Dopo il cambiamento di sesso: “Ora sono una donna agli occhi di Dio”
Testimonianza di Susan Musgrove raccolta da Peter Stanford, tratta dal sito del Telegraph (Gran Bretagna) del 29 aprile 2013, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Lo scorso agosto, all’età di 60 anni, ho subito l’intervento di “riassegnamento del genere”. Una settimana fa sono stata pubblicamente benedetta in chiesa come donna con un culto di affermazione, il passo finale di un viaggio lungo una vita.
Mi ricordo ancora di come, bambino di dieci anni alle elementari, guardavo i miei pantaloncini grigi, la camicia bianca e il blazer e sapevo che mi sarebbe piaciuto di più avere il vestitino a quadrettini delle bambine. Ma per quasi sei decenni ho vissuto come un uomo.
Solo nel 2010 ho ricevuto la diagnosi formale di disturbo dell’identità di genere. Poi ho dovuto impiegare del tempo a fare quelle che vengono chiamate “esperienze reali” prima di potermi operare, esperienze che includono vestirsi e vivere come una donna 24 ore al giorno, compreso andare in chiesa la domenica.
Penso di essere sempre stata un po’ dentro e un po’ fuori con la religione, ma non avevo mai perso la mia fede in Dio. Essendo cresciuta negli anni ’50, ero assidua alla scuola domenicale. Mi sono staccata dalla chiesa dopo i vent’anni, un periodo in cui ho lavorato come ingegnere civile e in cui ho avuto un breve matrimonio finito con il divorzio, ma una decina di anni dopo sono tornata e mi sono confermata.
Molte persone della mia comunità mi conoscono da decenni e sono stata molto aperta con loro mentre affrontavo la mia transizione, ma non volevo obbligare nessuno ad accettarmi o far sentire qualcuno a disagio a causa della mia presenza.
Per fortuna non mi sono mai sentita rifiutata e dopo essermi ristabilita dall’operazione mi è sembrato naturale voler rendere grazie a Dio in qualche modo. Per quanto ne so, nessuna persona transgender aveva mai formalmente affermato la sua fede nella Chiesa d’Inghilterra.
Non ero sicura di come il mio vicario, David Hewlett della chiesa di St Andrew a Corbridge nel Northumberland, avrebbe reagito quando ho sollevato la questione, ma è stato un grande. Ha parlato con il vescovo di Newcastle e, una volta che abbiamo ottenuto il nullaosta, il nostro curato, Julie Robson, ha creato una liturgia di affermazione.
Il culto è stato enormemente significativo. C’erano mia figlia e mio figlio, un tenente di artiglieria, con i miei due nipoti. Per me è stata una pietra miliare: avevo bisogno del sasso e del legno e della cerimonia della Chiesa anglicana, in particolare quella della mia parrocchia, perché la mia transizione fosse reale.
Ho sempre pensato a me stessa come due diverse persone. Da bambino, senza sapere perché mi sentivo così, mi provavo i vestiti di mia madre. Se lo sapeva, non lo disse mai. Anch’io tenevo tutto nascosto, perché non avevo le parole per esprimere quella compulsione che sentivo.
Cercavo sempre con enorme impegno di adattarmi a quello che ci si aspettava da me in quanto ragazzo. Ero terribilmente angosciato e da adolescente divenni molto arrabbiato, occasionalmente violento. Qualche volta mi chiedevo se fossi gay, ma, anche se dentro di me mi sentivo una donna, avevo il corpo di un uomo e mi piacevano le donne. Solo dopo molto tempo ho capito la differenza tra genere e sessualità. Detto molto semplicemente, il genere sta nel cervello e la sessualità si trova più in basso nel corpo.
Sono stata sposata tre volte e con tutte le mie mogli, e con le altre donne che ho frequentato, sono stato molto chiara e ho parlato subito dell’”altro lato” di me. C’era il mio lato maschile, il marito e padre, l’uomo che usciva per andare al lavoro, aveva un’impresa, sapeva posare mattoni e intonaco, e poi c’era Susan, a cui piaceva cucire e cucinare. Con le mie mogli andavo fuori a volte come marito e a volte come migliore amica. Mi ci è voluto molto tempo per cogliere il fatto che queste due parti erano la stessa persona.
La mia seconda moglie Barbara, la madre dei miei due figli, fu adorabile quando glielo dissi la prima volta. Per uno dei nostri primi Natali insieme mi regalò due sacchi tutti pieni di cose da ragazzine.
Avevo cercato di tenere Susan lontana dai miei figli, ma quando avevano sei e otto anni la loro madre, che a quell’epoca stava soffrendo della sclerosi multipla che poteva farle fare cose crudeli, mi fece outing. “Sai che a papà piace vestirsi da donna?” chiese loro. In seguito lo disse ad amici e vicini.
Penso che volesse aizzarmi contro i bambini, ma la cosa non funzionò. Dissi loro la verità senza esitare e quando furono adolescenti riportarono a casa nostra gli amici, che furono felici di accettarmi come Susan.
Mi chiamano ancora papà, anche se quando siamo in mezzo alla gente dicono “nonna” o “Susan”. E io sono il loro papà: non voglio essere chiamato “mamma”. Una madre ce l’avevano anche se poi è morta.
La mia terza moglie, Rona, era una maestra che incontrai nel 1999 quando lavoravo per l’Associazione degli Automobilisti. Ero andato da lei per ripararle la macchina e dopo poco tempo cominciammo ad uscire insieme. Era una ragazza dai valori di una volta – e direi che era proprio il mio tipo – e quando le rivelai la storia del travestitismo, sulle prime non mi capì. Ci volle del tempo, ma quando lo accettò fu un momento molto felice. Sotto molti punti di vista era e sarà sempre l’amore della mia vita.
Poi nel 2000 dovetti smettere di lavorare per via dei dolori alla schiena. Mi venne la depressione e mi mandarono da una psicologia di Hexham. Dopo poche sedute mi disse che ero nel posto sbagliato. Disse che avevo bisogno di vedere uno specialista di questioni di genere e così sono approdata alla clinica specializzata di Sunderland nel 2009.
Quando mi suggerirono l’operazione chirurgica non seppi cosa rispondere. C’era la mia famiglia, c’era Rona, avevo avuto molto dalla vita, ne ero felice e fiero. Tuttavia, più il tempo passava, più mi convincevo di essere nel corpo sbagliato. Io e Rona parlammo dell’operazione e lei ebbe molta difficoltà ad adattarsi alla cosa. Nel luglio 2010, a un punto in cui le cose tra noi erano molto compromesse, presi una forte dose di pillole e bevvi mezza bottiglia di whisky. Tentai il suicidio non perché volevo diventare Susan ma perché non volevo perdere Rona. Lei mi lasciò il giorno stesso e da allora non le ho più parlato. Ha divorziato da me e ora vive con un altro uomo.
Sopravvissi al tentato suicidio, e quello fu un grande momento di fede. C’era qualcuno là fuori, qualcuno più grande di me, che aveva altre idee sul mio futuro, e quella persona era Dio. Lui non mi lasciò morire. Mi aiutò a uscirne, e ora so che non sono sola nel mio cammino. Ecco perché ho voluto l’opportunità di affermare la mia fede in chiesa: è un modo di dire grazie.
Non riesco a descrivere quanto siano importanti per me la benedizione e l’accettazione che questa rappresenta. So che non tutti nella Chiesa universale ne saranno felici, ma è essere accettata in tutte le forme che mi rende pacificata. E questo per me vuol dire tutto.
Testo originale: After my sex change, I’m now a woman in the eyes of God