I segni delle stimmate incisi sui corpi delle persone LGBT+
Riflessioni pubblicate sul sito di Kairos Firenze, gruppo di cristiani LGBT+ e i loro genitori di Firenze
“Porto nel mio corpo le stimmate di Gesù.” (Galati 6,17). Quando penso alle stimmate, segni visibili delle ferite di Gesù portati da santi e mistiche, mi viene da chiedermi: se anche le persone omosessuali o transgender non portano anche loro delle stimmate? Non ferite visibili, ma segni reali, incise sulla loro carne e nell’anima, che raccontano il loro percorso e chi sono veramente.
Per molte persone LGBT+, la vita è segnata da sofferenze che, spesso invisibili, lasciano ferite profonde. Quante volte si trovano a dover portare il peso del rifiuto, della solitudine, del giudizio? Anche solo vivere apertamente il proprio amore o la propria identità spesso diventa una sfida potersi mostrarsi al mondo, con tutta la fatica e il coraggio che questo comporta. È come portare su di sé delle stimmate invisibili, ferite aperte che parlano di autenticità, di lotta e di verità.
Queste stimmate non sono scelte, non c’è nulla di eroico nel dolore che comportano. Eppure, proprio in queste ferite, in questa esposizione della propria vulnerabilità, c’è qualcosa di prezioso. È come se, attraverso il dolore, Dio ci facesse vedere la bellezza e la forza di una vita vissuta pienamente. Perché Dio è lì, proprio dove ci sono ferite e fragilità, in ogni cuore che continua a battere per amore e verità.
Pensiamoci un momento: non è forse questo il messaggio delle stimmate dei santi? Sono un segno di una vita che si dona, di una vulnerabilità che diventa spazio sacro. E chi più delle persone LGBT+, con le loro battaglie quotidiane per essere accolte, riconosciute e amate, porta nel mondo questo messaggio? Non si tratta di soffrire per soffrire, ma di una testimonianza vivente del fatto che il cammino verso l’accettazione di sé e l’amore di sé stessi è sacro.
La domanda, allora, è questa: siamo pronti a vedere nelle vite delle persone LGBT+ un riflesso della presenza di Dio? Troppo spesso, la Chiesa e la società vedono queste identità come “sbagliate”, qualcosa da “riparare” con terapie violente che tentano di cambiare le persone, come se l’amore, le identità e la verità di questi fratelli e sorelle fossero da correggere o da negare.
Eppure proprio quelle, che per molti sono ferite da nascondere, sono in realtà segni di una verità da abbracciare. Sono il segno di una carne che merita amore e rispetto, perché è la carne di chi si dona, di chi porta dentro di sé l’esperienza autentica dell’amore.
In fondo, Gesù ci ha insegnato che è proprio negli esclusi che troviamo il volto di Dio. Le persone LGBT+ portano ogni giorno questo peso sulla loro carne, con tutte le loro ferite invisibili. E queste ferite, per chi sa guardare con occhi ben aperti, non sono altro che le stimmate di un amore che ci ricorda la nostra chiamata più grande: essere tutti, senza eccezione, testimoni viventi dell’amore di Dio nel mondo.