Il bello che ci nutre. Immaginare il cambiamento della chiesa cattolica col metodo sinodale
Riflessioni di Mara Grassi e Antonio de Caro dell’associazione La tenda di Gionata sull’Assemblea nazionale della rete sinodale (Assisi, 22-23 febbraio 2025)
Quello che segue è il resoconto del lavoro fatto ad Assisi nel pomeriggio di sabato 22 marzo 2025, durante l’incontro nazionale della Rete sinodale.
In particolare, Mara e Antonio de La Tenda di Gionata, hanno guidato i lavori di uno dei due gruppi su Visione della sessualità e presenza delle persone LGBT+ nella Chiesa, a cui hanno partecipato persone LGBT+, genitori, educatori, insegnanti, presbiteri e una suora.
Il lavoro ha seguito il metodo sinodale: nessuno ha proposto soluzioni precostituite, ma le proposte sono nate spontaneamente dal racconto delle esperienze delle persone. Crediamo, infatti, che ogni storia umana è un luogo sacro, in cui la divina Ruah si rivela e ci parla.
Ecco perché vogliamo, attraverso le esperienze personali, approdare ad una fede rinnovata da donare alla Chiesa. Da essa ci aspettiamo non più messaggi di pentimento per gli errori che ha commesso in passato, ma un cambiamento reale, perché diventi sempre di più una madre che riconosce la dignità infinita di ciascuna delle sue figlie e ciascuno dei suoi figli e non ne perda nessuno.
Questa speranza sostiene il nostro cammino insieme, il nostro sinodo, verso un cambiamento che in realtà è un ritorno alla fraternità universale annunciata dal Vangelo. Vogliamo essere le discepole e i discepoli che, quando gli esclusi cercano Gesù, o persino quando hanno smesso di farlo, li avvicinano e li invitano alla mensa.
Sinodo vuol dire trasformare l’ordine gerarchico e partire dalla base, non dal vertice della piramide. Di conseguenza, bisogna cambiare il modo di fare teologia ed elaborare il pensiero e l’insegnamento della Chiesa a partire dalle storie e dalle relazioni fra le persone, la cui esperienza è portatrice di competenza esistenziale.
La Chiesa cattolica è chiamata ad ascoltare, ad accogliere, imparando dal popolo di Dio, cui va riconosciuta dignità profetica. Solo così potrà dire “eccomi!” e diventare un luogo che ospita relazioni buone e ha cura delle persone più deboli esposte alla violenza del potere (come sono, per adesso, soprattutto i giovani e le giovani con varianza di genere).
Dalla Chiesa cattolica ci aspettiamo forza pedagogica e protezione, con urgenza tanto maggiore quanto più inquietante è la paura di questo tempo; ci aspettiamo che respinga e condanni, senza ambiguità né esitazione, ogni forma di emarginazione, esclusione e attacco contro tutte le persone e, in particolare, le persone LGBT+, specialmente nei paesi in cui la loro condizione è motivo di arresto, minaccia, tortura e condanna – anche alla pena capitale.
Il vero scandalo è quando la Chiesa viene meno a questo compito, in pieno contrasto con il comandamento dell’amore e con lo spirito delle beatitudini: per esempio quando una persona LGBT+, giovane o no, viene allontanata e privata dei suoi incarichi a servizio della comunità; oppure quando viene indirizzata alle feroci e devastanti “terapie riparative” che, destituite di qualunque fondamento scientifico, si configurano come vere e proprie forme di abuso morale, psicologico e spirituale.
Ci aspettiamo che la Chiesa cattolica abbandoni per sempre ogni espressione, orale o scritta, che offende e umilia la dignità dei fedeli e delle persone LGBT+. Si tratta di un linguaggio e di una mentalità che feriscono e istigano all’odio. Al linguaggio della maledizione va sostituito il linguaggio della benedizione, che vede nella sessualità non un peccato, ma un dono, da accogliere e integrare nell’identità della persona.
E la condizione delle persone LGBT+ non deve più essere considerata né definita intrinsecamente cattiva o disordinata, ma una dimensione che le apre alla costruzione e al dono di sé, anche raggiungendo una piena e sana intimità sessuale. Ciò comporta una revisione della sessualità, che mai va ridotta all’aspetto meramente biologico o genitale, ma va ricondotta alla dignità inviolabile della persona umana.
Il Magistero, superando i condizionamenti culturali non più accettabili, deve cambiare, per non entrare in contraddizione con sé stesso e soprattutto per non maltrattare più le persone.
Un passaggio essenziale è quello della formazione dei sacerdoti, delle suore, dei catechisti, degli educatori cattolici, degli insegnanti di religione: formazione coerente e uniforme nelle diocesi nazionali, che tenga in considerazione le scienze umane, l’esegesi biblica evoluta, una teologia libera da condizionamenti e autoritarismi.
Non accettiamo più che la Chiesa temporeggi, rimandi, si nasconda dietro l’inesistente e opportunistico fantasma dell’ideologia gender e colluda con i movimenti fondamentalisti che, inquietantemente, intendono riportare in vita progetti politici di discriminazione e violenza, incompatibili con il Vangelo.
Il cammino verso l’inclusione deve essere costante, coerente e quotidiano, in una conversazione serena anche con le scienze umane e con la società civile. Solo in questo modo sarà possibile ideare e praticare una pastorale ispirata non a una paternalistica degnazione (la pastorale PER le persone LGBT+) ma a un autentico dialogo con fedeli adulti e maturi (la pastorale CON le persone LGBT+), che vanno accolti definitivamente, come individui, come coppie e come famiglie. L’amore e il progetto di famiglia vanno sempre benedetti e celebrati come un dono di Dio alla comunità.
Vorremmo, infine, conservare nella memoria tre perle di questo bellissimo lavoro insieme. La madre di un figlio in transizione che gli rimane vicina nonostante tutte le resistenze e i rifiuti. Un sacerdote che, malgrado i suoi ottanta anni, si è rivolto a noi con gli occhi pieni di lacrime, dicendoci “mi sento in colpa, vorrei imparare e fare di più per voi”.
Una donna lesbica che, pur deplorando gli errori della Chiesa, con un meraviglioso sorriso ha aggiunto che per lei credere in Gesù significa non disperdere la parte bella, la parte che ci nutre.
Questo meraviglioso, commovente, ostinato amore, malgrado tutte le sofferenze patite anche a causa della Chiesa, è un dono di Dio, è una testimonianza potente, in cui riecheggia la fede della donna siro-fenicia disposta a raccogliere persino le briciole dalla tavola della Grazia.
Auspichiamo che, terminato il percorso sinodale, lo stile sinodale rimanga come stile della Chiesa per proseguire il dialogo e la co-costruzione di comunità nuove. È quello che abbiamo vissuto nella convivialità e nell’Eucarestia di Assisi, in cui l’accoglienza reciproca è stata gratitudine per il dono che ciascun* è e invito a esserlo sempre e ancora per tutte e tutti, con la forza del Risorto.