Il mio “Viaggio nei costumi sessuali” in 86 Paesi tra diritti e discriminazioni
Dialogo di Katya Parente con Pietro Tarallo
Due lauree, decine di libri (tra cui parecchi testi scolastici, guide e reportage di viaggio) un’intensa attività giornalistica e, non da ultimo, una militanza storica che l’ha portato ad essere uno dei fondatori del COSR (Collettivo Omosessuale Sinistra Rivoluzionaria) a Torino nel 1977 e a collaborare alla rivista Lambda. E a militare poi ancora oggi nell’Arcigay: sto parlando di Pietro Tarallo, che volevo intervistare a proposito del suo “Viaggio nei costumi sessuali. 86 paesi tra diritti e divieti, trasgressioni e curiosità. Con contenuti multimediali” (ERGA, 2024). E invece mi si è aperto un mondo – di questo mondo parliamo proprio con Pietro.
Prima di tutto, da dove ti viene tutta questa energia?
Dalla passione. Sono un uomo che ha nutrito tante passioni nel corso della mia lunga vita – ottantatre anni – passione per il lavoro, passione per gli amici, passione per le donne, passione per gli uomini, passione per l’insegnamento, passione per la politica, passione per il giornalismo e per la scrittura. Questo ancora oggi mi sostiene e mi fa andare avanti.
Sei un attivista della prima ora. Cos’è cambiato, nel mondo queer, dalle tue prime battaglie ad ora?
Sono un attivista dalla metà degli anni ’70 quando ho fondato il Cosr, il Collettivo omosessuale della sinistra rivoluzionaria a Torino. Che cosa è cambiato? Tutto. L’impostazione di quell’epoca era la liberazione dalle pastoie di una morale borghese e bacchettona, sull’esempio delle femministe noi reclamavamo la libertà del nostro corpo, del nostro piacere – dell’espansione di questo piacere non impastoiato dai canoni borghesi della società di allora.
A quel tempo era impensabile chiedere il matrimonio egualitario, l’adozione e così via. Importava soltanto la liberazione – la liberazione da tutte le pastoie che la morale borghese, come ho detto prima, e quella clerico-fascista dei governi, avevano imposto alla minoranza LGBTQIA+ (allora era soltanto lesbiche, gay e trans).
Sei stato insegnante. Quanto è importante la cultura per crescere liberi da pregiudizi?
Si, sono stato insegnante, ho anche scritto testi scolastici di geografia e un libro di didattica che si intitolava “Oltre il libro di testo” che ha avuto un certo successo perché proponeva le biblioteche di classe e le attività creative come cinema, fotografia, giardinaggio: io, per esempio, nella mia scuola a tempo pieno di Torino, facevo tanto giardinaggio – avevamo trovato uno spazio abbandonato dove i ragazzi coltivavano ortaggi che poi mangiavano nell’ora della mensa.
La cultura rende liberi, è importantissima, per questo i regimi autoritari sono contrari, per questo la Meloni sta mettendo il bavaglio a tutta l’informazione e ci propina una RAI che è controllata completamente da lei con trasmissioni e personaggi improbabili. La cultura, praticata, tenuta libera, data a tutte le classi sociali, è scomoda per ogni regime.
Parliamo più nello specifico del tuo ultimo libro, che mi sembra una sorta di “summa antropologica” del popolo LGBT. Quanto ci hai messo a scriverlo ma, soprattutto come hai fatto a documentarti e a districarti in un “mare magnum” di informazioni come quelle che certamente avrai trovato?
Sì, il mio libro è un puzzle, un puzzle di tante cose. Ci sono dei racconti, quindi narrativa, ci sono dei reportage, e quindi giornalismo, ci sono delle ricerche effettuate in internet e che mi hanno preso parecchio tempo. Direi che il libro è stato in progress per almeno cinque anni.
Ho avuto la fortuna di trovare ERGA edizioni che è un piccolo editore locale che ha creduto nel libro, mentre grandi editori con cui avevo già pubblicato – da Garzanti a Feltrinelli – l’avevano bocciato.
Summa antropologica del popolo LGBTQI+? Può essere: io ho voluto soltanto documentare, senza posizioni ideologiche precostruite, qual è la posizione attuale delle donne e della nostra comunità in fatto di diritti, ma anche di negazione dei diritti, delle violenze che subiscono le donne che sono quotidiane come i femminicidi e delle violenze che subiscono le lesbiche, come le due donne recentemente bruciate vive nella periferia di Buenos Aires, come le violenze che subiscono i transgender a cui non viene riconosciuto il pagamento di tutto l’iter del cambiamento sessuale che è molto costoso, circa 30 mila euro.
E’ proprio di questi giorni la campagna che l’Arcigay ha lanciato e che ha come slogan “Chiedimi se sono felice”. Andatela a vedere e divulgatela, perché sono testimonianze che vanno diritte al cuore e che sono autentiche, sia da parte dei genitori che parlano dei propri figli e sia dei ragazzi.
Che progetti hai per il futuro?
Siccome le passioni non mi abbandonano mai, ho un’altra passione da soddisfare che è quella di fare un lungo viaggio in Giappone – non so se poi diventerà una guida, ma credo di no perché ce ne sono già tante e poi il Giappone non è contenibile in un libro, c’è di tutto e di più, è un mondo così alieno rispetto al nostro occidentale che è difficile da descrivere, anche per quanto riguarda i costumi sessuali. Ci sono alcune descrizioni all’interno del mio libro “Viaggio nei costumi sessuali” che vi prego di leggere, perché ne vale la pena sottolineare la loro sessualità particolare – molto, molto particolare e molto lontana anche dalla nostra e comunque non giudicabile.
Salutiamo Pietro, uomo dai mille interessi, globe-trotter, giornalista, insegnante e, perché no, un po’ filosofo e vi consigliamo la lettura del suo ultimo libro che, a parere di chi scrive, è più di un viaggio nei costumi sessuali – è un’immersione, multimediale, in culture spesso diversissime dalla nostra. Un’occasione per ampliare i nostri orizzonti e capire meglio la realtà che ci circonda.
Scopri gli altri Dialoghi di Katya Parente sulla realtà LGBT+ su “LA VERSIONE DI KATYA“