Cosa accade quando si dice ai genitori: “io sono gay?”
Articolo di bstract* tratto da “What happens when child says, ‘I’m gay’?” edito sul The National Catholic Reporter
Madri e padri cattolici, quasi tutti descrivono la scoperta e l’accettazione dell’orientamento omosessuale del loro figlio come un processo graduale e emotivamente doloroso.
Ma questi ed altri genitori cattolici sono stati cambiati profondamente da queste rivelazioni ed hanno imparato, dai loro ragazzi omosessuali, il cammino dell’accettazione e cominciato a condividere le loro esperienze di genitori anche con altri.
Racconta una madre “Fu un colpo” scoprirlo, ma se mio figlio “era gay non poteva essere quella cosa negativa che la nostra società ci diceva, perché Jim è davvero un bravo ragazzo”. Ecco le loro storie.
Cosa accade quando un ragazzo dice: “io sono gay?”. Margine Mayer di Hollywood (California) lesse, quasi sette anni fa, questa frase in una lettera di suo figlio Tim: “Vorrei che fossimo più vicini, voglio parlarti di più della mia vita”, “sai sto male perché nascondo ciò che sono e non è giusto per me e per chiunque altro.
Forse non l’hai indovinato, ma ora io sono pronto per dirti che sono gay. Lo sono stato da sempre e sono felice!”. Quella lettera, ironicamente, era datata 10 ottobre, giorno in cui negli Stati uniti si celebra la giornata nazionale del Coming Out.
Mary Ellen Lapota di Rochester, (New York), ricorda come suo figlio Jim le disse: “io amo solo gli uomini”. Accadeva 13 anni fa, Jim era ancora uno studente al secondo anno di college ed era a casa in vacanza per la festa del ringraziamento.
Questi ed altri genitori cattolici sono stati cambiati profondamente da queste rivelazioni. Hanno ascoltato e imparato, dai loro ragazzi omosessuali, il cammino dell’accettazione e hanno cominciato a condividere le loro esperienze di genitori anche con altri.
Su scala nazionale sempre più genitori cercano di mantenere unite le loro famiglie dopo queste rivelazioni, siano esse famiglie conservatrici o liberali, che vivano in California o nel nord Carolina, in Indiana o a New York, in Pennsylvania o nel Massachusetts.
Così crescono i gruppi di genitori che chiedono alla loro chiesa di ascoltare e di accogliere le persone gay e lesbiche.
“Oggi io sono cambiata in meglio”, racconta Nancy Mascotte, residente a South Bend, circa 10 anni fa, il figlio Carl le disse che era omosessuale. All’epoca era ancora uno studente al secondo anno di università.
La conversazione avvenne mentre era alla guida. Nancy, in una recente intervista, ricorda che dopo le sue parole “fermai la macchina ed immediatamente cominciai a piangere”. Fu la sua reazione al dolore, allo shock, alla tristezza, alla paura seguita a quella rivelazione.
In una dozzina d’interviste a madri e padri cattolici, quasi tutti descrivono l’accettazione dell’orientamento omosessuale del loro figlio come un processo graduale e emotivamente doloroso, un’esperienza lacerante.
Il processo sembra lo stesso descritto in un best-seller del 1969, ormai un classico, scritto da Elisabeth Kubler-Ross intitolato “Sulla Morte e agonia: rifiuto, isolamento, rabbia, attesa, depressione ed accettazione”.
Lo sfondo del rifiuto è reso evidente anche dalle domande poste da Casey Lapota, il marito di Mary Ellen, “Ma sei sicuro? Questa cosa si può cambiare?”, domande che pose al loro figlio più grande quando gli rivelò di essere gay.
Tutti e tre convennero che era responsabilità di Jim raccontarlo al resto della famiglia. Lui lo disse subito al fratello e sorella e più tardi al fratello minore ed anche ai nonni, alle zie e agli zii.
“Fu un colpo, ma non una sorpresa”, racconta Mary Ellen. “Jim è la prima persona gay che abbiamo conosciuto in vita nostra.
Ciò probabilmente era una buona cosa, perché nessuno di noi aveva nessuno stereotipo negativo. Se lui era gay non poteva essere quella cosa negativa che la nostra società ci diceva, perché Jim è davvero un bravo ragazzo”.
“Così accettammo l’omosessualità di Jim senza molte domande. Certo esistevano in me molte ferite aperte e molte domande a cui cercavo una risposta. Ma non ci fu mai un rifiuto verso Jim”.
Mary Ellen, durante l’intervista, raccontò del profondo isolamento che aveva sopportato. “Ci volle tanto tempo per uscirne.
Con l’eccezione di un prete e di una suora con cui Jim aveva parlato, mi ci vollero tre anni per dirlo chiunque. Io volli essere sicura di riuscire a rispondere alle domande delle persone con fiducia, non volevo prendere in maniera troppo emotiva la cosa.
Come genitore una delle mie più grandi paure, specialmente all’inizio, era che dopo averlo detto agli altri fossi trattata come una persona in difficoltà. Io non volevo la loro comprensione. Quindi dovevo sapere che non mi serviva la loro pietà”.
Articolo originale (sito esterno)
“What happens when child says, ‘I’m gay’?“
* Tradotto da Antonio nell’ambito del progetto “traduttori di… buona novella”