L’inizio della mia pastorale. Il cammino di suor Derouen con le persone trans
Reportage di David Van Biema* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 19 agosto 2024 e liberamente tradotto da Luigi, Valeria e Ilaria de La Tenda di Gionata, quarta parte
Sharp consigliò a suor Derouen delle letture, la presentò a vari gruppi di sostegno e la introdusse in una chat room di sole persone transgender (a quel tempo esistevano già le chat room). Le assicurò che c’erano tantissime persone transgender cattoliche che avrebbero accolto con favore un supporto spirituale—anche se per un po’ non ci furono richieste.
Derouen iniziò a tenere le “serate di consapevolezza transgender” insieme a Sharp e ad alcuni amici transgender, sperando di offrire una formazione a «tutti quelli dal cuore aperto», come ricorda Derouen, ma soprattutto ai sacerdoti. Una sera, all’evento parteciparono nove suore molto sensibili alla problematica, un unico sacerdote e un uomo alto che Derouen non conosceva. Il gruppo stava per fare una pausa per un rinfresco quando l’uomo chiese di parlare.
Disse: «Mi chiamo Don e anche io sono transessuale».
Dawn Wright, il secondo di tre fratelli, era di Mobile, Alabama. Il primo giorno della prima elementare, quando i bambini furono invitati a mettersi in fila per genere, Don andò nella fila delle bambine. La maestra gli disse di mettersi con i maschietti. Lui si rifiutò. L’insegnante lo mandò dal sacerdote, che lo sculacciò con la paletta di legno «per aiutarti a capire il dolore di disobbedire alla volontà di Dio».
Da quel momento in poi, Don recitò il rosario ogni notte chiedendo alla Vergine Maria di donargli la gioia di essere un ragazzo. Come molti ragazzi con disforia di genere decisi a conformarsi alle aspettative sociali, si concentrò su attività tradizionalmente maschili: Wright primeggiò negli sport, sposò la caposquadra delle cheerleader, si laureò all’Accademia Aeronautica e condusse missioni in Vietnam come ufficiale di rotta sugli F-4 Phantom II. Ebbe successo negli affari e andò a stabilirsi con la sua famiglia—lui e sua moglie avevano una figlia a quel tempo—in un complesso residenziale.
Tuttavia, il profondo disagio di Wright non fece altro che peggiorare e, dopo trent’anni di matrimonio, fece coming out con sua moglie. Il matrimonio saltò in aria. Wright lasciò la casa alla moglie, perse il lavoro e l’assicurazione. Tentò più volte il suicidio e, non molto tempo prima di incontrare Derouen, viveva nel reparto psichiatrico di un ospedale per veterani.
Derouen calcola che da allora loro due abbiano trascorso centinaia di ore insieme. L’esperienza di Wright è stata resa più drammatica da problematiche personali non correlate all’identità di genere. Tuttavia, gli elementi esenziali della sua storia rappresentano molto bene la vita delle persone transgender e, in particolare, delle persone transgender cattoliche vissute nella seconda metà del XX secolo: confusione durante l’infanzia, seguita da disforia progressiva, ansia e depressione. Quindi punizioni, minacce o la semplice incomprensione da parte delle figure di riferimento, che si esprimevano spesso con il linguaggio del peccato per definire la sua condizione.
La pressione usurante per reprimere la propria identità viene compensata dalla paura di perdere la famiglia, il coniuge o i figli dopo un’eventuale rivelazione. Grazie a Wright, Derouen cominciò a capire la netta differenza tra le difficoltà delle persone transgender rispetto anche a quelle delle persone omosessuali. «Non si trattava di chi amavi, delle tue relazioni. Si trattava di chi eri, della tua interiorità più profonda. E questo influenzava tutto. Tutto».
Le conseguenze erano quindi esistenziali. Il tasso di tentati suicidi tra le persone transgender era molto elevato. (E lo è ancora. Nel 2023, The Trevor Project, un’organizzazione non profit per la prevenzione del suicidio tra i giovani LGBTQ+, ha scoperto che il 48% delle donne transgender e più della metà degli uomini transgender intervistati avevano pensato al suicidio nell’ultimo anno. Tra i partecipanti al sondaggio, quasi un quarto degli uomini transgender ha dichiarato di aver tentato di togliersi la vita nell’anno precedente). «Una cosa è leggere quello che le persone scrivono in una chat room», dice Derouen. «Una cosa diversa è avere qualcuno davanti a te, con tutto il suo essere in tumulto, che lotta per vivere».
Derouen giunse a un’altra amara conclusione. Nella sua mente, il cattolicesimo, anziché essere un conforto e un sostegno, era un giudice prepotente e spietato. All’epoca, la dottrina della Chiesa non offriva alcuna indicazione sulle questioni relative all’identità di genere, ma molti preti la trattavano come una sottospecie di omosessualità o una bizzarra violazione della legge naturale. Erano proprio le persone transgender cattoliche più devote, quelle che, come dice Derouen, «non potevano non essere né l’una né l’altra», a sopportare il fardello più pesante di essere considerate nel peccato a prescindere, del senso di colpa e dell’isolamento. Wright fece una battuta amara, dicendo di essere rimasta intrappolata in un paradosso del comma 22 (N.d.T. si riferisce al “paradosso del Comma 22” dal romanzo Catch 22 di Joseph Heller su un aviatore in missione di guerra come Wright. Il paradosso riguarda l’apparente possibilità di scelta in una regola dove in realtà non è possibile alcuna scelta) di stampo cattolico. Se avesse fatto la transizione, avrebbe commesso un peccato mortale e sarebbe andata all’inferno. Se non avesse fatto la transizione, si sarebbe suicidata, e anche quello era un peccato mortale.
Come molti, lasciò la Chiesa, solo per tornarci nei momenti di maggiore angoscia. Decenni dopo il suo incontro alle elementari con il preside, cercò di spiegare a un altro prete che «aveva bisogno di sentire che Dio avrebbe capito che dovevo vivere come una donna, se volevo vivere». La sua laconica risposta fu che sarebbe sempre stata un uomo agli occhi di Dio e «che avrei dovuto solo guardarmi tra le gambe per capirlo». Avrebbe dovuto sforzarsi di essere una persona cattolica migliore. Derouen definisce l’effetto cumulativo di questi incontri «stupro spirituale».
A quel tempo, profondamente turbata ma priva di un linguaggio adatto a descrivere ciò che provava, Derouen cantò a Wright How Could Anyone?, l’inno di autoaffermazione di Libby Roderick: «Come ha potuto qualcuno dirti / Che non eri tutta bella? / Come ha potuto qualcuno dirti / Che non eri tutta te stessa?». Disse a Wright di ascoltare le parole come se Dio le stesse dicendo a lei (Wright alla fine ha ripreso a studiare, ha vinto un dottorato e insegna all’università).
La suora di mezza età diventò una presenza fissa nella comunità transgender di New Orleans. La consapevolezza nazionale sulle persone transgender, o almeno sul ritmo con cui venivano assassinate, stava aumentando. Nel 2000, Hilary Swank vinse un Oscar per aver interpretato Brandon Teena, un uomo transgender violentato e ucciso in Nebraska, e l’anno precedente, gli attivisti istituirono il Transgender Day of Remembrance (che ormai si celebra ogni anno) in memoria di Rita Hester, una donna transgender nera assassinata. Le veglie, che si svolgono il 20 novembre, si sono diffuse in tutto il mondo e sono caratterizzate dalla lettura dell’elenco delle vittime («Mi chiamo Eda Yildirim e vengo da Bursa, Turchia. Il 22 marzo la mia testa e i miei genitali sono stati tagliati e gettati in un cassonetto»).
Sharp e Derouen dettero inizio alla versione di New Orleans del giorno della memoria, che ha avuto origine in un centro della comunità LGBTQ+ e ha incluso una dimensione di fede, poiché comprendeva una processione fino alla statua di Giovanna d’Arco, la santa martire di Francia che spesso indossava abiti maschili, nel quartiere francese.
Un numero crescente di persone transgender cattoliche e anche qualcuna di altre fedi si rivolsero a Derouen. Nel giro di un anno avrebbe seguito una dozzina circa di persone con incontri individuali. Offriva ritiri, più lunghi, nella piccola casa che condivideva con un’altra suora. Presentava i partecipanti alla comunità parrocchiale di San Paolo Apostolo, la chiesa nera che frequentava sulla Chef Menteur Highway. Se lo desideravano, potevano partecipare alla messa quotidiana con Derouen, unirsi a lei per le prove del coro gospel e partecipare alle stazioni della Via Crucis del venerdì, e sentirsi al sicuro.
L’accoglienza è stata generalmente calorosa e gioiosa. All’inizio il parroco, appena arrivato dal Ghana, era rimasto perplesso. Ma è diventato un suo fan, abbracciando ogni partecipante e accettando in regalo gli abiti maschili di Dawn ormai superflui. L’unico momento difficile si è verificato quando un’altra delle ospiti di Derouen si è fatta coraggio e si è presentata orgogliosa alla messa domenicale piena di fedeli come «Shirley Boughton, una donna transgender irlandese credente». È stato un gesto esplicito inaspettato. Un membro della congregazione si è lamentato e il sacerdote ha subito convocato il consiglio parrocchiale per chiarire che St. Paul doveva rimanere una comunità accogliente.
Il rapporto di Derouen con la gerarchia diocesana è stato più complesso. Nel 2003, i vescovi americani non avevano affrontato direttamente le questioni transgender. Ma erano ben consapevoli che la Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede (C.D.F.) del Vaticano, guidata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, aveva definito l’omosessualità un «disordine oggettivo» ed etichettato gli atti omosessuali come un «male morale intrinseco». La superiora di Derouen, preoccupata che il loro arcivescovo potesse venire a conoscenza della sua pastorale da altre fonti, inserì un rapido cenno, nascosto nel mezzo del suo rapporto annuale: «E suor Luisa svolge una pastorale di guida spirituale per le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender».
L’arcivescovo aspettò educatamente la fine del discorso della superiora e poi disse: «Ora, torniamo al ministero di Suor Luisa». Era preoccupato che potesse non essere in linea con l’insegnamento della Chiesa sulle persone omosessuali. Le annotazioni fatte successivamente da Derouen riportano che un membro del suo staff disse, visibilmente contrariato: «Continui a parlare di amore, amore, amore! Sai, ciò che le persone capiscono e ciò che dici a volte non sono la stessa cosa. Potrebbero fraintenderti e pensare che quello che stanno facendo sia perfettamente giusto». In effetti, non solo Derouen sentiva che Dio amava le persone omosessuali così come erano, ma prevedeva che le sue opinioni sulle persone transgender avrebbero potuto essere messe molto più in discussione.
Alla fine, l’arcivescovo fece una proposta. Secondo Trosclair, che era presente all’incontro (Derouen dice di non ricordare le parole esatte dell’arcivescovo), disse che avrebbe approvato il ministero se Derouen avesse promesso che «al momento giusto, insegnerai loro la dottrina della Chiesa cattolica» sull’omosessualità (Trosclair ricorda di aver pensato: «Dai, Luisa, puoi farcela»). Alla fine Derouen rispose: «Lo farò». Trosclair dice: «Perché sapeva che il momento giusto non sarebbe mai arrivato».
Un novembre, Derouen, Sharp e un amico transgender fecero un viaggio in macchina di sei ore per partecipare alla conferenza della Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association, l’incontro biennale di professionisti sanitari e persone transgender tenutosi quell’anno a Galveston. Il gran numero di sessioni per medici, psicologi, avvocati e assistenti sociali indicava l’entità della crescita delle conoscenze sul tema dell’identità di genere. Derouen si presentò. «Sono una suora cattolica. Sono qui perché ho molto da imparare, per essere un ministro responsabile per il popolo di Dio rappresentato dalle persone transgender incomprese e rifiutate. È un grande privilegio per me accompagnarle nel loro percorso di vita. Voglio scusarmi con coloro tra voi che sono stati feriti dalla Chiesa cattolica. Non ho alcuna intenzione di ferirvi. Voglio essere un riflesso per voi della vostra bellezza e bontà».
Questo è stato la prima, ma non l’ultima, reazione a scoppio ritardato provocata da Derouen. Una psicologa di Philadelphia di nome Maureen Osborne ricorda: «Era il decimo anno che partecipavo a questo convegno. La giornata era stata lunga e intensa, e io stavo quasi sognando a occhi aperti. Ho sentito una voce femminile dire che voleva scusarsi con le persone transgender per il danno arrecato loro dalla fede cattolica. Ho girato la testa. C’era questa donnina al microfono, e mi sono detta: ‘Voglio conoscerla’».
Osborne aveva pazienti transgender con problemi di fede che a volte aveva difficoltà a trattare. Lei, Derouen e un sessuologa di nome Michele Angelo sono diventate amiche, e le altre due hanno iniziato a inviarle i loro clienti. «Quello», dice Derouen, «è stato l’inizio della mia pastorale a livello nazionale».
*David Van Biema è stato il capo redattore della sezione religione per la rivista Time, dove ha lavorato dal 1993 al 2008. I suoi scritti sono apparsi su The Atlantic, America, Religion News Service e altri.
Testo originario: No Body Now But Yours