Morire perché gay, nuovi appelli contro l’omocausto in Iran
Due ragazzi di 18 e 19 anni sono stati arrestati in Iran il 23 gennaio 2007 perché si amavano. Sono stati accusati di “Mohareb”, ovvero di essere "nemici di allah", e di "lavat" (sodomia), pene per la quali e' prevista la condanna a morte. Intanto dal Regno Unito giungono notizie poco confortanti anche per la rifugiata lesbica Pegah Emambakhsh visto che la corte d'appello a cui ha chiesto asilo politico sarebbe intenzionata a rimpatria in Iran, condannandola così al boia. Intanto è partita una nuova petizione internazionale per mettere fine a questo omocausto in Iran. Ma basterà?
Si chiamano Hamzeh Chavi e Loghman Hamzehpour e sono una giovanissima coppia gay iraniana (18 e 19 anni); entrambi sono stati arrestati mercoledì scorso, il 23 gennaio, a Sardasht, nell'Azerbaijan iraniano.
A darne notizia il giornalista, vice-direttore di AKI – ADN Kronos Internatonal, Ahmad Rafat, membro del Gruppo EveryOne. "Le autorità usano metodi di tortura fisica e psicologica per ottenere le confessioni delle persone che cadono nelle loro mani, e i due giovani hanno ammesso di amarsi, di avere una relazione sentimentale" raccontano Rafat e i leader di EveryOne.
La loro confessione dei due adolescenti è bastata perché il tribunale islamico li rinviasse a giudizio con due accuse gravissime: Mohareb, il reato di chi è "nemico di Allah" e "lavat", sodomia. Il codice penale iraniano prevede la forca per gli omosessuali, che sono considerati "nemici di Allah".
Appena del 5 dicembre scorso è il barbaro assassinio del ventunenne Makwan Moloudzadeh, accusato di "lavat", avvenuto nella prigione di Kermanshah sotto l'incredulità e lo sdegno internazionale, proprio mentre EveryOne portava avanti la "campagna per la vita in Iran" e il giovane diveniva un simbolo mondiale del martirio di tanti innocenti, vittime di un regime spietato.
Ma le sorti non sono migliori per Pegah Emambakhsh, la lesbica iraniana rifugiatasi a Sheffield, nel Regno Unito, dove le è stato negato l'asilo come rifugiata, salita alla ribalta della cronaca. Pegah, a seguito di una campagna internazionale condotta dal Gruppo EveryOne con la collaborazione di organizzazioni e associazioni per i diritti umani e civili, ha potuto evitare la deportazione in Iran (dove l'attenderebbe la pena di morte), presentando istanza alla Corte d'Appello britannica.
ll Gruppo EveryOne ha ricevuto notizie poco confortanti dal Regno Unito, dove la stessa Corte è orientata a non concedere asilo all'iraniana, in spregio a tutte le Convenzioni internazionali. "Pegah è annientata dall'atteggiamento del governo inglese e ci ha comunicato di essere stanca di lottare, di non voler più apparire sulle pagine dei giornali" spiegano i leader di EveryOne. "Dobbiamo rispettare la volontà di Pegah, ma dobbiamo essere pronti a dire no al governo del Regno Unito, che ha abbandonato la via del rispetto dei diritti delle donne, degli omosessuali, dei rifugiati. Dobbiamo essere pronti" concludono gli attivisti "a sollevare un coro di proteste, in tutto il mondo, per fermare la mano del boia e dei suoi complici".
Il Gruppo EveryOne ha avviato una nuova petizione internazionale sui due casi, per i quali sono stati interpellati anche l'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU Louise Arbour, l'Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
EveryOne chiede a tutti i sottoscrittori di inviare e-mail e fax di protesta alle ambasciate iraniane, in Italia e a all'estero, nonché al governo britannico (per gridare no alla criminale deportazione di Pegah e di tanti altri profughi innocenti) e al regime iraniano di Amadhinejad.
Per maggiori informazioni sulla peizione visitare il sito www.everyonegroup.com o scrivere a info@everyonegroup.com