Sono un Angelo gay con le ali spezzate
Testimonianza di Angelo tratta dal sito de il cassero di Bologna
Salve sono Angelo, un Angelo con le ali spezzate, caduto in volo sulla Terra. Un Angelo gay, un prisma con varie sfaccettature, sono uno, nessuno e centomila, ho diverse identità. La mia identità “gay” è iniziata all’una e trenta del 14 ottobre 1996 (Lourd Maria Ciccone Leon in quel momento ha visto la luce della vita).
Mi trovavo in macchina con il mio amico Maurizio, ricordo che mentre osservavo lo scoccare dell’orologio sul cruscotto gli dissi di essere gay. L’avevo capito solo allora, mi ero innamorato di un ragazzo, Costanzo. Maurizio mi tranquillizzò dicendomi che era una cosa bellissima quella che gli stavo confidando e così piano piano, grazie alle sue parole, acquistai coscienza di quello che ero e decisi che dovevo parlare con Costanzo.
Ma lui era partito lasciando una lettera di addio per tutta la comitiva. Quella lettera la conservo io, ogni tanto la rileggo soffermandomi su quello che mi ha scritto: “Ciao Angelo, reincarnazione della spontaneità, che mi hai fatto liberare da quei tabù che mi stavo costruendo intorno”.Era il ragazzo più corteggiato della comitiva e tutte le ragazze mi attaccarono con la loro indelicata ironia. Scherzavano dicendomi che avevano immaginato me a Stranamore seduto sul divano affianco a Castagna che gridavo: “Costanzo… Costanzo!” (All I need is love… papparapapa). Cosi ho incominciato a domandarmi cosa significava per la mia vita prendere coscienza della mia omosessualità. Gli amici di sempre erano etero ed io avvertivo la necessità di confrontarmi con i miei simili. Sono passati quasi 5 anni da quella sera e i gay che fino ad oggi ho conosciuto non sempre mi hanno aiutato.
In questi anni sono stato ad osservare in disparte da spettatore o da protagonista il mondo che ci gira intorno, nei locali gay dove tanti occhi vagano alla ricerca di un sorriso o si nascondono dietro ad una birra o ad un giornale in attesa che qualcuno si avvicini o del coraggio di avvicinarsi a qualcuno.
Ho visto tante anime solitarie chiuse nel proprio mondo, ma desiderose di perdersi in un intimo affetto che manca nella vita di tutti i giorni. Ho incontrato i miei simili nei luoghi comuni, il teatro, la palestra, il bar sotto casa o altrove, incrociandone gli sguardi sorridenti o i volti impassibili da perfetti sconosciuti. Ho visto mentire a se stessi di essere gay e frequentare fittiziamente la quotidianità eterosessuale e sentirsi comunque un pesce fuor d’acqua.
Ho sentito i discorsi e le battute contro gli omosessuali “sono solo dei rottinculo che allungano facilmente le mani sui genitali, devono essere tutti massacrati”, senza avere il coraggio di controbattere e difenderli. Ho visto nascondersi nella religione, pregare o predicare da perfetto credente e poi desiderare di nascosto un contatto fisico con persone dello stesso sesso, pentirsene, punirsi, confessarsi e poi ricadere costantemente nel peccato. Che tristezza criticare lo stile di vita gay… che tristezza la vita… che tristezza essere così pessimisti.
Ho solo 27 anni e dovrò ancora farne di strada, capire tante cose, mettere sempre in discussione tutti i miei dubbi, come tutte le mie certezze, ma ho finalmente capito anch’io che la vita non è altro che un percorso di conoscenza della propria anima, che ognuno compie per elevarsi spiritualmente ed essere pronto a vivere la propria esistenza ultraterrena (non importa sapere se esiste il Paradiso, l’Inferno, il Nirvana o cos’altro). Ho capito che ci sono IO e sono vivo. Non ho più paura di sbagliare, di fare del male a qualcuno, di pentirmi o esserne fiero. Non ho più paura di Amare.
Non ho più paura di niente e di nessuno, neanche di me stesso. Guardo il passato con serenità ed incomincio a proiettarmi nel futuro senza preoccuparmi che sarà o non sarà roseo.
Tre anni fa mi sono innamorato e fidanzato con un ragazzo gay, che nella vita reale si chiama Luca, ma nel mondo omosessuale si faceva chiamare Patrizio. Si illudeva che nessuno, neanche i gay del suo paesino, sapessero chi fossero i suoi genitori, poiché tutta la sua famiglia lavorava di notte nel mercato e lui se ne vergognava.
Di lui voglio solo dire che in tre anni che siamo stati insieme la mia vita ha raggiunto il fondo “più giù di così non si può andare” (P. Levi)… la sindrome di Stoccolma… la vittima che si innamora del suo aguzzino. Ora che è finita, ho trascinato a Bologna quel che è rimasto della mia vita. Cerco di rimettere ordine, anche se non è facile. Adesso iniziano i veri problemi.
Sono andato via definitivamente da casa, nel giro di tre giorni ho fatto le valigie e sono “scappato” da una famiglia bigotta e ipocrita. Casa mia sembrava un convento, solo per un breve periodo adolescenziale ero riuscito a trasformare una parte della mia stanza in un tempio dei poster più trasgressivi di Madonna.
Madonna, per me fino ad oggi l’unico punto di riferimento, con le sue canzoni mi ha insegnato più cose della vita che i discorsi di mia madre. Mia madre…. Mia madre ha scoperto che ero un Angelo “frocio” a causa di Luca. Una sera mi aspettò nella stanza da pranzo dicendomi che se ero gay (cosa per lei impossibile), bisognava solo che diventassi un prete, il mio amore per un altro uomo dovevo riversarlo su Gesù.
Poi, dopo infinite ed inutili lacrime, siamo andati assieme da un sessuologo, con la speranza che potessi guarire da questa “malattia” grazie alle parole di un dottore! So che non mi accetterà mai a causa della sua finta devozione religiosa e sostiene che se mio padre lo scoprisse morirebbe dal dolore. Ma non sa che con mio padre ho un rapporto unico. Papà mi trovò un pomeriggio chiuso in camera con Luca, mentre noi nudi dietro la porta a vetri ci vestivamo in gran fretta.
Ma non mi ha mai detto “Le schifezze le fai fuori da questa casa”, anzi mi prenotava il viaggio per le vacanze col mio ragazzo, anche se per lui rimaneva un “amico”. Ora che mi sono trasferito a Bologna non mi fa pesare niente, anzi mi dà calma e sicurezza, dicendomi “per ogni tuo piccolo o grande problema c’è papà tuo”.
Lui è un grande. E’ da mio padre che traggo la forza di andare sempre avanti e non aver paura di vivere, è invalido, ma per me è un Supereroe. Non so se faccio bene a tacere della mia omosessualità con lui. Il nostro rapporto di sincerità e lealtà reciproca si solidificherebbe sempre di più. E… se morisse improvvisamente io ne soffrirei tanto, perché avrei il rimorso di non esser stato definitivamente vero e sincero con lui.
Il mio papà mi ha insegnato prima di tutto a rispettare solo chi mi rispetta. Ancora oggi qualcuno mi domanda “Ma sei gay?”. Ma cosa vuol dire essere gay? Come se per essere gay dovessi essere effeminato, o parlare di cazzi o fare del sesso occasionale tutto il tempo? Essere tutto fashion e public relation, imitando gli stili dei diversi creatori di moda o delle varie star o crearne uno mio?
Condurre una vita da finto etero, per poi di nascosto dai propri familiari (madri, padri, sorelle, mogli, mariti, figli) frequentare la vita sociale gay per cercare un uomo? Perdere la testa per un etero, che già sai in partenza che è una battaglia persa, ma illudermi che con me possa finalmente accettarsi… o sperare che si abbassi solo i pantaloni?
Crearmi una nuova famiglia grazie ai tanti amici gay, alcuni leali e sinceri, altri anche infami e traditori? Rifiutare il proprio corpo maschile per sentirmi liberamente donna, travestendomi od operandomi? O non saper fare altro che sentirmi solo ed inutile? Io sono un Angelo, mi dispero, ma alla fine sorrido sempre alla vita che scorre costantemente. La bellezza di essere gay è proprio questa, siamo autoironici, sappiamo farci una risata e dire a noi stessi “Che bello vivere… che bello essere diversi”.
Siamo un’élite della società perché noi capiamo tutti, uomini e donne, ma pochi sono intelligenti per poterci capire. Gli etero hanno paura dell’omosessualità perché hanno paura di scoprire se stessi. Finché sarò un Angelo senza ali non avrò nessuna pretesa per il futuro dell’umanità, ma non nascondo che il mio sogno è poter ufficializzare la mia unione con un altro uomo. Magari con quel moretto che vedo ogni sera al Cassero o forse proprio con te che mi stai leggendo.
Che bello se un giorno potessi indossare un vestito elegante per il giorno del mio fatidico “Sì”, prenotare le liste di nozze, organizzare un ricevimento con familiari e amici e magari anche tagliare una torta nuziale con due sposi in tait nero di zucchero e liquerizia. Ma ancor più bello sarebbe passare delle normalissime feste di Natale assieme ai miei genitori, ai miei familiari, ai miei nipoti, ai miei amici e a mio marito.
Questa è la mia vita, questi sono i miei sogni, questo è l’inizio del mio coming-out. Non l’ho ancora terminato, ma posso dire a voi che avete paura di iniziare ad accettare voi stessi che anche se potreste impiegarci un attimo o un’eternità, l’importante è cominciare a farlo.
E se non ce la fate, qui nessuno vi giudica. Io vi chiedo solamente di cercare di non combattere contro voi stessi, perché così si pecca con la vita stessa. Abbiamo bisogno l’un l’altro di confrontarci per “superare quegli ostacoli che la vita non ci insegna” (Tiromancino).
Ho bisogno di cercarvi e di essere cercato, fino a quando qualcuno non mi ricuce le ali della “libertà”, permettendomi di ricominciare a volare.