Abbiamo un mondo da cambiare. Una riflessione dopo le elezioni americane
Riflessioni di Brian G. Murphy* pubblicate su Queer Theology.com (Stati Uniti), liberamente tradotte da Innocenzo Pontillo
Vi sentite un po’ logorati negli ultimi giorni? Anch’io. (Quando ho sentito che Donald Trump era stato eletto prossimo presidente degli Stati Uniti) ho provato rabbia, disgusto, disperazione, intorpidimento, dolore, rabbia, paura e altro ancora. Ho parlato con molti di voi via e-mail, sui social media e nella nostra comunità e so che molti di noi si sentono allo stesso modo.
C’è una connessione confortante in questo: non siamo soli in questi grandi sentimenti. Siamo riuniti insieme. A volte letteralmente insieme nello spazio fisico, altre volte virtualmente nello spazio digitale. Ma siamo insieme.
Mercoledì mattina, mio marito e io siamo andati a fare una passeggiata al fiume vicino. Ci siamo tenuti per mano e abbiamo sentito la brezza sulla pelle. Abbiamo ammirato il sole che sorgeva sull’acqua. Abbiamo ascoltato il fruscio degli scoiattoli tra le foglie autunnali cadute.
Tutto sembra così buio eppure il sole sorge. Il vento soffia. La terra si trasforma. Noi andiamo avanti.
C’è una scena in How To Survive A Plague (Come sopravvivere a una pestilenza) in cui un gruppo di amici e attivisti di ACT-UP contro l’AIDS sono seduti in un appartamento di New York a parlare della loro morte imminente. “Morirò per questo”, dice Peter Staley. “L’ultima persona viva a Chelsea può spegnere le luci?”, scherza un altro.
Questo mi ricorda il Sabato Santo – il giorno dopo l’assassinio di Gesù da parte dello Stato romano, ma il giorno prima della sua resurrezione – quando i suoi seguaci erano riuniti nella stanza superiore, spaventati e sconvolti.
E mi ricorda anche questo momento.
Ma molti di quegli attivisti contro l’AIDS non sono morti. Sono andati a salvare il mondo perché persone come me potessero vivere.
E il movimento di Gesù non è morto con lui, vero? Dal loro fondo in cui erano, quei seguaci hanno cambiato il corso della storia.
Come persone queer e cristiani (e persone con background cristiano), veniamo dopo una lunga serie di persone che hanno sfidato le probabilità e visto l’impossibile diventare possibile.
Quando ho capito di essere queer, le persone LGBTQ erano ancora massicciamente stigmatizzate e discriminate. Non c’era praticamente nessuna rappresentazione positiva nei media e nessuna tutela legale. Ma anche in questo contesto ho avuto il coraggio di dire: “Ne vale la pena. Non mi vergognerò e non mi lascerò sconfiggere. Costruirò una vita migliore per me stessa”. E guardate il mondo che abbiamo costruito insieme.
Siamo di nuovo di fronte a un periodo difficile e anch’io ho paura. Ma in questo momento penso a me tredicenne e alla mia determinazione nell’affrontare i momenti difficili. Penso alle comunità da cui provengo, a quelle da cui sono stato sostenuto e a quelle che sto sostenendo. Facciamo parte di comunità che sanno come prendersi cura l’una dell’altra, per sopravvivere, per prosperare, per costruire un mondo migliore di fronte a probabilità schiaccianti.
È chiaro che il mondo è profondamente ferito e spezzato, ma mi rifiuto di credere che debba essere così. Mi rifiuto di credere che siamo soli.
Uno dei testi ebraici fondamentali dice: “Non ti è richiesto di finire il tuo lavoro, ma non ti è nemmeno permesso di desistere da esso”.
Abbiamo del lavoro da fare.
Non so cosa ci riservi il domani, ma so questo: Sono così felice di essere rannicchiato nella stanza superiore con voi in questo momento, spaventati e ma sostenuti l’uno dall’altro. E non vedo l’ora di esplodere domani pieno dell’inarrestabile speranza che l’amore vince e che nemmeno l’impero più potente del mondo può sconfiggerci.
Riposatevi ora, abbiamo un mondo da cambiare domani.
*Brian G. Murphy è co-fondatore del sito queertheology.com di risorse per cristiani queer ed è accompagnatore spirituale negli Stati Uniti.
Testo originale: huddled together. an after-election reflection