Seguire Cristo e sfilare al Pride ciascuno con la propria natura
Riflessione biblica di padre John D. Whitney, S. J. tratto dal bollettino della parrocchia di St. Joseph di Seattle (Stati Uniti), del giugno 2013, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
“Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo.” (Atti degli Apostoli, 10:28).
Quando entra nella casa del centurione romano Cornelio, san Pietro non ha un’idea chiara di cosa Dio voglia da lui. Certamente è consapevole del sogno che ha fatto, quello in cui Dio sembra aver abolito le restrizioni alimentari associate alla Legge giudaica; ma cosa devono farsene Cornelio e la sua famiglia di questo sogno?
Solo progressivamente lo Spirito rivela a Pietro, quale capo della Chiesa, che Dio ha già cambiato il mondo e che lui è ora chiamato a dare testimonianza della sua azione accogliendo i Gentili, così come sono, nella piena comunione della Chiesa.
Non è chiamato a creare questa comunione (infatti, prima che Pietro possa battezzare Cornelio o i suoi famigliari, Dio deve mandare lo Spirito Santo su di essi, facendo del battesimo la risposta e non la fonte della grazia di Dio); il ruolo di Pietro è quello di testimone del circolo d’amore che si allarga sempre di più e la cui vera origine è la vita, la morte e la resurrezione di Gesù, e il cui segno è il potere dello Spirito Santo.
Il capo degli apostoli è chiamato a testimoniare che la grazia di Dio è più grande di quanto i membri della Chiesa possano sperare o immaginare e che la loro comprensione della Chiesa deve continuare a svilupparsi, in quanto il mistero dell’amore redentore di Dio continua ad essere rivelato in tutta la natura e in ogni cultura.
Ciò che sorprende Pietro, che costituirà il punto di partenza per Paolo e che continua ancora oggi a costituire una sfida per la Chiesa è la vastità della misericordia di Dio, una misericordia che nega il concetto che tutto ciò che è umano può dirsi profano; una misericordia che comprende ogni cuore umano, ogni aspetto della natura umana.
Il concetto che l’intera natura è redenta dall’Incarnazione di Dio in Cristo è la fonte della missione evangelica della Chiesa e il nucleo del sentimento cristiano di Legge Naturale. Se lo Spirito di Dio ha fatto sante tutte le cose – l’intero ordine naturale – allora tutti sono chiamati alla salvezza secondo la loro natura; ed è compito della Chiesa far conoscere a ogni persona l’eredità che tutti condividiamo.
In altre parole, in quanto cristiani siamo sia gli eredi della grazia di Dio sia gli esecutori della sua volontà; ovvero, veniamo scelti nell’amore e chiamati attraverso l’amore per dire agli altri che anche loro sono scelti e amati, non perché possono diventare come noi ma perché sono già come Dio. Anche se, attraverso l’evangelo, noi predichiamo il pentimento, non predichiamo però la rinuncia alla nostra natura ma l’accettazione e l’affermazione del sé più autentico di ogni persona: la nostra natura è la grazia di Dio in noi e il peccato è la sua negazione. O, come scrive sant’Ireneo, “La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio.”
Il 30 giugno Seattle ospiterà la sfilata del Gay Pride, un’affermazione del valore e dei diritti di donne e uomini omosessuali. Come molte altre sfilate, negli Stati Uniti e nel mondo, quella di Seattle è sorta come mezzo per esprimere, da parte di membri della comunità gay ed etero, il proprio disagio nell’accettare la subordinazione e l’oppressione delle persone omosessuali.
Dopo secoli in cui l’omosessualità era vista come un fallimento morale e gli omosessuali affrontavano l’arresto, la prigionia e persino la morte (infatti il termine offensivo “faggot” [frocio] deriva dal fenomeno storico per cui gli omosessuali venivano bruciati come cataste di legna, come punizione per il loro modo di essere), tali sfilate sono diventate un mezzo attraverso il quale può essere confermata la dignità degli omosessuali.
L’anno scorso, per la prima volta, dei membri della parrocchia di St. Joseph hanno marciato al Pride per affermare la nostra solidarietà e il nostro rispetto per le sorelle e i fratelli omosessuali. Come Pietro che entra nella casa di Cornelio, questo è un atto che sarebbe considerato irregolare e scandaloso da coloro che considerano i membri della comunità omosessuale profani o immondi; eppure per me, e penso per gli altri che hanno scelto di essere presenti alla marcia, è stato un momento di grazia nel quale abbiamo potuto testimoniare il potere dello Spirito Santo che si muove nella comunità omosessuale, così spesso alienata dalla Chiesa di Cristo.
C’era il peccato al Pride, come dice qualcuno che non lo approva? Certo che c’era. Devo ancora vederla una strada dove non c’è il peccato, anche quando cammino da solo. Ma dove il peccato abbonda, la grazia sovrabbonda (Romani 5:20). La gente esultava nel vedere lo striscione della parrocchia di St. Joseph e molti si sono fatti avanti, alcuni con le lacrime agli occhi, e ci hanno parlato del loro desiderio di sentirsi accolti di nuovo nella Chiesa, nella fede cattolica della loro infanzia, del loro cuore.
Alcuni di loro in seguito sono divenuti parte della nostra comunità e hanno finalmente trovato il senso di Chiesa che cercavano – riunirsi attorno all’altare non solo con chi condivide la nostra natura o il nostro carattere, ma con gente di tutti i tipi e di tutte le opinioni, tutti noi peccatori, tutti noi salvati dalla stessa grazia radicata nella nostra natura e redenti dal sacrificio di Cristo.
Quest’anno mi recherò ancora al Pride e sosterrò anche la presenza della nostra parrocchia. Non lo faccio in opposizione a qualcuno, bensì per sostenere le sorelle e i fratelli della nostra comunità che cercano di vivere fedelmente nella maniera in cui Dio li ha fatti e lo Spirito li ha chiamati.
Sosterrò le madri e i padri, le sorelle e i fratelli, gli amici e i partner delle nostre parrocchiane lesbiche e dei nostri parrocchiani gay, che sono orgogliosi delle loro figlie e dei loro figli e che desiderano sentire che sono amati e accolti alla mensa di Cristo e nel corpo della Chiesa.
Voglio evangelizzare e portare testimonianza, attraverso la mia presenza e, se necessario, le mie parole, che la Chiesa Cattolica, fondata da Cristo, non è un luogo di odio e rifiuto, bensì una comunione di peccatori amati e chiamati in umiltà a crescere e imparare attraverso la grazia dello Spirito Santo.
Andrò alla sfilata perché voglio entrare nella casa di Cornelio, dove ho già visto i segni dello Spirito; perché voglio che coloro nella cui autentica natura c’è la benedizione di Dio sappiano che Cristo li desidera con compassione e amore e chiede loro non di nascondersi o rifiutare la loro naturale identità, ma di vedere in quella identità un modo per ritornare a Dio.
Testo originale (PDF): Why Am I In The Parade?