La storia di Anna, madre di una figlia diventata figlio
Articolo di Pino Corrias pubblicato su Vanityfair.it il 23 ottobre 2013
Questa è la storia a lieto fine di Anna Francesca Basso che per tre volte è stata madre della stessa figlia, Giulia, cresciuta eterosessuale sino a 18 anni, poi omosessuale fino a 28 e infine transessuale nei tre anni successivi.
È la storia del suo viaggio che ha compiuto senza mai muoversi da Bassano del Grappa, lungo la mappa della figlia che ogni volta ha imparato a conoscere da capo, scoprendola sempre diversa da come si aspettava. Prima Giulia, studentessa partita per Bologna. Poi Giulia la bibliotecaria del Cassero, il primo circolo giovanile di cultura omosessuale. E adesso Giulio, con baffi, barba, e una fidanzata che tra un anno sposerà, diventando a 31 anni il marito di una moglie.
Anna fa l’insegnante elementare. È cattolica, «ma non bigotta». Ha avuto una giovinezza standard di provincia veneta: le magistrali, il fidanzato, il matrimonio. Dice: «Avevo una scaletta e l’ho rispettata». Poi la vita si è incaricata di rivoluzionargliela.
La prima volta che sua figlia le ha rivelato di essere omosessuale lei ha dovuto cercare le parole per dirle il suo stupore, e mentre le cercava non ha faticato troppo a trovare l’appiglio che le serviva, quello di «starle sempre accanto», perché le veniva non dall’educazione che aveva ricevuto e nemmeno dal senso comune, ma direttamente dal cuore.
«All’inizio avevo persino paura di dirlo a mio marito, alle amiche, ai parenti. Poi ho capito che non c’era vergogna, non c’era colpa a voler essere proprio come uno si sente. Mia figlia era coraggiosa, e a starle dietro sono diventata coraggiosa anch’io». Specie quando Giulio ha deciso di cambiare sesso e ha iniziato un lunghissimo cammino a ostacoli.
Perché prima sono entrati in campo gli psicologi che analizzano. Poi i dottori che visitano. Poi i giudici che autorizzano oppure negano il cambio di identità. «E se negano, bisogna aspettare un anno e riprovare». Fino a quando firmano il «permesso alla demolizione».
Si chiama proprio così, in questo modo da burocrazia edilizia, lo smantellamento di una identità e la costruzione fisica di quella nuova. «Per una donna vuol dire un intero calendario di dolori per tagliare il seno, poi l’utero, poi le ovaie».
Vuol dire ore di sala operatoria, mesi di convalescenza, almeno un paio di anni di tunnel, fino alla luce della nuova identità, quando cambia la vocale anche per l’anagrafe, e Anna, la madre, può sedersi, respirare, aspettare la sera e finalmente scrivere: «Scrivere mi ha aiutato tantissimo. E mi hanno aiutato i genitori di Agedo, l’associazione di genitori di omosessuali e transessuali, e soprattutto l’altro mio figlio, Edoardo.
Parlare confrontarmi, scoprire la bellezza della tolleranza, ascoltare tante storie come la mia, come la sua, e crescere insieme in un mondo un po’ più libero».