Il vescovo Bianchi “La Chiesa e i gay? Le persone prima di tutto”
Articolo di Maria Cristina Carratù pubblicato su La Repubblica – edizione di Firenze del 15 ottobre 2013
Mansueto Bianchi, 64 anni, lucchese, è vescovo di Pistoia dal 2006 e vicepresidente della Conferenza episcopale Toscana. Nel 2008 il suo nome è entrato nella rosa dei tre presentati al Papa per la scelta del nuovo segretario della Cei, e c’è chi sostiene che potrebbe presto tornare in gioco nella futura Conferenza episcopale riformata da Francesco.
Biblista, insegnante di Sacra Scrittura, in Cei Bianchi ha già un incarico politicamente e culturalmente centrale, di questi tempi, come responsabile della commissione per il dialogo ecumenico e interreligioso.
È stato per molto tempo parroco e gliene è rimasta la nostalgia: “Da quando sono vescovo” ha detto “non vedono più me, ma il mio ruolo”. E magari, dice ora, il Papa lo rimandasse “in qualche parrocchia”. Come tanti in Toscana, anche lui è un entusiasta della “Chiesa evangelica di Francesco, da cui “abbiamo tutti da imparare”.
Ma come mai secondo lei, ci si stupisce tanto per una cosa che dovrebbe essere ovvia, e cioè che un Papa richiami al Vangelo? Questo non la dice lunga sul tipo di Chiesa che c’è stata finora?
“Papa Francesco ha capito che in una stagione post cristiana, cioè fondamentalmente missionaria, una Chiesa che si presenta innanzitutto come precetto e dottrina, come sovrastruttura giuridica e morale, non arriva da nessuna parte. E ha lanciato una sfida: ritornare al Vangelo nella sua semplicità, nella sua credibilità, renderlo simpatico, in senso etimologico, un annuncio della passione di Dio per l’uomo, che parla dell’uomo, non di una verità astratta e lontana”.
Lei è un vescovo, non avverte questa impostazione come una aperta smentita dell’episcopato, soprattutto italiano?
“Attenzione a non staccare Papa Francesco dalla Chiesa, di cui lui stesso ha detto e ripetuto di essere ‘figlio’. Dunque bisogna dire no ad un uso ‘strumentale di Bergoglio, e a giudicarlo solo a partire dalla sua straordinaria popolarità. Ma è chiaro quello che ci sta dicendo: siamo tutti chiamati a diventare una Chiesa che non delude.
Che apre la porta a tutti, e capace di dire per prima cosa: tu mi sei simpatico, e io sono disposta a partecipare alla tua vita, fino in fondo. Una Chiesa che si fa luogo di incontro delle persone con Gesù Cristo, non con una struttura e con delle regole, con dei bravi funzionari che devono farle adempiere”.
C’è chi teme che rimettere in mano ai presbiteri il Vangelo sine glossa, senza ‘istruzioni per l’uso’, sia l’anticamera di una pericolosa individualizzazione della fede.
“Sì, ma questo errore, come anche quello che gli fa da pendant, di chi chiama Francesco ad assecondare tutto e tutti, fa parte della propensione culturale a considerare la Verità del Vangelo come qualcosa di lontano, esterno e oppressivo, rispetto alla libertà, alla spontaneità, all’autenticità individuale, in un contesto sociale che cerca continuamente il confronto. Ma non è così.
Il Papa Francesco è totalmente leggibile, si spiega da solo. È capendo Francesco che i fedeli possono ritrovare la Chiesa. Però quando lui dice ‘vivi secondo la tua coscienza e sarai felice non vuol dire fai quello che vuoi, bensì: guarda che il criterio per riconoscere il bene te lo porti già dentro.
Perché la coscienza è un luogo non esclusivamente soggettivo, ma di una relazione, quella di te con Dio. Dunque, non importa che io ti riempia dall’esterno di nozioni”.
Da qui il ‘Chi sono io per giudicare?’ di Papa Francesco di fronte agli omosessuali. Ammetterà che il comportamento concreto di gran parte del clero e dei vescovi, su questo punto, come per esempio sui divorziati risposati, ma anche su tanti altri temi etici, è stato fin qui ben diverso.
“Però il cristianesimo ci dice che la Verità è compagna di strada delle persone, non un insieme di regole dottrinali, sebbene ci sia bisogno anche di questo perché la vicenda cristiana sia trasmissibile storicamente. Verità amica delle loro ‘gambe’, cioè delle loro concrete possibilità di cammino. L’etica della Chiesa, insomma, è come un cibo, deve saziare una fame, ma a volte pretendere di dare tutto vuol dire ammazzare chi hai davanti.
Bisogna proporzionare la Verità sulle persone, e il criterio è uno solo: l’amore, la carità, la misericordia. Tutto il resto viene dopo. Prima, c’è il rapporto ravvicinato con una coscienza, una vita, un essere umano in carne ed ossa, e la preoccupazione per il suo futuro. Non dimentichiamoci mai che questa è la religione di un Dio incarnato nell’uomo”.
Dunque, si tratta di mettere mano urgentemente a un nuovo metodo pastorale. Non teme resistenze?
“Sarà faticoso, ma è inevitabile. Bisogna ripartire dalla passione, da persone realmente convinte del Vangelo, davvero convertite. Altrimenti, se non si ‘è’ ciò che si fa, tutto diventa mostruosa strategia. Per fortuna, abbiamo un Papa che ‘è’, che vive il Vangelo, sta fuori del Palazzo e usa una Renault. E quando fuori c’è il sole, hai voglia a resistere, prima o poi il maglione di lana bisogna levarselo, no?”.