“Finché morte non ci separi”. Il cammino d’amore e di fede di una coppia lesbica
Testimonianza di Mary Ann Meadows Hunsbarger pubblicata Outreach, sito di risorse per cattolici LGBT+ (Stati Uniti) il 31 ottobre 2024, liberamente tradotta da Innocenzo Pontillo
Non dimenticherò mai la telefonata di mia moglie, Diane (a sinistra nella foto con me), alla fine dell’agosto 2016. Eravamo entrambe al lavoro. Dal tono della sua voce capii subito che qualcosa non andava. Trattenendo le lacrime e usando il mio soprannome mi disse: “Boober, il medico mi ha appena chiamato. Ho un tumore al seno.”
Meno di un mese dopo, ci comunicarono che il tumore aveva dato vita a delle metastasi. Iniziò così il lungo cammino che avremmo intrapreso nei successivi sei anni. Non riesco a descrivere l’angoscia e il terrore che provammo di fronte a quell’incertezza: Diane doveva affrontare le cure, mentre io cercavo di starle il più possibile vicino.
Ma una cosa era certa: eravamo insieme in tutto questo. Diane giurò di lottare, e lo fece con una determinazione straordinaria. Stavamo insieme da trent’anni e i successivi sei ci avrebbero unite ancora di più, creando un legame forgiato dall’amore reciproco e — con mia sorpresa — dalla fede condivisa.
Credevamo che Dio non ci avrebbe mai dato più di quanto potessimo sopportare. Spesso parlavamo delle croci che ciascuna di noi doveva portare.
Diane era cresciuta nella chiesa battista, ma non era praticante. Io ero cattolica, frequentavo regolarmente la Messa e prestavo servizio come lettrice. Diane a volte mi accompagnava, ma non aveva mai espresso il desiderio di diventare cattolica.
Tuttavia, pregavamo insieme ogni giorno e parlavamo apertamente della sua malattia terminale. Sapevamo che Dio non ci avrebbe mai abbandonate e che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe chiamato ognuna di noi a sé.
Con il progredire delle cure e dei trattamenti sperimentali, il corpo di Diane le impose di rallentare.
Andò in pensione anticipata e, sei mesi dopo la diagnosi, notai un cambiamento nel suo atteggiamento. Lo interpretai come un segno dello Spirito Santo che entrava nel cuore di Diane. Cominciò a frequentare più spesso la Messa con me e a fare volontariato nella nostra parrocchia, lavorando alla mensa per i poveri, aiutando al bingo settimanale e distribuendo cibo.
Diane iniziò a farmi domande sulla fede cattolica, curiosa di scoprire le differenze rispetto alla sua educazione battista. Cercavo di rispondere al meglio, spiegandole i nostri riti. Avvertivo che dietro quella curiosità c’era qualcosa di più profondo.
Un giorno, Diane mi disse che voleva parlare con il nostro parroco. Tornata dall’incontro, mi raccontò le risposte di padre Kevin. Le aveva detto che essere lesbica non è un peccato e che Dio ama tutti. La nostra parrocchia a Youngstown, Ohio (Stati Uniti), pur essendo piccole e sempre in difficoltà economiche, si distingue per l’accoglienza e la diversità dei suoi parrocchiani.
Alla fine, Diane mi comunicò che desiderava partecipare al cammino per diventare cattolica e che voleva che fossi io, sua moglie da più di tre decenni, a farle da madrina.
Dopo ogni incontro, discutevamo di ciò che avevamo appreso, avvicinandoci sempre più nella fede e nell’amore per il Signore. Nell’estate del 2020, mentre Diane lottava ancora contro il tumore, fu accolta pienamente nella Chiesa cattolica. Scelse Maria come nome di cresima, sentendosi particolarmente legata alla Madre di Dio. Mi confessò che molte persone importanti nella sua vita si chiamavano Maria, me compresa, la sua “Boober.”
Quando tornammo a partecipare di persona alla Messa, Diane si offrì come lettrice. La prima domenica in cui il suo nome comparve negli avvisi dei lettori domenicali coincise con una Messa in cui anch’io dovevo leggere. Non dimenticherò mai quel giorno: Diane lesse la prima lettura, io la seconda. Sedute insieme, condividemmo un momento di adorazione e di gratitudine per il dono dell’amore che ci aveva accompagnate per tanti anni.
Quella fu l’ultima volta che Diane ebbe la forza di leggere a Messa.
I mesi successivi furono convulsi. Mi ritirai dal lavoro e mi sottoposi a un intervento alla schiena, mentre Diane si aggravava. La sua famiglia mi aiutò a prendersi cura di lei durante la mia convalescenza.
Infine, a novembre, Diane tornò a casa dall’ospedale di Cleveland. Era semicosciente, ma mi chiamò vicino a sé, e mi disse: “Boober, la parte migliore della mia vita è stata con te.”
Quelle furono le sue ultime parole per me.
Rimasi accanto a lei per tutto il tempo che il dolore alla mia schiena mi consentì. Cantai inni e recitai preghiere.
Infine, all’inizio di dicembre, il respiro di Diane si fece affannoso. La sua vita terrena giunse al termine. Le presi la mano e le dissi che poteva lasciarmi, che il Signore la stava chiamando. Le lessi le Scritture e, tenendole la mano, il 5 dicembre all’una del mattino, attraversò il confine con la vita. Sentii che era in pace. Ma io stavo per entrare nel luogo più oscuro che avessi mai conosciuto.
Descrivere la solitudine che vissi nei giorni seguirono quando mi risvegliavo senza di lei è impossibile. La sua sedia vuota, dove la sera ci rilassavamo, mi sembrava un simbolo di un vuoto insostenibile.
Mi aggrappai al Signore, pregando le Beatitudini: “Signore, hai detto: ‘Beati coloro che piangono, perché saranno consolati.’ Ho bisogno del tuo conforto.” Era una preghiera che recitavo più volte al giorno, con il cuore spezzato, in cerca della consolazione promessa.
Con il passare dei mesi, la mia schiena migliorò e tornai a partecipare alla Messa. All’inizio fu difficile sedermi sola nella panca che avevamo condiviso insieme per tanti anni. Ma piano piano sentii che il Signore era accanto a me.
Sono passati due anni dalla morte di Diane e continuo a piangerla, ma il Signore mi consola ancora. Ci sono giorni in cui il dolore è così travolgente che mi chiedo come potrò andare avanti senza di lei.
In quei momenti parlo con il Signore, chiedendogli forza e conforto. Lo sento rispondere: “Io sono con te, sempre.” Questo mi dà la forza per affrontare ogni giorno.
Con l’avvicinarsi della commemorazione dei defunti e dell’Avvento, ripenso agli ultimi mesi con Diane, al giorno in cui divenne cattolica e a quella Messa in cui leggemmo insieme la Parola.
Il ricordo degli ultimi giorni di Diane è ancora vivo, ma la mia fede mi aiuta ad affrontare la sua perdita ogni giorno. So che Diane è con me e sento spesso la sua presenza. Le parlo quotidianamente, a volte con dolcezza, altre con rabbia, chiedendole perché mi abbia lasciata. E, in qualche modo, sento che mi risponde, incoraggiandomi a essere più indulgente con me stessa, a rallentare, a vivere con serenità.
Anche se Diane non è fisicamente accanto a me in chiesa, il suo spirito è sempre presente con me. E ogni volta che proclamo la Parola durante la Messa, quel momento speciale che abbiamo condiviso rimane indelebile nel mio cuore.
Testo originale: How a Catholic woman’s faith provided comfort after the loss of her wife