Le cose cambiano. Sono gay e battista, sono solo me stesso
Testimonianza di Giorgio Rainelli per lo speciale “le cose cambiano” pubblicata sul sito di Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi, il 26 novembre 2013
La mia storia comincia da lontano: sono di origine cattolica romana ed ho percorso tutte le “tappe” del credente, dal battesimo fino alla cresima e in seguito catechista e capo scout.
Posso ben dire che “a quei tempi” la struttura della chiesa cattolica era estremamente sessuofobica e l’omosessualità era un fatto cui non si accennava minimamente anche perché nella società civile pochi, anzi pochissimi, erano gli uomini omosessuali dichiarati e ancora di meno le meno le donne omosessuali e si andava avanti secondo cliché ben definiti (gay=effeminato, lesbica=camionista).
Scoprire la mia omosessualità è stato un evento traumatico, da nascondere a tutti e tutte, un fatto di cui vergognarsi, un peccato da espiare ancora più grave di un qualsiasi rapporto eterosessuale, anche il più strano e problematico.
La conseguenza? Sensi di colpa schiaccianti, impossibilità di parlarne con qualcuno – fosse esso un sacerdote o un amico o un genitore o un compagno di scuola – insomma l’isolamento assoluto e la recita dell’eterosessualità: a scuola, a casa, con gli amici e le amiche, in chiesa, con i compagni di lotta politica (era il periodo in cui Pasolini non era gradito al Pci): una doppia vita.
Ma il tempo passa e ho preso lentamente coscienza che non si può e non ci si deve nascondere, non si può e non si deve reprimere il proprio orientamento sessuale, bisogna essere persone a tutto tondo e la sessualità è una parte talmente importante che va vissuta alla luce del giorno senza paure.
Il percorso è stato faticoso soprattutto perché le cose non venivano dette; meglio tacere che affrontare il problema. Essendo impegnato in ambito ecclesiale come capo scout tutte e tutti sapevano della mia omosessualità ma, come spesso succede in ambito cattolico romano, è più semplice ignorare l’omosessualità di una persona che affrontare a viso aperto il problema, sempre che di problema si tratti. E poi si condanna il peccato e non il peccatore, c’è sempre la confessione per rimettere le cose in ordine e tornare nello stato di “grazia”. Dunque non omofobia palese ma ben nascosta.
Un colloquio con un mio amico sacerdote e gesuita belga, Pierre, mi ha permesso di avere un nuovo punto di vista riguardo al senso di peccato con cui vivevo la mia omosessualità: se il Signore ha voluto che tu fossi omosessuale, mi ha detto, non devi viverlo come un peccato; il peccato è usare le persone, non amarle, tutte le persone senza differenza di sesso.
Ma questa era la sua posizione personale, non quella della struttura ufficiale. Ancora ricordo le parole di Pierre e gliene sono grato, da lì ho cominciato il mio cammino di liberazione dal senso di colpa.
Poi il percorso di liberazione è andato avanti e mi ha portato a uscire dalla chiesa cattolica romana non solo a causa della mia omosessualità ormai dichiarata ma anche per profonde divergenze teologiche.
Arrivare, per caso, in una comunità evangelica battista, quella di Albano Laziale, ha significato trovare l’accoglienza senza se e senza ma, ha significato poter spezzare le catene del peccato, poter essere libero.
Sì, è stata questa la sensazione precisa: spezzare dei vincoli, dei legacci che mi stringevano e non mi davano la possibilità di essere Giorgio con la sua storia, la sua maniera di essere, con la sua omosessualità.
Sono stato fortunato a incontrare quella comunità che sempre, e ribadisco sempre, mi ha protetto e difeso e ha difeso e protetto il mio compagno tutte le volte che qualcuno/a ha tentato di condannare, in nome di un principio assoluto o di una verità immutabile o di un Dio vendicatore e che non ama, le nostre scelte e la nostra maniera di essere uomini.
La cosa meravigliosa è stata che non solo le persone “giovani” ma anche “le vecchie” e “i vecchi” della comunità hanno avuto questo atteggiamento, anzi proprio le persone anziane sono state le più “battagliere” a rivendicare la libertà di essere se stessi, a rivendicare i diritti per le persone glbtq scendendo in piazza e partecipando ai culti per il Pride, a schierarsi per la benedizioni di unione di coppie omosessuali.
Certamente non sono state tutte rose e fiori: in alcune occasioni nelle chiese evangeliche mi sono ritrovato a dover vivere situazioni di disagio non propriamente dovute ad una esplicita omofobia ma ad una diffidenza o ad interpretazioni fondamentaliste delle Scritture, e a poco sono valse le spiegazioni dei testi e la ricerca di contestualizzarli: un dialogo con sordi troppo chiusi in un bozzolo di false certezze che servivano da stampelle per non porsi domande ed avere certezze inossidabili.
Una cosa spesso mi ha turbato nella frequentazione di alcune comunità: la formale accoglienza, “politicamente corretta”, ma senza un reale coinvolgimento, un guardare di sottecchi, un osservare con occhio di “tolleranza paternalista”.
Nei rari casi in cui questo è sfociato in un atteggiamento ostile o aggressivo la mia reazione è stata calma ma ferma nel dimostrare che l’essere una persona omosessuale e credente non solo è possibile ma anche che, di fronte al Dio d’amore, tutti e tutte siamo ugualmente amati e amate e che il problema non era mio ma loro, che costruivano muri e ostacoli non a me o alle altre persone omosessuali ma a se stessi per monopolizzare la Parola a proprio uso e consumo.
Facendo un bilancio complessivo devo ammettere che, non essendo io un uomo che tende a piangersi addosso e a fustigarsi, ho sempre reagito difendendo le mie scelte in ogni campo, da quello socio-politico a quello etico; questo ha portato il suo frutto anche al di fuori delle realtà ecclesiali, come quelle lavorative o politiche; solo una vota che un mio collega in ufficio si è permesso di offendermi pesantemente tirando in ballo la mia omosessualità.
Ho reagito calmo e tranquillo minacciando di denunciarlo per violazione della privacy e, guarda caso, ha abbassato subito i toni; morale della favola, non bisogna mai sottomettersi rinunciando a se stessi ed ai propri diritti. Ma ora veramente LE COSE CAMBIANO.