«Vai avanti ma in silenzio». Il cammino di suor Derouen con le persone trans
Reportage di David Van Biema* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 19 agosto 2024 e liberamente tradotto da Luigi, Valeria e Ilaria de La Tenda di Gionata, settima parte
Nel luglio 2002, in occasione di un ritiro a Philadelphia per le persone transgender e i loro partner, suor Derouen parlò di «rivendicare la vita attraverso la sofferenza». Esordì con ciò che, per quel gruppo di persone, era un’ovvietà: alle persone transgender credenti viene detto continuamente che il loro dolore e la loro sofferenza sono la punizione di Dio per aver rifiutato di vivere come Dio le ha create. In realtà (secondo i suoi appunti), «Dio non vi sta punendo, ma sta camminando a fianco a voi e sta soffrendo con voi». La via verso una vita più piena passa attraverso la volontà di morire a ciò che ci impedisce di vivere più pienamente. Il dolore che deriva dall’amare, dal rischiare e dal cercare la verità è, in effetti, la fedeltà all’esempio di Gesù e alla sua sofferenza redentrice, l’essere spezzati e versati. Siamo un popolo eucaristico.
Un punto su cui la Derouen non si era espressa: Che dire della persona che cammina insieme a coloro che soffrono? Chi non è in realtà una di loro, ma si espone ogni giorno al dolore della comunità credente nel suo pellegrinaggio caratterizzato dalla sofferenza? Gli psichiatri vanno in pensione, gli assistenti sociali si prendono una pausa per esaurimento nervoso. I sacerdoti, infine, possono ritirarsi dal lavoro pastorale. Ma cosa succede se una persona di quasi sessant’anni è l’unico pastore di un gregge che è sempre vulnerabile?
«Le storie che Luisa ha sentito sono incredibili», dice Dot Trosclair. «Lei se ne è fatta carico. E ha dato loro coraggio. Ha sofferto con loro, e la sofferenza agisce. È successo qualcosa alla sua interiorità». Trosclair aggiunge: «Anche l’incidente ha fatto la sua parte».
Nel 1996, tre anni prima che Derouen iniziasse il suo ministero con le persone transgender, lei e Trosclair stavano andando in Florida in auto. «Qualcosa ha colpito la parte inferiore dell’auto», racconta Trosclair, facendo scattare l’airbag del lato guida. Ci vollero quattro anni prima che una TAC rivelasse l’entità dei danni al volto di Derouen. Il trauma iniziale aveva innescato un deterioramento artritico. Il condilo, la parte della mascella che ruota nella cavità per consentire il movimento, era ormai un moncone. Le fu detto che per parlare avrebbe avuto bisogno di un supporto di plastica in bocca. In realtà, avrebbe dovuto parlare il minimo indispensabile. Si ritrovò a soffrire sempre di più.
La lenta disintegrazione della sua mascella coincise con un altro deterioramento: il cambiamento della percezione che la Chiesa aveva delle persone transgender: da “invisibili” a “innaturali”. Per anni, quando le veniva chiesto quale fosse la posizione della Chiesa sulle persone transgender, lei aveva risposto che non ne esisteva una, e pregava che il Vaticano si consultasse con medici e persone transgender in carne e ossa prima di affrontare la questione.
Le sue speranze crollarono nel 2003, quando il Catholic News Service riferì che la Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto la guida del cardinale Joseph Ratzinger, aveva inviato un documento sub secretum (che non doveva essere reso pubblico) ai vescovi di tutto il mondo, nel quale si ordinava loro di non permettere alle persone che si erano sottoposte al «cambiamento di sesso» di sposarsi, di essere ordinate come sacerdoti o di entrare negli ordini religiosi. La motivazione riportata (il testo non è mai stato reso pubblico) era la convinzione della Congregazione per la Dottrina della Fede che l’operazione chirurgica non alterasse il sesso assegnato alla persona alla nascita. La Congregazione considerava il «transessualismo» come un disturbo psicologico e proibiva di aggiornare il certificato di battesimo di una persona transgender per riconoscere tale cambiamento.
Gli amici transgender cattolici della Derouen ne furono sconvolti. Non potendo accedere al documento, cercò un articolo di diritto canonico del 1997 sulla transessualità del sacerdote gesuita che, secondo il Catholic News Service, aveva «preparato in gran parte» il documento della Congregazione. Si rese conto che le sue affermazioni erano prive di basi scientifiche e le sue argomentazioni inconsistenti. Rassicurò le persone che accompagnava che «questa è la prima parola (della Chiesa), non l’ultima». Ma era preoccupata. Improvvisamente, la sua decisione di rimanere «sotto silenzio» le stava stretta. Desiderava parlare a nome di quella gente che conosceva così bene.
Tuttavia, la Congregazione fece estrema attenzione ai segnali di dissidenza, mettendo la museruola e sanzionando individui o gruppi che riteneva si discostassero dalla dottrina della Chiesa, e molti nella gerarchia cattolica americana ne seguirono l’esempio. Nel 2007, Derouen e Trosclair, che all’epoca era presidente dei Missionari Eucaristici, si recarono a Silver Spring, nel Maryland, per chiedere a un avvocato del Legal Resource Center for Religious quale protezione Trosclair avrebbe potuto offrire a Derouen se si fosse messa contro il vescovo della diocesi in cui lavorava. La risposta fu: nessuna. Derouen avrebbe potuto essere costretta a rinunciare al suo ministero. La sua comunità avrebbe potuto rischiare di andare in sofferenza. «Dot mi disse: ‘Vai avanti ma in silenzio’».
Lo fece, ma la cosa la tormentava. Equiparava la sua reticenza pubblica all’armadio in cui avevano vissuto molti dei suoi amici. Consigliare loro di uscire allo scoperto mentre lei rimaneva comodamente nascosta le sembrava un’ipocrisia. «Da qualche parte nel mondo una persona transgender viene brutalmente uccisa ogni tre giorni», scriveva. «Ma è troppo rischioso parlare a nome di questo prezioso popolo di Dio. E io mi chiedo angosciata: ‘Il mio silenzio è prudenza o codardia?’». Si colpevolizzava di praticare una carità a buon mercato.
I suoi amici transgender pensavano che fosse troppo dura con sé stessa. Un uomo transgender di nome Shawn le disse: «Beh, forse tu chiami quello che fai per noi ‘carità’, ma la tua carità è il motivo per cui sono vivo oggi. Se non fosse per te, sarei morto». E ha continuato: «Se lotti e difendi la causa apertamente, verrai buttata giù e messa a tacere. E poi chi resterà con noi?». Allo stesso tempo, si meravigliavano della sua empatia. «Per lei è diventata come un’esperienza transgender per procura», dice Sharp. «È come se qualcuno soffrisse per una comunità. Si fa carico di tutto ciò che la comunità transgender sperimenta. Cosa si può chiedere di più? Mi si spezzò il cuore per lei».
Nel 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto Papa Benedetto XVI. Nel discorso di Natale di tre anni dopo, trattò il tema del genere come un tentativo di «auto-emancipazione» che violava l’ordine creato da Dio e si poneva «in opposizione alla verità». La dichiarazione del Papa delineava un quadro teologico che sembrava classificare il cambiamento di sesso come un peccato di orgoglio. Derouen, a Tucson, pensò che fosse giunto il momento di esporsi pubblicamente.
Inviò un’e-mail al vescovo di Tucson Gerald Kicanas, nella quale descriveva la sua vera attività pastorale e affermava: «Ancora una volta la gerarchia ha messo in mostra la sua ignoranza, allontanando tante, tante persone che stanno facendo del loro meglio per vivere una vita fedele a Dio, sostenute dalla comunità credente di fede cattolica». Era la cosa giusta da fare. Se il vescovo l’avesse fermata, almeno sarebbe stata sollevata dal senso di colpa per il suo silenzio.
Lei dice che il vescovo non le rispose mai, anche se aveva risposto lo stesso giorno a un’altra mail che gli aveva inviato su un altro argomento. Lo interpretò come una tacita accettazione del suo ministero, ma decise di non rendere pubblico il messaggio che aveva inviato.
Sotto il papato di Benedetto, il Vaticano aveva iniziato una indagine dottrinale a lungo termine sulle suore americane, che alla fine portò a un parziale commissariamento del gruppo dirigente della Leadership Conference of Women Religious a causa di «gravi problemi dottrinali» riguardanti l’omosessualità e il sacerdozio riservato ai maschi. La Leadership Conference of Women Religious rappresenta circa due terzi delle comunità religiose femminili americane, compresa quella di Derouen.
Al volgere del 2009, la mascella di Derouen faceva così male da costringerla a sospendere temporaneamente il suo lavoro. Quando successe una seconda volta, decise di ridurre la sua pastorale transgender alla corrispondenza via e-mail, alle telefonate occasionali e a molta preghiera. Non avrebbe potuto farlo a Tucson, dove era parte della vita della comunità transgender della città.
Ma le Missionarie Eucaristiche, i cui membri stavano invecchiando (Derouen aveva ormai 64 anni), si erano unite a diverse altre comunità per formare le Suore Domenicane della Pace, una delle cui case madri si trovava nella contea rurale di Washington, in Kentucky. Le suore le offrirono una casa di campagna dalle tegole marroni con un portico chiuso, accanto a un pascolo di mucche.
Lei accettò, e trasformò il portico in una cappella. «Pensavo che questa fosse la fine del ministero transgender per me», dice. «Andrò a vivere nella mia piccola casa da eremita». Si congedò in lacrime da Tucson, da A Mountain e dalla maggior parte dei suoi amici transgender, e dette via i suoi libri su argomenti transgender. «Sto passando da una specifica chiamata di Dio a un’altra», continuava a ripetere. Il silenzio sembrava aver vinto.
*David Van Biema è stato il capo redattore della sezione religione per la rivista Time, dove ha lavorato dal 1993 al 2008. I suoi scritti sono apparsi su The Atlantic, America, Religion News Service e altri.
Testo originario: No Body Now But Yours