Dov’è tuo fratello? (Gn 4,9). Comunità inclusiva vo’ cercando
Riflessioni bibliche di Kairos, gruppo di cristiani LGBT+ di Fitenze
“Dov’è tuo fratello?” (Genesi 4,9). È la domanda di Dio a Caino, un grido che attraversa le pagine della Bibbia e i secoli della storia. Ma Caino, invece di rispondere, alza un muro: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.
In questa risposta c’è il tradimento di ciò che dovrebbe essere una comunità: un luogo in cui l’altro, anche nella sua diversità, trova cura, accoglienza, protezione.
La storia di Caino e Abele ci parla di esclusione, di rifiuto dell’altro e del dolore che ne deriva. Caino non vede Abele come un fratello da custodire, ma come una minaccia da eliminare. Questo atteggiamento, purtroppo, si ripete spesso nella Bibbia e nella nostra società: l’altro viene scartato perché diverso, perché rompe i nostri schemi o le nostre certezze.
Pensiamo alla cacciata di Agar e di suo figlio Ismaele (Genesi 21,8-21). Agar, schiava egiziana, è diversa: donna, straniera, madre di un figlio che non appartiene al “lignaggio giusto”. Sara, in preda alla gelosia, chiede ad Abramo di scacciarli entrambi, e così madre e figlio vengono abbandonati nel deserto.
Anche qui, la comunità – rappresentata dalla famiglia patriarcale – fallisce. Non c’è spazio per chi è “altro”, per chi non si conforma. Ma Dio non abbandona Agar e Ismaele: li ascolta, li soccorre e promette loro un futuro. Questo gesto ci dice che anche quando le comunità umane escludono, Dio non smette mai di accogliere.
La parabola del ricco e di Lazzaro (Luca 16,19-31) ci offre un altro esempio. Lazzaro giace alla porta del ricco, affamato e coperto di piaghe, ma il ricco passa oltre, cieco al bisogno dell’altro. L’immagine è potente: una porta che rimane chiusa, un grido che non viene ascoltato.
Questa porta chiusa diventa simbolo delle comunità che si chiudono su sé stesse, incapaci di accogliere chi è diverso o vulnerabile.
In chiave queer, Lazzaro può rappresentare tutte quelle persone rifiutate dalle comunità religiose e sociali a causa della loro identità o del loro modo di essere.
Ma la Bibbia non è solo una raccolta di fallimenti. Ci offre anche un’immagine di speranza: la Pentecoste (Atti 2,1-13). In quel momento, lo Spirito Santo scende sugli Apostoli e li spinge a parlare lingue diverse, permettendo a persone di ogni nazione di comprendere il messaggio di Dio. Qui la comunità non è omogenea, ma un mosaico di differenze unite dallo stesso Spirito. È una comunità che accoglie, che include, che celebra la diversità come dono.
E allora, il grido di Dio a Caino – “Dov’è tuo fratello?” – diventa la nostra chiamata oggi. In una prospettiva queer, essere comunità significa rompere i muri del pregiudizio, ascoltare chi bussa alle nostre porte, accogliere chi è stato scartato. È difficile, richiede coraggio, ma è possibile.
Come dice Paolo: “Accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo ha accolto voi” (Romani 15,7). Questo è il sogno di Dio per le nostre comunità: un luogo dove nessuno è escluso, dove ogni diversità è un dono, dove possiamo finalmente rispondere al grido di Dio: “Ecco il mio fratello. Lo custodisco con amore.”