Una professoressa accompagna gli adolescenti gay nel loro cammino
Articolo di Lionel Labosse pubblicato sul sito Altersexualité (Francia) il 14 luglio 2010, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Élisabeth Thorens-Gaud è eterosessuale, madre di famiglia, professoressa nella Svizzera romanda, e nulla le faceva prevedere di interessarsi all’altersessualità. Qualcosa le è scattato dentro soprattutto in seguito al coming out di una delle sue allieve, di cui ha constatato l’angoscia.
Di fronte alla mancanza di informazioni negli istituti scolastici ha concepito il progetto di scrivere un saggio sull’argomento, e per questo ha potuto beneficiare di un congedo pagato di qualche mese.
Si tratta, mi ha spiegato, di una misura governativa che mira a far fronte alla stagnazione degli stipendi degli insegnanti. Questa sovvenzione non è stata vana, poiché ne è uscita un’opera notevole, un’inchiesta degna del Candido di Voltaire in Svizzera, Francia, Canada, Stati Uniti fino in Messico (l’intervista con Marina Castaneda).
Il risultato è questo libro molto pragmatico, che farà del bene alle persone coinvolte (figli altersessuali e famiglie, insegnanti in cerca di informazioni). Il punto di vista, aprioristicamente neutro, è interessante, poiché l’autrice mette da parte ogni rivendicazione da militante e scarta arditamente le bucce di banana che cospargevano la strada percorsa prima di lei (la colpevolizzazione dei genitori, la psicologizzazione della questione, la vana ricerca delle cause dell’omosessualità [p. 125]).
L’autrice cede la parola ai giovani e alle famiglie, assieme a qualche specialista, e persegue con modestia la sua riflessione in questo libro ben costruito e ben scritto, con in sovrappiù un sapore vaudois che fa capolino tra le righe. Parallelamente all’uscita del libro, Élisabeth Thorens-Gaud ha creato l’associazione Mosaïc info ( http://www.mosaic-info.ch/ ) nella Svizzera romanda, e il meritato successo della sua opera sembra avere convinto le autorità scolastiche locali ad agire in proposito; l’autrice beneficerà l’anno prossimo di un ulteriore congedo per consacrarsi a questa attività.
Tutto questo ce lo sogniamo in Francia: quindici anni di militanza e ancora non c’è nessun consigliere al Ministero o nei rettorati che trattino questi argomenti. Questo tuttavia eviterebbe che i ministri proferiscano sciocchezze del tipo “È prematuro parlare di omosessualità prima del liceo”!
La prefazione di Bernard Pulver, direttore della Pubblica istruzione del cantone di Berna, dà il tono con questa bella frase: “Eccoci precisamente al cuore della difficoltà: l’altro non è prevedibile, non è completamente accessibile, e può quindi farmi paura”. Poi comincia uno studio di vari casi, come quella famosa allieva che l’autrice ha avuto l’occasione di assistere, cosa che le ha fatto constatare l’assenza di informazioni disponibili, soprattutto di libri sull’argomento nella biblioteca del liceo.
L’autrice colma questa lacuna analizzando le testimonianze di alcuni giovani, incrociandole con quelle dei loro genitori, senza censurare le domande problematiche come quella di François: “Ho un lato femminile, da ragazza, ecco, può darsi che sono nato con un qualcosa che non è normale” (p. 27), che mostra come la frase di Bernard Pulver si può applicare anche alla propria interiorità.
I giovani parlano dei loro genitori, ma anche dei loro professori, mostrando di essere in ricerca di un riconoscimento da parte loro: “Tuttavia un professore lo sa quando uno studente è tutto solo e non ha amici nella classe” (p. 34). Scopriamo che esistono ancora dei casi di rifiuto violento da parte dei genitori: “Una sera [mio padre] mi ha afferrato per le spalle, ha fatto finta di strangolarmi e mi ha detto: ‘Ti avverto, se sei omosessuale, prima uccido te e poi mi uccido io!’” (p. 37).
Se l’autrice non fa sue le rivendicazioni alla moda (matrimonio, adozione…), il suo pragmatismo la porta a essere molto audace su certe cose, come quando chiede la creazione di luoghi di socializzazione negli istituti, o quando incoraggia i colleghi a rendersi conto dell’eterosessismo spesso inconscio dei loro discorsi (p. 42). Propone per esempio ai prof di “preferire il termine neutro ‘partner’ a ‘ragazza-ragazzo’”.
Ancor meglio, rilancia la richiesta dei giovani che ha incontrato “di incoraggiare i professori gay e le professoresse lesbiche a fare il loro coming out perché gli studenti coinvolti possano identificarsi con dei modelli positivi” (p. 45). Nel contesto attuale, trovo che ci vogliano le palle per fare una tale proposta, ma dato che è una donna etero a farla… forza, ragazze!
L’autrice compie un giro dei Paesi francofoni per constatare cosa c’è e cosa non c’è, con una incursione negli Stati Uniti. Per quanto riguarda la Svizzera, viene reso omaggio al giovane precursore Stéphane Riethauser, autore di “À visage découvert” [A viso scoperto] e fondatore di Lambda éducation ( http://www.lambda-education.ch/ ). In certe scuole, in Canada e negli Stati Uniti, esistono delle “reti di alleati” che permettono ai giovani che si interrogano di socializzare e che si appoggiano proprio sui prof che hanno fatto coming out. In Francia siamo ben lungi da questo, ecco quindi l’utilità del libro che ci spinge ad essere realisti, vale a dire a rivendicare l’impossibile!
Il contributo più originale dell’opera è senza dubbio la scala delle reazioni dei genitori di fronte al coming out di un figlio, in otto tappe, dai segni all’impegno passando per lo shock e il “coming out dei genitori”.
Da leggere e far leggere agli adolescenti prima di consigliare loro, per diritto e per rovescio, di fare coming out come se fosse un bagno caldo! Vedi per esempio p. 117, con il figlio che lo annuncia di punto in bianco, o peggio: “Alla vista di mio figlio che andava a letto con un fusto, il corpo mi si è messo a tremare in modo incontrollato” (p. 68). Colpisce spesso constatare che i genitori, per poco che progrediscono su questa famosa scala, attraversano con un po’ di ritardo tutte le tappe per le quali siamo già passati noi, come per esempio la vergogna di consultare un libro o una rivista in libreria o in biblioteca (figuriamoci quando non c’era Internet!).
Il senso di colpa, che affligge ancora numerosi genitori, è superato da coloro che raggiungono i gradini superiori della scala: “Non mi sono mai fatta il problema di sapere come avevo fatto a dare alla luce una figlia omosessuale. In compenso, mi sono spesso chiesta come avevo fatto a mettere al mondo un figlio dalle idee così conservatrici” (p. 108, a proposito del primogenito che non accetta sua sorella lesbica). Dulcis in fundo, segnaliamo questa frase tipicamente svizzera della stessa persona: “Quando parliamo dei richiedenti asilo, lo faccio andare fuori dei gangheri” (p. 107). Una domanda: la scala è la stessa per i figli che scoprono tardivamente l’omosessualità di un genitore?
L’opera termina con un catalogo di riferimenti e risorse pieno di informazioni aggiornatissime, che mi hanno spinto a rivedere alcuni miei articoli un po’ datati! (A parte la letteratura per ragazzi, purtroppo assente…) L’autrice dà qualche consiglio agli insegnanti, rassicurando chi crede si tratti ancora di una “causa” che rosicchia ore preziose: al contrario, si tratta di “integrare la realtà dell’omosessualità nel contenuto delle nostre lezioni”.
Thorens-Gaud crede alla “stesura di una ‘carta della diversità’ per gli istituti scolastici”. In Francia abbiamo qualcosa di simile con la circolare del 2009 che stabilisce che “I regolamenti interni devono tassativamente menzionare il rifiuto di tutte le forme di discriminazione e deve menzionarle chiaramente”. Il problema è: la circolare è stata applicata?
Le testimonianze, tutte appassionanti, mi conducono a delle riflessioni personali, che espongo in ordine sparso. Spesso i genitori presentano la cosa ad amici e conoscenti parlando dell’amico del figlio o dell’amica della figlia; ma cosa succede quando il figlio o la figlia – come accade anche agli etero – è un farfallone amoroso, senza partner fisso? Ce la si può cavare senza dubbio con una piroetta del tipo: “Mia figlia preferisce le ragazze”… I genitori sembrano molto inquieti sull’argomento: “Ci parla dei suoi compagni molto libertini. Ignoro se lui e il suo amico siano fedeli” (p. 85).
Arriviamo naturalmente all’AIDS, che non sembra fare meno paura di 25 anni fa, quando era una malattia incurabile. Una madre dichiara: “Quello che spero è che si protegga, la stessa cosa che spererei se avesse rapporti sessuali con una ragazza” (p. 120). In questo contesto si parla di una relazione con un solo partner. Il buon senso vorrebbe forse che ci si auguri che la coppia – a condizione che i due partner siano sieronegativi – abbia dei rapporti senza preservativo e conosca il massimo del piacere per non dover cercare altrove; solamente in quel momento sarebbe ora di proteggersi.
Qui si vede che il martellamento sull’AIDS ha fatto sua una lotta che la Chiesa stava per perdere: la paura panica del pene, o sessuofobia. Malgrado gli importanti progressi della ricerca contro questa malattia, le pressioni e gli interessi convergenti dei moralisti di ogni specie da una parte, e di tutti coloro che hanno un posto ben remunerato da conservare dall’altra, riescono a far perdurare, presso buona parte della popolazione, questo terrore irrazionale. Una madre, per esempio, si inquieta forse del fatto che sua figlia ha una possibilità su otto di contrarre il cancro al seno?
Tuttavia, a rischio di passare per un guastafeste, vi ricordo le cifre: 1.200 nuovi casi conclamati di AIDS ogni anno in Francia, 400 morti (dati 2007). Confrontiamo con i 50.000 nuovi casi di cancro al seno ogni anno e gli 11.000 decessi. Si vuole che il fatto di non avere figli per una donna sia un fattore aggravante, cosa che dovrebbe allarmare i genitori delle lesbiche più di quanto l’AIDS non allarmi i genitori dei gay. Ma la propaganda e la disinformazione sono talmente rodate che la gente è inutilmente terrorizzata dall’AIDS e incosciente dei rischi del cancro.
Si vede anche, attraverso certi discorsi, fino a che punto la campagna mediatica dell’”omogenitorialità” ha impregnato le coscienze, poiché la madre di una lesbica dichiara: “Come [un eventuale nipote] farà con le beffe dei suoi amici quando dovrà dire ai compagni che ha due mamme e nessun papà?” (p. 97). (Qui ritroviamo, tra parentesi, le argomentazioni in malafede degli “anti-pacs”).
È significativo che questa madre evochi solo tale possibilità, mentre, per fortuna, esistono numerose possibilità di altergenitorialità, che non privano il bambino di un padre e non prevedono l’inseminazione artificiale da donatore anonimo! Ma senza dubbio si sente un tanfo di omofobia inconscia che impedisce a una madre di considerare altre soluzioni (due madri e due padri, una madre e due padri, due madri e un padre, una madre e un padre, di cui uno o tutti e due sono omosessuali etc.).
Ma basta con queste digressioni personali. “Adolescents homosexuels – Des préjugés à l’acceptation” [Adolescenti omosessuali – Dai pregiudizi all’accettazione] è un ottimo libro, che farà onore agli scaffali del vostro centro di documentazione e informazione!
Testo originale: Adolescents homosexuels – Des préjugés à l’acceptation, d’Élisabeth Thorens-Gaud