Tu chiamala se vuoi lobby Gay
Riflessioni di Gianni Geraci, Portavoce Gruppo del Guado di Milano
Le indiscrezioni su quanto papa Francesco avrebbe confidato lo scorso 6 giugno ai religiosi latinoamericani che aveva ricevuto in udienza hanno riportato al centro dell’attenzione mediatica la misteriosa “lobby gay” che sembra essere una delle tante cordate che, secondo le indiscrezioni che circolano in merito alla relazione consegnata a Benedetto XVI dalla commissione, composta dai cardinali Herranz, De Giorgi e Tomko, da lui incaricata di fare chiarezza sulle fughe di notizie che c’erano state durante lo scorso anno.
Il fatto che ci possano essere ecclesiastici che, non solo hanno tendenze omosessuali, ma che hanno dei rapporti e delle relazioni omosessuali, non può meravigliare più di tanto chi ha letto le acute analisi che lo psicologo e teologo tedesco Eugen Drewermann aveva dedicato alla condizione clericale all’interno della Chiesa cattolica (cfr. Eugen Drewermann, Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale, Raetia, Bolzano, 1995).
In quel libro Drewermann dimostra come, dietro a molte vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa ci sia una vera e propria “seduzione” che ha nell’omosessualità non ancora accettata del giovane candidato uno dei suoi punti di forza.
Non deve meravigliare nemmeno il fatto che questi ecclesiastici omosessuali cerchino di compensare le frustrazioni legate a una scelta vocazionale che si era basata su un equivoco, cercando di fare carriera all’interno della chiesa e che tendano a preferire agli incarichi pastorali, (che, coinvolgendo completamente la persona, condizionano fortemente la sua vita privata), gli incarichi di Curia (che, da un punto di vista pratico, assomigliano molto a un normale lavoro).
Alla luce di queste premesse una presenza di prelati omosessuali all’interno della Curia romana è qualche cosa di perfettamente fisiologico.
Il problema, semmai, non è l’omosessualità di questi prelati, ma l’ipocrisia con cui sono costretti a viverla.
Un’ipocrisia che li rende ricattabili e che li porta, per forza di cose, a costituire un vero e proprio sodalizio basato sull’ipocrisia e sul ricatto. E in una struttura di potere come i vertici della Santa Sede qualunque sodalizio si trasforma il lobby, come dimostrano altre indiscrezioni di alcuni organi di stampa che non parlano solo di una “lobby gay”, ma che parlano anche, tanto per fare un esempio, di lobby dei salesiani, di lobby dell’Opus Dei, di lobby dei prelati lombardi e chi più ne ha più ne metta.
In realtà, se ci si pensa bene, lo stesso nome di “lobby gay” è fuorviante, non solo perché da questo sodalizio sono senz’altro esclusi i tanti prelati gay che cercano di vivere con impegno la loro promessa di celibato, ma anche perché il modo in cui viene vissuta l’omosessualità al suo interno non ha niente a che fare nè con il movimento gay, nè tanto meno con le tante esperienze degli omosessuali credenti.
Sarebbe piuttosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che approfittano del loro status di ecclesiastici per vivere incontri e relazioni senza destare nessun sospetto.
Sarbbe piottosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che in pubblico esaltano una continenza che, in realtà, non ricercano nella loro vita e che, sempre in pubblico, parlano con disprezzo di uno “stile di vita omosessuale” che è poi quello che cercano di vivere quando sono lontani dai riflettori.
Sarebbe piuttosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che sono perennemente in bilico tra i monasteri dove ostentano la loro devozione e le saune dove ostentano altro.
Il problema non è quindi quello di eliminare gli omosessuali dalla Curia romana, ma è quello di fare finalmente pulizia e di mettere gli ipocriti che si muovono all’ombra del cupolone di fronte alla responsabilità di chi dice di lavorare per il Vangelo senza però preoccuparsi di seguirlo nemmeno quando il Vangelo è così esplicito da non lasciare nessun dubbio.
Perchè, se è vero che Gesù, nel Vangelo, non ha mai parlato di omosessualità, è anche vero che Gesù, nel Vangelo, ha parlato molte volte di ipocrisia e l’ha sempre condannata con severità.
Questo significa che chi è omosessuale, se davvero vuole seguirlo, deve fare innanzitutto i conti e superare l’ipocrisia con cui rischia di vivere il proprio orientamento sessuale.
Un’ipocrisia tanto maggiore quanto più l’ambiente in cui si opera nega in maniera decisa qualunque comprensione e qualunque concessione alle esigenze di chi è omosessuale. Ben venga quindi una riforma della Curia romana che, spazzando via tutte le ipocrisia, spazzi via anche l’ipocrisia della lobby gay, noi omosessuali cristiani siami i primi ad aspettarla, perché sappiamo che la paura con cui i vertici della chiesa guardano alla crescente visibilità degli omosessuali non è altro che uno dei frutti avvelenati di una concezione della condizoine ecclesiastica dominata dall’ipocrisia di chi ha sempre ripetuto: «Nisi caste, saltem caute» (se non riesci a vivere castamente, almeno cerca di tenere nascosto questo tuo problema).