moralismo, che la dottrina della Chiesa è più importante della vita vissuta di persone che vivono nella fede e nell’amore.
Ma il paradosso? I cattolici queer si sentiranno certamente fuori posto nella Chiesa per la loro diversità, ma allo stesso tempo intuiranno che questa diversità potrebbe portarli a sviluppare un sentimento più profondo di compassione, di sacrificio e di amore che porge l’altra guancia. Sentiranno paradossalmente gli occhi dei fedeli su di loro e, allo stesso tempo, l’amore di Dio che libera e la Buona Novella di Gesù, il suo amato Figlio.
Spero quindi che durante l’incontro Outreach 2024 tutti noi possiamo entrare in questo santo paradosso, in questo santo mistero. Prendiamo consapevolezza del santo paradosso che rappresenta il percorso di ognuno di noi verso Dio, e in particolare il percorso santo e talvolta doloroso delle nostre sorelle e dei nostri fratelli cattolici LGTB+. Dio vi ascolta e vi guarda, perché adoriamo un Dio che tiene insieme tutti questi paradossi nel suo amore.
*Il seguente articolo è il testo del discorso inaugurale tenuto da Mark Bosco sj presso la Cappella Dahlgren della Georgetown University durante l’incontro per la pastorale cattolica LGBTQ organizzato da Outreach il 2 agosto 2024. È stato modificato per motivi di stile, chiarezza e lunghezza.
**Mark Bosco sj è vicepresidente per la missione e le attività pastorali presso la Georgetown University. Ha conseguito un dottorato in studi interdisciplinari di teologia e letteratura presso la Graduate Theological Union di Berkeley, in California.
Testo originale: Flannery O’Connor, the Holy Ghost and LGBTQ Catholics