Quanto vuoto affannarsi, perché «senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5)
Riflessioni Luigi Testa*
Mi impressiona sempre molto che la prima lettera pastorale del Cardinal Martini, pochi mesi dopo il suo ingresso come Arcivescovo a Milano, nel 1980, sia stata dedicata alla dimensione contemplativa della vita.
Mi impressiona – senza tuttavia stupirmi – per due ragioni. La prima riguarda l’autore: una delle figure più influenti associate a quello che di solito è visto come un cattolicesimo progressista, assolutamente lontano da certi retaggi di ancien régime, moderno. Da cui forse ti saresti aspettato una prima parola diversa.
La seconda riguarda il destinatario. La Milano degli anni ’80 era tutta presa da un lato dai suoi processi di produzione della ricchezza e dall’altro dall’emergenza sociale che cresceva, attraversata peraltro dalle ferite del terrorismo politico. Una Milano in cui c’era tanto da fare – e tanto di buono.
Eppure, la prima parola di Martini – ad indirizzare poi tutto il suo programma pastorale – è volta a mettere al centro la dimensione contemplativa dell’esistenza, e, più specificamente, quella che egli chiama la «preghiera eucaristica silenziosa».
È un testo a cui vale la pena tornare come si torna a ciò che è fondamentale, per ri-orientare la nostra vita personale ed anche la vita delle realtà di gruppi LGBT+ in cui siamo inseriti e a cui contribuiamo. Forse, infatti, anche in questa doppia dimensione – personale e di gruppo – è possibile rintracciare «un indirizzo prevalentemente prassistico, tutto teso al “fare”, al “produrre”, ma che genera, per contraccolpo, un bisogno indistinto di silenzio, di ascolto di respiro contemplativo» (I.2).
Si tratta, in fondo, di tornare all’esempio e all’insegnamento del Maestro. All’esempio, guardando alle sue lunghe notti trascorse in preghiera, soprattutto nell’imminenza di decisioni fondamentali, come la chiamata e l’invio dei Dodici (Lc 6,12-13). E all’insegnamento, lasciando che ci risuoni ancora il suo invito, variamente declinato, a fermarci – a “sederci” – prima di lanciarci in attività anche in sé buone (Lc 14,28 ss.).
Spesso, forse, nella nostra vita personale così come nel cammino dei nostri gruppi, potremmo sentirci muovere quel vecchio rimprovero del Signore: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose…» (Lc 10,41). E invece «una sola cosa è necessaria» (Lc 10, 42), il che non implica che l’attività di Marta sia sbagliata, ma segnala una precedenza assiologica: quello che fa Marta è pure necessario, ma, tra le due cose, una sola è in definitiva necessaria – una sola serve in assoluto.
Questo, naturalmente, non significa negare che saremo giudicati sull’amore. Il «L’avete fatto a me» e il «Non l’avete fatto a me» (Mt 25,31 ss.) resta; il punto è un altro. È che la carità è appunto un traboccare della vita interiore. Senza vita interiore – senza «preghiera eucaristica silenziosa» – non c’è «L’avete fatto a me».
E questo, naturalmente, vale per ogni forma di carità. Anche per quella forma specifica di carità politica cui ci sentiamo tutti chiamati e in cui siamo tutti a vario titolo coinvolti, che è l’attivismo LGBT+, che pure – come l’impegno politico in generale – è uno specifico dovere per il cristiano, nelle forme e nei modi che gli sono possibili. Non c’è efficace impegno su questo fronte se manca una vita interiore. E, tra le due, «una sola cosa è necessaria».
Se la nostra esperienza di vita personale o se il nostro cammino di gruppo, e dunque il nostro attivismo, somiglia troppo spesso a quelle reti vuote di pesci che i discepoli tirano in barca, è perché non abbiamo creduto sul serio alla parola di Gesù: «senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).
Non dice: potete fare poche cose; potete avere risultati scarsi; rischiate di non combinare granché. No. È molto più assertivo: «Senza di me non potete fare nulla». Ogni nostro tentativo di carità, in qualsiasi forma, è destinato a sicuro fallimento senza di Lui, e dunque senza uno spazio riservato al dialogo cuore a cuore con Lui, non solo individualmente, ma – nell’esperienza di un gruppo cristiano – anche corporativamente.
Scriveva Martini: «Occorre rendersi conto dal di dentro che la preghiera silenziosa e contemplativa è indissociabile dall’esistenza cristiana autentica» (IV.1). Ciascuno di noi personalmente, e ciascuno di noi come parte di un gruppo cristiano LGBT+, si chieda quanto siamo consapevoli di questa indissociabilità.
*Luigi Testa è autore di testi a carattere giuridico e scrive su alcuni quotidiani nazionali. “Via crucis di un ragazzo gay” (Castelvecchi, 2024) è il suo primo libro di natura spirituale, altre sue riflessioni sono pubblicate anche su Gionata.org