Una cattolica intersessuale racconta a Papa Francesco la sua storia di fede, violenza e misericordia
Articolo di Nicole Santamaria pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 14 ottobre 2024, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Pochi giorni fa papa Francesco ha ricevuto suor Jeannine Gramick, tra i fondatori di New Ways Ministry, assieme a un gruppo di cattolici transgender, intersessuali e alleati, per un incontro di quasi un’ora e mezza nella sua residenza privata, durante il quale gli invitati hanno offerto al Papa le loro testimonianze personali.
La testimonianza che qui presentiamo è quella di Nicole Santamaria, una donna intersessuale salvadoregna che è fuggita negli Stati Uniti a causa di minacce di morte.
Mi chiamo Nicole Santamaria e sono una donna dalle molte identità, in quanto sono figlia, sorella, caregiver, psicologa etc., ma prima di tutto sono nata donna indigena e intersessuale, e a causa di queste identità sono stata costretta a fuggire, diventando un’immigrata. Sì, le mie identità oscillano tra comunità che storicamente sono state rese invisibili e perseguitate, se non sterminate.
Sono nata nello stesso giorno in cui è scoppiata la guerra civile nel Salvador. In mezzo alla confusione della società, alla paura e alla morte, mia madre, insegnante e studentessa di sociologia, diede alla luce la sua terza figlia, io.
Il pediatra consigliò ai miei genitori di “riparare al difetto”. Dato che avevo una clitoride allungata, ricostruirono i miei genitali in modo che fossi un maschio, facendo finta di niente. Mia madre, dato il contesto sociale, trovò sollievo nell’allevare un maschio invece di una femmina mentre infuriava la guerra civile.
I miei primi ricordi risalgono a quando avevo tre anni: mio fratello mi scoprì a giocare con un vestito da bambina e le bambole di nostra sorella. Quel giorno mio padre mi picchiò per la prima volta. Negli anni a seguire venni punita sempre più spesso per dire che ero una femmina. Quando i miei seni cominciarono a svilupparsi, mio padre scaldava una moneta e la pressava sui miei capezzoli in modo da estrarne il grasso (lui lo chiamava “rompere il capezzolo”).
Tra gli undici e i dodici anni ebbi il menarca. Il preside della scuola gesuita che frequentava mi prese da parte e mi chiese se sapevo cosa mi stava succedendo. Non seppi cosa rispondere, e lui disse “Lo sai che gli angeli non sono né maschi né femmine. Servono e lodano Dio aiutando gli esseri umani. Ogni volta che qualcuno ti offende, ricorda che sei come un angelo: hai una missione in questo mondo, lodare e servire Dio e il tuo prossimo”. Le sue parole mi sono rimaste nel cuore, e pur non sapendo esattamente cosa stesse avvenendo al mio corpo, sapevo di essere diversa dagli altri.
Passarono gli anni. A sedici anni divenni indipendente dalla mia famiglia, che era molto violenta, e mi trasferii in Costa Rica. Avevo già cominciato a imparare tutta una serie di nuovi termini, come “transessuale”, “transgender”, “travestito” etc. Andai da un endocrinologo, il quale mi prese per una donna cisgender che voleva diventare uomo. Quando gli spiegai la mia situazione, mi prescrisse dei test da cui risultò che ero una donna ermafrodita, che avevo l’utero e le ovaie, e una clitoride trasformata in pene. A tutt’oggi non conosco l’operazione che mi fecero da neonata.
Nel 2015, dopo aver lasciato il mio Paese per lavorare nel campo LGBTQI+, sono sopravvissuta a una selvaggia aggressione che per poco non mi ha uccisa. Nel 2019, mentre già lavoravo per EI/La Para Trans Latinas, ho avuto l’opportunità di operarmi alla vagina per “normalizzarla”, facendo anche un’isterectomia.
Le persone intersessuali ed ermafrodite sono le più invisibili di tutte, anche all’interno della comunità LGBT. La nostra condizione fisica non rispetta i parametri socioculturali, perciò i nostri corpi vengono mutilati senza il nostro consenso, e le nostre identità vengono rese forzatamente maschili o femminili. Tuttavia non siamo così rare: siamo nella stessa percentuale delle persone con i capelli rossi. Oggigiorno si conoscono più di ottanta tratti intersessuali.
Lavoro con la comunità trans in quanto, benché la mia esperienza sia diversa, riesco a comprendere la sofferenza di esprimere la propria identità e di venire escluse e violate, se non sterminate, perché anch’io sono stata costretta in un genere che non era il mio genere biologico.
Sono nata nella fede cattolica. Sono stata battezzata cattolica, e morirò nella mia fede adempiendo al comandamento ignaziano “In ogni cosa, amare e servire”. In questa vita Dio mi ha posta al servizio di coloro che sono considerati inesistenti, che sono disprezzati e condannati, al servizio del mistero. Il Grande Spirito ha creato anche i nostri corpi, e si manifesta in alcuni di essi. Come donna intersessuale o ermafrodita, mi sento vicina a Dio, al Suo amore, alla Sua misericordia, al Suo mistero.
Testo originale: Intersex Catholic Tells Pope Francis a Story of Faith, Violence—And God’s Mercy