Le donne, una rarità nel mondo degli omosessuali credenti?
Riflessioni di Daniela Tuscano
“Sono una donna, e questo fa di me, mio malgrado, una rarità nel mondo degli omosessuali credenti. Il perché non so dirlo, posso però provare a condividere quanto l’incontro con uno di questi gruppi, pur se formato quasi esclusivamente da uomini, abbia contato nel mio cammino di accettazione e di crescita”.
Con queste parole esordiva la testimonianza di una delle due lesbiche cattoliche (su un totale di sedici interventi) nel dossier di “Famiglia Oggi” del lontano 1993, dedicato all’omosessualità.
Peraltro, rileggere questa monografia tanto tempo dopo m’infonde sconcerto e tristezza. Mi rendo infatti conto che le problematiche affrontate sono ancora attualissime (e irrisolte); non solo; in qualche caso sono pure peggiorate, perché dubito fortemente che una pubblicazione simile vedrebbe la luce nell’attuale epoca ratzingeriana.
Resta attuale anche la scarsità di presenza femminile nei gruppi di omosessuali credenti, come già sottolineato in “Gay e credenti, binomio possibile? “. L’assenza di donne costituisce senza dubbio un fattore di debolezza e di povertà per il movimento. I motivi, come premesso, sono molteplici.
Il primo, più semplice e al tempo stesso profondo, risiede nel disinteresse generale per tutto quanto attiene l’intimità e la specificità femminile. Persino Dante, che pure esaltava al massimo grado la donna, mise all’inferno i “sodomiti”, ma non le “saffiste”. Forse perché – commentò qualche osservatore – credeva non esistessero.
Quando Willy, l’ex marito dell’eterissima (ma molto disinvolta) scrittrice Colette, scoprì che la moglie, dopo il divorzio, si era legata a una nota lesbica, esclamò: “Ora non potrete dire che sono cornuto!”.
Anche le condanne religiose sono sembrate più indulgenti nei confronti delle donne omosessuali. In verità si tratta di una falsa tolleranza. E’ di un’assoluta evidenza che i documenti magisteriali pensano soltanto all’omosessualità maschile, sia perché hanno esperienza solo di quella, sia perché, come dicevo prima, la gerarchia vaticana ha verso la donna un atteggiamento insieme di disprezzo, di noncuranza e d’ignoranza.
Parla della “donna” in modo del tutto astratto, ne coltiva un’idea mitica. In realtà quando ci si rende conto del potenziale “eversivo” della sessualità femminile, e del lesbismo in particolare, le reazioni non tardano ad arrivare, con una violenza e un’asprezza impensabili per i gay maschi, pur detestati, ma sempre maschi.
Le lesbiche sono diverse dai gay, a volte in modo molto profondo. Le prime hanno dinamiche proprie e delle mire che non sempre si affiancano a quelle degli uomini. Anzi. Infatti un altro dei motivi per cui le lesbiche risultano meno “cool” dei gay è la loro (voluta?) chiusura o, se vogliamo usare un termine a loro caro, separatismo.
I gay ricercano l’integrazione nella società e in genere non hanno alcun problema a coltivare amicizie eterosessuali anche con donne, cui spesso sono legati; le lesbiche, e ci riferiamo alle militanti che però sono le uniche delle quali – di rado, è vero – si sente parlare, e parlano, lottano contro una società che, comunque, ha fondamenti maschili ed è per questo che, al loro interno, non solo non accettano maschi, ma nemmeno donne bisessuali; figurarsi poi le etero.
Non va nemmeno dimenticato che, per motivi di educazione, la donna scopre in genere le sue reali tendenze più tardi rispetto all’uomo, e non è raro abbia alle spalle un matrimonio, magari dei figli.
Dopo un’esperienza eterosessuale magari disastrosa, e in cui ha soffocato la sua personalità, sente poi il bisogno di stare sola con altre donne, senza alcuna intromissione “esterna”.
Quest’ultimo aspetto è comune alle donne in generale, le quali avvertono più di altri gruppi umani, e giustamente, il bisogno di ritrovarsi tra sé. Si tratta di elaborazione di sentimenti, di saperi, perché no?, di rassicurazione. Di forza e di identità. Di creare un linguaggio e una simbolica “propri”, e indipendenti da quelli maschili.
C’è però un altro aspetto, che a mio avviso costituisce il punto debole del pensiero (e della sensibilità) lesbica, specialmente separatista. Benché, cioè, intellettualmente possa non fare una piega il loro originario discorso – donna comunque oppressa da una società, e anche da un vocabolario, maschilista (di qui l’insistenza sul termine “lesbica”, usato addirittura come sostantivo, perché è applicabile solo a loro, e gli uomini non possono appropriarsene), esigenza di ricercare valori del tutto nuovi, ecc. – manca a mio parere alle lesbiche quel senso di “cosmopolitismo sessuale/affettivo” di cui invece sono portatori i gay.
So che non sono interessate ad averlo, però poi bisogna fare i conti con questa politica. Ho letto in molti testi lesbo-separatisti la seguente affermazione: “Le femministe eterosessuali hanno un LIMITE: amano il loro oppressore” (cioè l’uomo), di conseguenza, si lasciava intendere, non possono essere considerate a) né vere femministe, b) né compagne affidabili, e c) in qualche modo devono essere “aiutate” a liberarsi di questo “fardello”, di questa “dipendenza” . Magari diventando esse stesse lesbiche?…
C’è chi lo sostiene, e di qui nasce anche la leggenda del lesbismo che, al contrario dell’omosessualità maschile, sarebbe un fenomeno “culturale” (e quindi, riallacciandoci al postulato d’inizio, praticamente… “innaturale” ).
In realtà l’omosessualità è una condizione che alcuni uomini e alcune donne scoprono in sé, si è gay o lesbiche perché… così è avvenuto; cambia solo il modo di affrontarla, pur se è vero che le donne, meno spaventate degli uomini dalla diversità, possono concedersi una storia femminile senza necessariamente essere omosessuali; per i maschi ciò non è del tutto impossibile (viene in mente il legame tra Allen Ginsberg, omosessuale, e Peter Orlovsky, celebre donnaiolo che però, in un certo periodo, s’era innamorato del grande poeta… oppure tra il gay Pasolini e l’etero Davoli, ecc.), ma è certo molto più difficile.
Dicevamo del separatismo e dei presunti “limiti” delle eterosessuali, in verità quelli che vengono interpretati come limiti e tradimenti, o scarsa autostima ecc., sono semplicemente dati di fatto perché, se è vero che l’omosessualità appartiene alla natura, è altrettanto vero che la maggior parte delle persone – e quindi anche delle donne – è eterosessuale, pertanto l’attrazione verso il “nemico” non è un freno o un peso, ma l’altrettanto naturale orientamento di quelle persone.
Il femminismo si può realmente considerare una benedizione del cielo, l’unica rivoluzione veramente riuscita (e, ahimé, ben lungi dall’essere pienamente attuata), che è servita a TUTTI, non solo alle donne: l’apporto lesbico al femminismo si è rivelato indispensabile, specie quando le donne eterosessuali, in periodo di “riflusso”, volevano “tornare a casa”. Si può affermare che, in alcuni periodi storico-sociali, la vitalità del femminismo è stata salvata dalle lesbiche.
Ciò nonostante non sembra accettabile il presupposto per cui una donna sarebbe poco “libera” o scarsamente interessata alle altre donne solo perché attratta da maschi. I crimini di questi ultimi contro le donne lungo i millenni gridano vendetta al cospetto di Dio e sono imperdonabili, ma di qui a dire che i maschi in quanto tali non contano nulla – come asseriscono alcune separatiste – e non bisogna averci a che fare ce ne passa.
Il rovesciamento è un meccanismo tipico delle minoranze oppresse, che consiste nell’assumere gli stessi parametri degli oppressori. Non si tratta, infatti, di imporre i propri gusti (amorosi, politici, culturali…), ma di rispettare in modo equanime quelli di ognun*.
La scorsa estate mi trovavo a Roma assieme a un gruppo di gay cattolici, una donna con 20 uomini, e ci siamo divertitissimi. Il contrario, un uomo fra 20 “lesbiche”, sarebbe stato impensabile, ma, a questo punto, anche una donna etero fra lesbiche. Tutto quanto secondo me è ingiusto.
Nel nostro gruppo femminile si è inserita una ragazza lesbica, graziosa, dolce, coi capelli lunghi e biondi, che, a detta sua, vuole “uscire dal solito giro” e aprirsi agli altri; o meglio, alle altre, cioè alle donne etero. Sì, perché, e me l’ha detto espressamente, “con gli uomini posso avere dei rapporti solo superficiali, e non troppo assidui”.
Daniela Danna nel suo libro “Matrimonio omosessuale” parlava delle tecniche adottate di inseminazione adottate da numerose lesbiche per non avere figli maschi.
Anni fa, in una trasmissione sull’Aids e omosessualità curata dal bravo Giovanni Anversa, Titti De Simone affermò testualmente che del problema dell’Aids, riguardante solo i maschi, a lei non importava nulla.
Tempo dopo, a proposito della clonazione (che lei esaltava), dichiarò che con quest’ultima si sarebbe definitivamente eliminata la partecipazione maschile alla procreazione e che quindi le donne si sarebbero liberate di questa “schiavitù”.