Cara mamma, lo sai che sono gay?
Riflessioni di Marida Lombardo Pijola dal blog Società incivile de Il Messaggero.it, 21 settembre 2013
Mi è stato chiesto, in pubblico: che cosa avresti fatto, se tuo figlio o tua figlia ti avessero rivelato di essere gay? La risposta che avevo già nel cuore era così lineare, limpida, scontata da suonarmi banale, nell’esternazione.
Per prima cosa, ho detto, avrei cercato di accantonare ogni mio sentimento, per occuparmi solo dei sentimenti suoi. Avrei deciso che la mission materna prioritaria, d’ ora in poi, sarebbe stata non tanto quella di accettarlo serenamente, il figlio gay, quanto piuttosto quella aiutare lui ad accettare serenamente la sua sessualità come una normale inclinazione, quel che è.
A questo scopo, avrei rilanciato un paio di concetti-tormentone di cui avevo già disseminato il suo percorso formativo: le differenze sono una ricchezza, i conformismi sono una prigione, i pregiudizi sono trappole infernali, e vanno inventariati tra i nemici più perfidi infidi ottusi del consorzio umano.
Avrai difficoltà, gli avrei detto, ma affrontale con forza, a testa alta. Ricordati che l’armonia interiore la puoi trovare solo lungo i percorsi in cui puoi riconoscere te stesso e assecondare le tue inclinazioni, viverle con serenità, quali che siano, con l’unico limite del rispetto della serenità di tutti gli altri.
Gli avrei giurato, infine, che nella vita bisogna fare in modo che tutto finisca come nelle favole che gli raccontavo da bambino: il trionfo dell’amore. E’ a questo che serve la sessualità. Avrei concluso elargendogli qualche carezza e un bel sorriso, e verbalizzando ciò che peraltro lui da sempre sa: in ogni momento complicato, in ogni guerra che dovremo fare, la mamma sarà accanto a te.
Brava. Applauso. Bella lezioncina.“E’ facile predicare in casa d’altri”, mi ha detto la mamma di un ex ragazzo gay. Ex nel senso che oggi lui non è più un ragazzo ma un adulto, e vive da anni con il suo compagno uno splendido rapporto di amore e di complicità. Meraviglioso! Ho detto.
“Già. Ma crede sia stato facile, arrivare a questo risultato?”.
Mi ha spiegato perché un genitore precipiti nella disperazione, davanti a una rivelazione come quella, come accadde a lei. I pregiudizi , ha detto, ti si attaccano addosso senza che tu neppure riesca a riconoscerli, viscidi e appiccicosi come un blob, e qualche volta riescono a contaminare anche l’affetto, l’intelligenza, la sensibilità.
Poi mi ha narrato quanto sia stato lungo e difficile l’itinerario che l’ha portata a spazzar via tutto ciò che le impediva di lasciar fluire il buon senso, la responsabilità, l’amore. Oggi suo figlio è felice, e lo è anche lei. La crosta del conformismo si è infranta come un vetro rotto, liberandole lo sguardo e il cuore, così che ora persino lavora in un’associazione che sostiene i genitori dei ragazzi gay.
Arrivano disperati com’era stata un tempo lei, chiedono aiuto, raccontano di averli cacciati di casa picchiati rinnegati, piangono, domandano se i loro figli potranno mai “guarire”. Pian piano, lei riesce a convincerli che l’unica malattia da curare è quella che hanno contratto loro, i genitori.
Il pregiudizio, spiega, è come un virus che acceca, un veleno che intossica, un diserbante che inaridisce le fonti dell’amore. I danni sono gravi. Rapporti familiari che si polverizzano. Distacchi. Dolore. Solitudine. Suicidi. E’ già accaduto. Sono le storie dei ragazzini abbandonati alla deriva, senza sodali, senza complici, fragili e soli davanti alla ferocia del bullismo e alla perfidia irragionevole delle discriminazioni.
Adesso lei dice di aver un grande alleato, in questa sua missione. Il Papa, nientemeno. “Quanta energia fluisce dalle parole di Francesco”. Bisogna rispettare sempre la persona. Chi sono io per giudicare un gay.
Lei si è commossa, e per la prima volta le è sembrato di intravedere uno sbocco che sembrava fantascienza: l’approdo a una sponda sulla quale questo assurdo apartheid finirà. Sogna: allora si salveranno molte vite. Sarà una favola sociale a lieto fine. Sarà proprio il trionfo dell’amore.