Il parroco vicino agli omosessuali: «Questo Papa rompe gli schemi»
Articolo di Simone Di Meo tratto da Il Tempo del 5 gennaio 2014, p.8
«Le parole di Francesco sui figli delle coppie gay sono una rivoluzione. Ma ora tutta la Chiesa adotti il nuovo linguaggio del Papa».
Don Gennaro Matino è il parroco della chiesa della Santissima Trinità a Napoli. Collaboratore di diversi quotidiani, due lauree e un anticonformismo molto “bergogliano”, è stato tra i primi sacerdoti a porre, pubblicamente, la questione del posto dei gay nella comunità cattolica italiana e mondiale.
Don Gennaro, come giudica quest’apertura del Pontefice?
«Non userei la parola apertura, che per sua natura prevede delle concessioni. Direi piuttosto che Francesco vede la realtà, la legge e si rende conto, per non essere impreparato ad affrontare quel che accade o accadrà, di dover adottare un nuovo linguaggio. E questo, penso, sia molto più importante di un’apertura».
Un linguaggio nuovo che prevede, nella sua sintassi, anche il tema tabù della famiglia omosessuale?
«Certo perché è possibile che, prima o poi, un sacerdote possa incontrare delle coppie gay che hanno dei bambini. Che non solo sono come tutti gli altri, ma devono essere accettati e trattati come ogni bambino di questo mondo. Questo obiettivo, però, si realizza se noi, come Chiesa, li accettiamo e se i genitori non ce li tengono lontani».
Il passaggio dai figli ai genitori è però un po’ più complesso è difficile da affrontare per la Chiesa…
«Ma è proprio questa la sfida. Il Papa per il momento la lascia in sospeso ma è chiaro che resta lì, sullo sfondo. Quando Francesco si domanda “chi sono io per giudicare un omosessuale?” mostra il volto di una Chiesa accogliente come mai prima d’ora su questo argomento.
Ma la vera evoluzione sarà quando la Chiesa, oltre a dimostrarsi accogliente, accetterà la condizione di un’esistenza omosessuale. Quando capirà, in altri termini, che non è un guasto nella natura ma è espressione di un percorso umano che, come tale, ha bisogno di essere ascoltata ed accettata. È un po’ come se io ti invitassi a pranzo, ma non ti facessi sedere a tavola.
Il problema è avere la possibilità di vivere la condizione di credente in maniera adeguata al proprio stato. Penso che, nel momento in cui la Chiesa ha chiuso le porte a chi vive un’esperienza omosessuale, si sia auto-censurata rispetto alla possibilità di mandare messaggi positivi e propositivi anche ai gay; messaggi come il valore della fedeltà, l’armonia dell’essere, la crescita personale nel percorso di relazione che valgono tanto per gli eterosessuali quanto per gli omosessuali.
La Chiesa si è bloccata da sola nel proporre uno sviluppo dell’etica e del percorso etico della omosessualità perché, da subito, ha dichiarato di non accettare questa realtà».
Questa rivoluzione continuerà anche dopo Francesco, pensa che un messaggio così dirompente riuscirà a sopravvivergli?
«Questo non lo so. Da un lato vedo lui, dall’altro sento i vescovi italiani che bocciano qualsiasi possibilità di dialogo sulle unioni civili. Il problema è capire che cosa sta accadendo. Se l’adozione di questo nuovo linguaggio da parte della Chiesa è vera, e sono sicuro c he sia così, perché – mi chiedo – questo irrigidimento dall’altra parte? Se anche i tempi non sono maturi per questa trasformazione, non penso che sia giusto essere così rigidi».
È quindi una rivoluzione legata solo alla straordinaria figura del Papa?
«Francesco rompe gli schemi, ma attenzione a considerarlo un Pontefice che va contro lo spirito evangelico. Lui non è il padrone dei Vangeli, ma il loro più alto interprete. Lui vuole che il linguaggio della Chiesa oggi sia compreso e che la stessa Chiesa sia in grado di raccogliere le sfide che vengono dal mondo. Un mondo che è cambiato, col quale dobbiamo necessariamente rapportarci. E che corrisponde al mondo che viviamo. Non a quello che è stato o che vorremmo».