Famiglie con figli LGBT+: da porti sicuri a cantieri navali per costruire il futuro
Testimonianza di Lucia una madre cristiana con un figlio transgender del Gruppo Vite Nuove
Mentre scrivo, a Piazza del Popolo a Roma si sta svolgendo una manifestazione per sostenere l’unità dell’Europa. Certo non tutti i presenti condividono le stesse prospettive e le stesse modalità di intervento. Sarebbe ingenuo pensarlo. Li unisce piuttosto un timore ed un sogno.
In queste settimane ho seguito con interesse come la proposta del giornalista Michele Serra, nata da un appello su un blog e poi rilanciata su Repubblica, abbia preso corpo, giorno dopo giorno. Egli stesso è rimasto stupito dalla quantità di adesioni e in un’intervista ha detto che non è nel suo stile essere un capo popolo, ma di aver sentito la responsabilità di non tirarsi indietro.
Negli stessi giorni ho avuto modo di riflettere su quanto avevo appreso e vissuto in un evento formativo ed informativo organizzato, dal 28 febbraio al 2 marzo, a Padova, da gruppi di persone LGBTQ+ e genitori. In particolare mi sono interrogata sull’intervento della professoressa Pilar Escotorin Soza. Esperta in sociologia della comunicazione e gestione dei conflitti, la docente ha presentato tecniche di comunicazione proattiva ed assertiva, da imparare ad utilizzare nel dialogo con chi nega o rifiuta la condizione LGBTQ+.
Se sento ancora di definire perla preziosa e voce profetica ciò che è stato condiviso a Padova, più forti e più profondi risuonano in me timori ed urgenze pensando a miə figliə e alle altre persone transgender nel nostro paese, ma non solo.
Nell’ attuale panorama politico e sociale, quanto tempo ci resta per cambiare il paradigma? Gli strumenti comunicativi ispirati all’ assertività e alla prosocialita’ saranno adeguati a dialogare con chi si sente minacciato dalla cosiddetta cultura woke?
Non parlo di chi vede un complotto delle lobby LGBTQ+, ma di chi, in un momento tanto incerto, chiede sicurezze e certezze a cui aggrapparsi. Come dare loro torto? Come non comprendere un legittimo bisogno di chiarezza e conferma ?
D’ altra parte la storia mi insegna che dalla paura nasce controllo e dal controllo esclusione, necessità di capri espiatori da sacrificare per il bene dei molti.
Tre settimane fa ad Assisi si era svolta l’ assemblea delle associazioni laicali per offrire un contributo al Sinodo italiano . Sempre ad Assisi, nelle stesse ore, un gruppo di Educatori senza frontiere ( ESF) e miə figliə con loro, hanno drammatizzato, nelle piazze, la lettura del racconto di un naufragio di migranti in Grecia. Sono stati zittiti da canti fascisti e messi in guardia….
Nel Ventennio gli omosessuali erano perseguitati, non per questioni morali, ma perché le loro unioni non erano generative e la patria aveva bisogno di soldati da formare.
Di trans gender nemmeno si parlava, semplicemente non esistevano. Chi si trovava a vivere questa condizione soffocava ogni espressione, chi riusciva sublimava, altri vivevano i loro affetti in clandestinità.
Oggi i nostri figli camminano per le strade, studiano, lavorano, educano, con il loro aspetto androgino, con i loro volti che non corrispondono ai corpi, con i loro abiti che li fanno stare bene. Oggi i nostri figli queer ci dicono che la realtà è sfumata e variopinta, che ogni realtà non è solo binaria, giusto e sbagliato, dentro e fuori.
Oggi questo, ma domani? Questa prospettiva aperta è molto minacciosa per chi ha bisogno di assiomi e principi insindacabili.
La professoressa Escoterin ha raccontato di aver organizzato una messa Lgbtq+ nella Sagrada Familia, nell’apertissima Spagna, ma di aver tenuto per l’ incolumità delle persone trans, mentre per le persone omoaffettive non ci sarebbero stati problemi.
Cosa unisce un evento come la manifestazione a Roma con l’invito al dialogo assertivo ?
Io credo che ad unire queste due espressioni ci siamo proprio noi che abbiamo intuito di essere “genitori fortunati” perchè la vita ci ha portati a camminare su terreni scivolosi ed inediti. Il dono che abbiamo ricevuto e che condividiamo può e deve essere speso nel rispondere all’appello del presente.
In primo luogo ogni famiglia potrebbe diventare un porto in cui ə nostrə figlə possano attraccare la barca sbattuta dalle onde della tempesta interiore, raccogliere e rimettere assieme i relitti dopo i naufragi, esercitarsi quando nel mare aperto non sono ancora pronti a nuotare.
Immagino però le nostre case anche come un paese sicuro e un cantiere navale in cui ə nostə figlə possano studiare nuove carte nautiche, confrontarsi con naviganti fidati percorrere rotte efficaci di attivismo ed impegno civile,
I genitori poi sono narratori di storie, aedi di vissuti, poeti dell’ esperienza. I genitori sono quelli che non possono fare a meno di condividere e scambiarsi racconti sui loro pargoli. Lo abbiamo fatto al parchetto davanti all’asilo quando andavamo a prendere i nostri bimbi, lo abbiamo fatto in parrocchia o davanti alla scuola. Ora lo facciamo tra noi, nei gruppi genitori che abbiamo scelto. Lo possiamo fare però anche con gruppi genitori non uniti dalla fede, con colleghi e amici, con le persone con cui stiamo facendo percorsi di impegno civile. Cominciamo da chi non è di noi, ma non è contro di noi.
Scendiamo in piazza, e il giubileo del 6 settembre è un’occasione prossima, in modo ordinato, pacifico, costruttivo. Sono molti gli spazi e i modi di esserci ed essere visibili che la nostra creatività potrà suggerire; condividiamoli, osiamo fare proposte. Sentiamo la responsabilità di non tirarci indietro.
Noi genitori allora potremo avere un ruolo decisivo perché la fede ci ha aiutato a capire che solo l’ amore può essere la risposta.
Un amore che si fa pensiero e azione, dialogo e voce nel deserto. Gratuitamente ci è stato dato, gratuitamente siamo chiamati a dare.